Is that the way it is, Mr Kelly?

Divagazioni a seguito dell'intervista pubblicata in Domus 931. A cura di Francesca Picchi

Per quanto Ellsworth Kelly sia riconosciuto come uno dei grandi padri dell'astrattismo americano, per molti anni è stato incasellato negli stretti ambiti di un particolare tipo di astrattismo chiamato "hard edge abstraction", qualcosa del tipo astrazione dai bordi netti. In qualche modo il suo lavoro era letto in opposizione alle ricerche sul gesto messe in atto nei primi anni Cinquanta dagli artisti della New York School e dell'espressionismo astratto in generale; infatti era stringatamente definito come "stile non gestuale".

Chiunque noterebbe che nel modo di parlare, Kelly usa spesso la parola libertà: libertà dalla composizione, libertà del colore nello spazio, libertà della forma dallo sfondo... come se fosse stato stato a lungo oppresso da troppe cose. Kelly è stato un soldato, ha vissuto, suo malgrado, una delle più sanguinose battaglie dell'epoca moderna, e forse questo può averlo reso particolarmente sensibile rispetto a ogni forma di costrizione. Per questo forse non è stato facile definire il suo lavoro che sembra sempre aprire nuovi percorsi non appena ci si addentra all'interno. Inoltre non ha lasciato un corpo teorico come invece ha fatto Barnett Newman che anche solo nei titoli apriva spiragli sul suo mondo interiore. Kelly è stato sempre molto più impersonale, forse più riservato.

L'opera di Kelly, dunque, era compresa essenzialmente quale reazione a un poetica del gesto che, pur rimanendo nei confini dell'astrazione, ne contraddiceva i caratteri di spontaneità, ambiguità e complessità. La pittura di Kelly vi opponeva piuttosto un lavoro ispirato ad una chiarezza delle forme, ad una semplificazione che gli ha valso la definizione di artista incline a una certa classicità. Pareva inoltre essenziale che questa progressiva semplificazione nascesse da una riflessione precedente all'azione del dipingere.

Insomma era evidente che la sua pittura fosse un punto d'arrivo o anche magari un percorso nel suo farsi, ma sicuramente non un gesto istintivo. Una dilatazione temporale, quanto all'atto del dipingere, testimoniata dal lavoro preparatorio, attraverso il disegno e la fotografia: quasi una pratica rituale per liberarsi dai pericoli di sovrapposizioni o ridondanze operata dalla propria soggettività. In questo senso colpisce il suo lavoro sulle curve perché esistono tutta una serie di lavori preparatori sul tema, sia sotto forma di fotografia che di disegno, in cui è chiaro che isola un tema per metterlo a fuoco lavorandoci sopra. Infatti dice, "la frammentazione mi permette di liberare la forma dal suo contesto per presentarla quale astrazione". Probabilmente non sarebbe troppo sbagliato dire che la frammentazione per Kelly è come per Richter la sfocatura: un meccanismo per prendere le distanze dalla realtà.

L'originalità di Kelly era riconosciuta soprattutto nella libertà delle forme - morbide, fluenti, organiche - molto più libere dal rigore geometrico che aveva caratterizzato i maestri Europei dell'avanguardia quali Mondrian che parevano forse più geometrizzare che pensare in astratto.

Insomma era evidente che tutti queste definizioni per contrasto e sottili differenziazioni lasciavano intendere che il lavoro di Kelly forse non era stato del tutto compreso, e comunque ogni definizione non sembrava bastare a restituirne la complessità. Emerge anche che Kelly era un isolato nel senso di essere un artista che seguiva una propria linea personale di pensiero, che rifiutava di essere riconosciuto come parte di un gruppo. Infatti il suo lavoro sembra essere più influenzato dalle ricerche di Cage, dal surrealismo, da Picasso che dai maestri della scuola di New York verso i quali, infatti, rimane in posizione eccentrica.



A questo punto vale la pena introdurre alcune brevi note biografiche. Nel 1943, il giovane studente del Pratt Institute, Ellsworth Kelly, poco più che ventenne, si arruola nel 603mo battaglione di ingegneri camuffatori. Di lì a poco sbarca in Europa al seguito delle truppe inviate a combattere contro i nazisti. Partecipa, infatti, allo sbarco in Normandia come membro della Ghost Army, una speciale squadra d'azione formata principalmente da artisti con il compito di attuare ogni sorta di artificio per confondere il nemico e interferire con i piani della battaglia. Armati non solo di armamenti fasulli, quali carri armati gonfiabili o sagome di cartone, ma anche di registrazioni di fragorose esplosioni e suoni di combattimenti che diffondevano con potenti altoparlanti, i soldati della Ghost Army avevano il compito di ingannare il nemico sulla reale potenza di fuoco dell'esercito in avanzata.
Così Ellsworth Kelly, da militare, entra per la prima volta a Parigi nell'estate del 1944: nella Parigi liberata dall'occupazione nazista.
Una volta tornato in America, fa richiesta per accedere al programma di borse di studio per i veterani di guerra.
Da studente, quindi, torna a Parigi per proseguire gli studi d'arte.

È a questo punto che incomincia la sua attività d'artista. Non tanto perché incominci a dipingere ma perché qui fonda la sua riflessione sulla pittura, sull'arte in generale, che gli serve a definire un vocabolario. Lo dice chiaramente nella nostra intervista: "È durante il periodo trascorso in Francia tra la fine degli anni Quaranta e gli inizi degli anni Cinquanta che ho sviluppato la percezione e il vocabolario di forme con cui continuo a lavorare anche oggi. Non penso sia il mio lavoro ad essere cambiato, ma il mio lavoro cambia ogni volta che trovo nuove forme che mi danno ispirazione".

Esattamente è il 1949 a segnare una svolta nel lavoro di Kelly. La sua prima opera, riconosciuta in quanto tale, risale appunto, a quell'anno. Non è semplicemente un dipinto; infatti, nell'intervista ne parla in termini di "oggetto".
Rappresenta una finestra del Museo d'Arte Moderna di Parigi perché è in quel luogo, durante una visita al museo della più importante capitale artistica dell'epoca, che si accorge di volgere lo sguardo altrove. Si accorge che la vita degli che lo circondano – gli oggetti, i colori, lo spazio, l'architettura – sono più interessanti dell'arte conservata all'interno del palazzo consacrato alla sua celebrazione. Ricorda lapidariamente: "al museo d'arte moderna di Parigi notai che le grandi finestre tra i dipinti mi interessavano di più delle opere d'arte esposte".

Come il contenitore è più interessante del suo contenuto, l'oggetto stesso dell'opera, ossia la finestra, è il simbolo semplice, accessibile di uno sguardo che si apre verso nuove direzioni e procede oltre.

Window, Museum of Modern art, Paris è un'opera–manifesto, che segna il suo battesimo artistico di Kelly, da cui egli dichiara di non separarsi mai. Tant'è vero che, nel revisionare il nostro impaginato, quando nota che quest'opera non è trattata con il dovuto peso (è troppo piccola e in posizione marginale), fa capire che un po' se ne dispiace: ci terrebbe gli fosse dato maggiore risalto.

Quando mi sono trovata ad affrontare il tema del camouflage per il numero 931 di Domus, nel comprendere il reale significato di questa parola nata nel settecento per indicare probabilmente un gioco – (etimologicamente significa "soffiare del fumo sul naso di qualcuno per disorientarlo") – è emerso chiaramente che il camouflage ha a che fare con l'imperfezione della visione, con il tema del confondere, del disorientare, con le dinamiche del fraintendimento e dell'inganno. In definitiva ha a che fare con la manipolazione dei meccanismi percettivi.
Ora, a parte la suddetta esperienza del battaglione dedicato alle operazioni di camouflage durante la guerra, mi ha colpito che Kelly, per quanto in posizione eccentrica, fosse stato incluso tra gli artisti della mostra "The responsive eye" che segnò la consacrazione critica del movimento dell'arte cinetica e programmata negli anni Sessanta. Il lavoro di Kelly fu avvicinato alle tematiche della Op Art per il fatto di usare configurazioni geometriche e contrasti cromatici che spingevano ai limiti il tema dell'ambiguità percettiva. Nel catalogo si legge infatti: "For a period in the mid-1960s, Kelly came close to Op art in his use of geometric configurations and colour contrasts that stressed perceptual ambiguities".

In un certo senso a Kelly veniva riconosciuto un ruolo di precursore e le sue ricerche venivano accolte sotto il grande ombrello della Kinetic Art perché centrate su questo fatto dell'ambiguità della visione. Ora mi pareva che si potesse trovare un ponte, anche lontano, fra questo tipo di esperienze; anche in negativo, anche per reazione o per rifiuto, quasi che proprio questa esperienza sugli inganni dell'occhio potessero averlo spinto verso quella chiarezza quasi ossessiva della forma, per i suoi elementi costitutivi – il colore, lo spazio, la luce... – che lo hanno portato a mettere a punto meccanismi come quello della frammentazione, per togliere riconoscibilità alle forme e lasciarne emergere solo la bellezza: la bellezza di una curva, dei riflessi di luce sull'acqua, dello spazio dimenticato sotto una volta di una chiesa o sotto un ponte. Forse era questo l'unico modo per lui accettabile per trattare il paesaggio in epoca moderna, troncando ogni deviazione pittoresca o caduta nel romanticismo e, raggiungere così, una chiarezza asciutta, misurata, cristallizzata nell'impersonalità del segno.
Chissà se è proprio così.




<i>Window, Museum of Modern Art, Paris 1949</i><br>
Oil on wood and canvas, two joined panels<br>
50 1/2 x 19 1/2 inches (128.3 x 49.5 cm)<br>
Collection of the artist<br>
Photo courtesy the artist
Window, Museum of Modern Art, Paris 1949
Oil on wood and canvas, two joined panels
50 1/2 x 19 1/2 inches (128.3 x 49.5 cm)
Collection of the artist
Photo courtesy the artist
<i>Window VI 1950</i><br>
Oil on canvas and wood, two joined panels<br>
26 x 62 7/8 inches (66.0 x 159.7 cm)<br>
Private collection<br>
Photo courtesy the artist
Window VI 1950
Oil on canvas and wood, two joined panels
26 x 62 7/8 inches (66.0 x 159.7 cm)
Private collection
Photo courtesy the artist
<i>Detail, Roof, Le Corbusier’s Swiss Pavilion, Cité Université, Paris 1967</i><br>
Silver gelatin print<br>
8 x 10 inches (20.3 x 25.4 cm)
Detail, Roof, Le Corbusier’s Swiss Pavilion, Cité Université, Paris 1967
Silver gelatin print
8 x 10 inches (20.3 x 25.4 cm)
<i>Briey 1945</i><br>
Gouache on paper<br>
7 7/8 x 9 7/8 inches (20.0 x 25.1 cm)<br>
Private collection<br>
Photo courtesy the artist
Briey 1945
Gouache on paper
7 7/8 x 9 7/8 inches (20.0 x 25.1 cm)
Private collection
Photo courtesy the artist
<i>Curve seen from a highway, Austerlitz, N.Y. 1970</i><br>
Silver gelatin print<br>
11 x 14 inches (27.9 x 35.6 cm)
Curve seen from a highway, Austerlitz, N.Y. 1970
Silver gelatin print
11 x 14 inches (27.9 x 35.6 cm)
<i>Study for “Curve I” 1968</i><br>
Found crushed wax paper cup<br>
4 1/4 x 4 1/2 inches (10.8 x 11.4 cm)<br>
Collection of the artist<br>
Photo courtesy the artist
Study for “Curve I” 1968
Found crushed wax paper cup
4 1/4 x 4 1/2 inches (10.8 x 11.4 cm)
Collection of the artist
Photo courtesy the artist
<i>Cluny 1973-76</i><br>
Lithograph with debossing on 300-gram Rives BFK paper<br>
41 x 34 inches (104.1 x 86.4 cm)<br>
Edition of 16<br>
Photo and artwork (c) Ellsworth Kelly and Gemini G.E.L. LLC
Cluny 1973-76
Lithograph with debossing on 300-gram Rives BFK paper
41 x 34 inches (104.1 x 86.4 cm)
Edition of 16
Photo and artwork (c) Ellsworth Kelly and Gemini G.E.L. LLC
<i>Study for "White Plaque: Bridge Arch and Reflection” 1951</i><br>
Collage on paper<br>
20 1/4 x 14 1/4 inches (51.4 x 36.2 cm)<br>
Museum of Modern Art, New York, <br>gift of the artist in honor of
Mr. & Mrs. Joseph Pulitzer, Jr.<br>
Photo courtesy Harvard University Art Museums
Study for "White Plaque: Bridge Arch and Reflection” 1951
Collage on paper
20 1/4 x 14 1/4 inches (51.4 x 36.2 cm)
Museum of Modern Art, New York,
gift of the artist in honor of Mr. & Mrs. Joseph Pulitzer, Jr.
Photo courtesy Harvard University Art Museums
<i>Wright Curve 1996</i><br>
Steel<br>
115 x 115 x 1 1/2 inches (292.1 x 292.1 x 3.8 cm)<br>
The Solomon R. Guggenheim Museum, New York, <br>gift of the artist<br>
Photo courtesy the Solomon R. Guggenheim Museum
Wright Curve 1996
Steel
115 x 115 x 1 1/2 inches (292.1 x 292.1 x 3.8 cm)
The Solomon R. Guggenheim Museum, New York,
gift of the artist
Photo courtesy the Solomon R. Guggenheim Museum
<i>Berlin Totem 2008</i><br>
Stainless steel<br>
40’ x 4’ x 8 inches (1219.2 x 121.9 x 20.3 cm)<br>
Edition of 1<br>
U.S. Embassy, Berlin, gift of the artist commissioned by the Foundation for Art
and Preservation in Embassies<br>
Photo (c) 2008 Jack Shear
Berlin Totem 2008
Stainless steel
40’ x 4’ x 8 inches (1219.2 x 121.9 x 20.3 cm)
Edition of 1
U.S. Embassy, Berlin, gift of the artist commissioned by the Foundation for Art and Preservation in Embassies
Photo (c) 2008 Jack Shear
<i>Study for Green & White Sculpture for Les Invalides 1964</i><br>
Postcard, collage<br>
5 3/8 x 3 3/8 inches (13.7 x 8.6 cm)<br>
Private collection<br>
Photo courtesy Solomon R. Guggenheim Museum
Study for Green & White Sculpture for Les Invalides 1964
Postcard, collage
5 3/8 x 3 3/8 inches (13.7 x 8.6 cm)
Private collection
Photo courtesy Solomon R. Guggenheim Museum
<i>Statue of Liberty 1957</i><br>
Postcard, collage<br>
5 1/2 x 3 1/2 inches (14 x 8.9 cm)<br>
Private collection<br>
Photo courtesy Harvard University Art Museums
Statue of Liberty 1957
Postcard, collage
5 1/2 x 3 1/2 inches (14 x 8.9 cm)
Private collection
Photo courtesy Harvard University Art Museums

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