Damien Hirst Romance in the Age of Uncertainty

Sicuramente oggi le metafore di Damien Hirst sono meno intriganti da un punto di vista intellettuale poiché non hanno zone d’ombra, non lasciano spazio ad interrogativi sul loro significato, ma optano piuttosto per un grado di comunicabilità altissimo in quanto viscerale. Testo di Caroline Corbetta. Foto di Stephen White.

L’accesso alla galleria è quasi bloccato da una voluminosa scultura. Si tratta di “Prodigal Son” un’opera del 1994 che consiste in una teca di vetro riempita di formaldeide nel quale è immerso un vitello.

Inizia così il percorso espositivo della personale di Damien Hirst presso la galleria White Cube a Londra, la prima mostra dopo otto anni di assenza dalla città che è stata il trampolino di lancio della sua fama planetaria. Dopo tanta attesa, la prima opera in cui ci si imbatte è un lavoro realizzato quasi dieci anni fa. Non può essere una scelta casuale, ma va letta piuttosto come una dichiarazione di intenti.

Hirst insiste sulle tematiche che l’hanno reso noto: la vita e la morte, e tutta la sofferenza e la gioia, l’orrore e la bellezza che riempiono questo lasso temporale. Questo non è piaciuto a certi critici che hanno viste disattese le loro aspettative di novità. Non sono riusciti a leggere come un fattore positivo l’ossessività dell’artista, ma soprattutto non si sono resi conto che questa mostra, pur ponendosi in connessione diretta con le ricerche passate – come dichiarato appunto col lavoro d’apertura - segna anche uno spostamento nella pratica di Damien Hirst, un cambiamento nell’approccio alle sue ossessioni. Realizza cioè un passaggio dal razionale all’irrazionale.

Superato il vitello in formalina, ci si ritrova infatti nella sala principale della galleria – un rettangolo bianco illuminato da un grande lucernario - trasformata da Hirst nella navata di una chiesa. Ai lati stanno dodici tabernacoli – sei per lato – di vetro e metallo, dedicati alla morte degli Apostoli: praticamente tutti martirizzati tranne Giuda Iscariota, che ha fatto la fine che tutti conosciamo. Nelle teche abbondano oggetti di vario genere: vecchi utensili medici in vetro, tubi di plastica, rotoli di nastro adesivo e armi rudimentali che fanno riferimento alla modalità con cui ogni apostolo ha trovato la morte.

Per esempio, la bacheca dedicata a San Tommaso è trapassata da lance. Su tutti c’è sangue in abbondanza – vero, di renna, dicono gli addetti della galleria – coagulato e maleodorante. L’odore molto forte, nauseabondo a tratti, influenza deliberatamente la percezione di questa mostra che è prima di tutto esperienza fisica ed emotiva. L’impressione violenta è aumentata dalle teste di mucca, anch’esse in formalina, ordinatamente poggiate a terra, di fronte alle vetrine degli Apostoli, e che rappresentano i Discepoli.

Volgendo lo sguardo verso il fondo della stanza, nel punto dove, se fossimo effettivamente in una chiesa, troveremmo l’altare, si vede il contenitore che simboleggia Cristo: ha le stesse dimensioni di quelli in cui sono racchiuse le teste di mucca, ma è riempito unicamente della sostanza conservante. Dietro di esso, direttamente sul muro, è appesa una vetrinetta con le ante aperte, i cui trasparenti scaffali di vetro, sui quali poggiano altrettanto cristallini contenitori medici, sono traslati sopra la vetrinetta stessa e sovrastati a loro volta da una colomba imbalsamata. Un’allegoria assai palese dell’ascensione di Gesù Cristo e unico momento di sollievo - insieme a quattro bellissimi quadri realizzati con ali di farfalla disposte in modo da formare composizioni caleidoscopiche che rimandano alle vetrate policrome della chiese, intitolati “Pray” (pregare), “Rapture” (estasi), “Hope” (speranza) e “Devotion” (devozione) – in un allestimento che Hirst ha voluto simmetrico ma ridondante. Altamente simbolico. Decisamente barocco. Uno spazio denso, opprimente, che colpisce direttamente al “sistema nervoso” secondo la lezione di Francis Bacon che Hirst sembra tenere molto da conto.

Certo l’artista ha sempre puntato sul sensazionale, facendone una vera e propria firma, ma questa volta è subentrata una cifra pletorica “sporca”, emozionale che segna il passaggio, cui si accennava sopra, dalla razionalità all’irrazionalità, dalla scienza alla religione. Damien Hirst ha detto più volte di pensare alla morte ogni giorno della sua vita. Ed è fuori di dubbio che sia proprio questa ossessione ad informare la sua pratica artistica. E, fino a questa mostra, la medicina come metafora del tentativo di trascendere la morte è stato il suo campo d’indagine e di ispirazione prediletto. Da qui gli animali in formalina e tutta una serie di installazioni e di pitture rigorose su cui aleggia più un senso di “mortalità sospesa” che di immortalità, che è quello infatti che, ad oggi, la scienza ci può garantire. Un limite che ora Hirst cerca di superare appellandosi all’irrazionalità, alla sua massima espressione che è la religione. L’artista - che ha ricevuto un’educazione cattolica, ma oggi si dichiara ateo - preferisce chiamarla “Romance” (poesia), anche se è proprio la religione, con la sua iconografia e le sue nozioni, ad irrompere nella sua più recente produzione per coesistere con la scienza.

Al piano superiore della galleria la mostra continua in una stanza decisamente più piccola dove sono stati allestiti lavori diversi, anche per qualità, che non riescono a entrare in relazione reciproca, come invece avviene nell’installazione al piano terra dove opere vecchie e nuove formano un’omogenea installazione. Vanno però segnalate tre opere: una, intitolata “Memories lost. Fragments of Paradise”, è una versione “sintetica” della teca con le pillole medicinali presentata all’ultima Biennale di Venezia: le dimensioni sono qui ridotte e le pillole sono tutte bianche invece che multicolori.

Di fronte sono appese due tele con pallini bianchi (simili in tutto e per tutto a pastiglie) su fondo bianco, dagli allusivi titoli “Forgive” (perdonare) e “Forget” (dimenticare). La chimica, applicata alla medicina, ci aiuta a dimenticare (anche la nostra mortalità), a perdonare, a lenire sofferenze fisiche e psichiche, portandoci in uno stato di serenità apparente, dove la nostra vulnerabilità è attenuata, ma ancora non garantisce l’immortalità. La religione, almeno quella dello spirito, la promette da sempre. Ma il prezzo da pagare è proprio la sofferenza, come ricordano i martiri dei santi.

Ma da che parte sta Hirst? Probabilmente “in mezzo”, in quella zona simbolica, collocata nel giardino antistante la galleria, dove l’artista ha piazzato l’enorme scultura “Charity”, ingrandimento di una cassetta per l’elemosina, con le fattezze di una commovente bambina storpia, che è stata scassinata e svuotata del suo contenuto come testimonia un piede di porco lasciato ai suoi piedi. Una metafora del cinismo dell’essere umano, della sua pochezza di valori in quella che Hirst chiama, nel titolo della mostra, “Age of Uncertainty” (età dell’incertezza). Lo sguardo della bambina, insieme a quello dell’artista, è rivolto verso la galleria dove è in atto un tentativo di coniugare fede e scienza, emotività e razionalità. Sicuramente oggi le metafore di Damien Hirst sono meno intriganti da un punto di vista intellettuale poiché non hanno zone d’ombra, non lasciano spazio ad interrogativi sul loro significato, ma optano piuttosto per un grado di comunicabilità altissimo in quanto viscerale.
Dire che questo sia un difetto però, o un’involuzione, ci sembra scorretto.

fino a 19.10.2003
Damien Hirst Romance in the Age of Uncertainty
c/o White Cube
Hoxton Square 48, London N1 6PB
http://www.whitecube.com
Damien Hirst, <i>Romance in the Age of Uncertainty</i>, White Cube, Londra. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, Romance in the Age of Uncertainty, White Cube, Londra. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>Jesus and the Disciples</i>, 1994-2003. Acciaio, vetro, pittura, crani di mucche e tori e formaldeide. 45 x 91 x 45 cm (ogni teca). Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, Jesus and the Disciples, 1994-2003. Acciaio, vetro, pittura, crani di mucche e tori e formaldeide. 45 x 91 x 45 cm (ogni teca). Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>Devotion</i>, 2003. Ali di farfalla su tela, 243,8 x 152,4 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, Devotion, 2003. Ali di farfalla su tela, 243,8 x 152,4 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>The Martyrdom of Saint Thomas</i>, 2002. Bacheca in acciaio nichelato e vetro con utensili medici in vetro e oggetti di vario genere, 219 x 211,5 x 26,2 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, The Martyrdom of Saint Thomas, 2002. Bacheca in acciaio nichelato e vetro con utensili medici in vetro e oggetti di vario genere, 219 x 211,5 x 26,2 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>The Suicide of Judas Iscariot</i>, 2002. Bacheca coperta di polvere nera con schienale in acciaio inossidabile, utensili medici in vetro e oggetti di vario genere, 240 x 97,5 x 60 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, The Suicide of Judas Iscariot, 2002. Bacheca coperta di polvere nera con schienale in acciaio inossidabile, utensili medici in vetro e oggetti di vario genere, 240 x 97,5 x 60 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>The Ascension of Jesus</i>, 2002. Armadietto coperto di polvere bianca con schienale in acciaio inossidabile, scaffali in vetro con utensili medici in vetro e una colomba in volo, 355 x 148 x 26,1 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, The Ascension of Jesus, 2002. Armadietto coperto di polvere bianca con schienale in acciaio inossidabile, scaffali in vetro con utensili medici in vetro e una colomba in volo, 355 x 148 x 26,1 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, <i>Charity</i>, 2002. Acrilico dipinto su bronzo, 685,8 (altezza) x 243,8 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista
Damien Hirst, Charity, 2002. Acrilico dipinto su bronzo, 685,8 (altezza) x 243,8 cm. Per gentile concessione di Jay Jopling / White Cube. Copyright © dell’artista

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