Le gigantografie fotografiche “Eternal City” (1998) e “Street with Maps” (1997), hanno in comune l’assemblaggio e l’elaborazione digitale di alcuni elementi prelevati dalla realtà, appartenenti a momenti e vissuti diversi riuniti nello stesso luogo. Nel primo le ragazze in divisa di un centro commerciale, calate nel nuovo contesto, diventano elementi estraniati, parte di una visione virtuale in cui eventi lontani nel tempo condividono lo stesso spazio. E questa convivenza di tempi diversi in uno spazio unico riporterebbe l’opera nella sfera del mito, sinonimo di eternità.
“Street with Maps” raffigura invece una galleria buia con le pareti retroilluminate da planimetrie: una rappresentazione che ricorda la stanza delle mappe delle dimore rinascimentali, un luogo che diventa guida del mondo, ma che nella realtà non esiste. Le mappe collocate lungo il corridoio infatti non conducono in alcun luogo, non hanno nessuna funzione e sono contrapposte a sculture che, emulando la statuaria antica, sono un ulteriore riferimento alla mitologia e al passato.
Fino al 1 marzo 2002
Eternal City
Istituto Giapponese di Cultura
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