Le architetture di Gio Ponti fuori dall’Italia, dalle ville di Caracas ai ministeri di Islamabad

Non solo Milano e il Pirellone: il mito di Gio Ponti si riflette in un atlante di “cristalli” architettonici nel mondo, capolavori luminosi che forse non tutti conoscono.

Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1955 Uno “spettacolo di spazi”, la villa per Anala e Armando Planchart si apre sulla valle di Caracas con una combinazione di doppie altezze, trasparenze e assemblaggio dei diversi elementi costruttivi che punta a comunicare un’idea di superfici sospese. Presto sarà definita una villa “fiorentina”, con grande soddisfazione di Ponti.

Domus 375,  febbraio 1961

Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1955

Domus 375,  febbraio 1961

Istituto Italiano di Cultura – Fondazione Lerici, Stoccolma, Svezia 1954 Esempio di “forma finita” come formulata da Ponti, con i due volumi ben distinguibili dell’istituto con la sua pianta carenata – tema approfondito in quegli anni – e dell’auditorium dove protagonista diventa la tenuta per forma della copertura, sviluppata da Pier Luigi Nervi.

Domus 355, giugno 1959

Istituto Italiano di Cultura – Fondazione Lerici, Stoccolma, Svezia 1954

Domus 355, giugno 1959

Villa Nemazee, Tehran, Iran 1957-64 Ancora un “cristallo”, ancora una composizione di aperture dettata da una partitura grafica asimmetrica sulla facciata, in dialogo coi solidi scultorei all’interno come il camino relazionato alla doppia altezza del soggiorno. Nel 2016 ha rischiato la demolizione per far posto a un hotel.

Immagine originariamente pubblicata su Domus 422

Villa Nemazee, Tehran, Iran 1957-64

Immagine originariamente pubblicata su Domus 422

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968 Ponti si confronta con la sola facciata di questo edificio, interpretando la sua alta opacità come base per una partitura di luce, quella emessa dalle aperture a feritoia la notte, o quella arricchita dal verde splendente delle ceramiche di giorno.

Door Lempkesfabriek - Eigen werk, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4476858

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968

Foto Jan Geerling da Wikimedia Commons 

Denver Art Museum, Denver, Denver County e Colorado, Stati Uniti, 1971 L’unico progetto che Ponti portò a compimento in Nord America: inaugurato nel 1971, il Denver Art Museum si sviluppa come una torre asimmetrica di sette piani e ventiquattro facce, rivestita di piastrelle scintillanti. All'apparenza, ricorda una fortezza. Ilmuseo ha riaperto nel 2021 dopo un importante rinnovamento, affidato agli studi statunitensi Machado Silvetti Architects e Fentress Architects. 

 

Courtesy Fentress Architects

Il mito di Gio Ponti, dell’architetto del Pirellone, del padre del design italiano e del Compasso d’Oro, e ovviamente anche di Domus, è facile da associare a Milano e all’Italia: ma basta poco per accorgersi che la scala del paesaggio di Ponti è in realtà quella del mondo intero.  Il mito di Gio Ponti all’estero infatti è fortissimo, e si lega ad alcune architetture che, come recita il titolo del suo libro, splendono come “cristalli” nella storia e nella cultura architettonica contemporanea. L’aura che circonda queste architetture è enfatizzata oltretutto dalla loro collocazione, luoghi che guardati con gli occhi dell’oggi suonano non scontati – Caracas, Teheran, Denver – ma che assumono significati ben precisi se le si inquadra nelle traiettorie della loro epoca.

Sono tutte traiettorie culturali, quelle che danno origine ai progetti esteri di Ponti; solo, con gradazioni diverse nel loro rapportarsi alla vita pubblica. La prima è quella che connette le borghesie dell’Occidente, in un discorso di affinità di gusti e di riferimenti estetici. La villa L’Ange Volant del 1927, per Tony Bouilhet, erede della storica maison di argenteria Christofle, è l’esempio più chiaro. Ha la stessa età e indirizzo della villa Stein-de-Monzie di Le Corbusier, ma abbraccia tutto quel dialogo che Ponti all’epoca sta intavolando tra classicità e moderno, come testimonia la sua leggendaria casa milanese di via Randaccio.

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968. Foto By Ymblanter - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=85080991

Il discorso però non si ferma, passa per la Romania degli anni ’30 con la collaborazione sulla villa Tataru a Cluj, per poi esplodere in quei manifesti tutti privati ma epocali che sono le ville del dopoguerra in Venezuela e in Iran. La Villa Planchart a Caracas, del 1955, è una trascrizione dell’ottimismo di “amate l’architettura” in forme, luce e colori, proporzione di spazi come il soggiorno a doppia altezza e gli esterni in continuità. È la prima delle tre case pensate per la “joye d’y vivre” (la gioia di abitare), che sarà seguita sempre in Venezuela dalla villa Arreaza, e poi a Teheran dalla villa Nemazee, completata nel 1964, una gemma che ha rischiato la demolizione, anche lei composta per gioco di solidi scultorei e di superfici bucate da forme di diamante.

A disegnare la villa Planchart io ho dedicato tutto me stesso, e in essa ho potuto mettere in atto in pieno il mio modo di pensare un’architettura, nell’esterno e nel 1 interno. Essa obbedisce, nella forma, (nata da dentro) alle vedute ed ai venti ed al giro del sole.

Gio Ponti,  Domus 301, febbraio 1955

Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1955. Domus 375, febbraio 1961

Poi c’ è la traiettoria istituzionale, di un Ponti che crea ponti politici nel mondo attraverso il carattere della sua architettura. C’entra ancora una volta la cultura, che riunisce opere distanti tra loro in termini linguistici ma simili per funzione: il meno noto Istituto italiano di cultura dentro il palazzo Füstenberg a Vienna (1936), e poi quello celeberrimo a Stoccolma del 1954, con la sua forma carenata e il volume estemporaneo dell’auditorium, sviluppato con Pier luigi Nervi. Quella di questi anni è la storia dello studio Ponti Fornaroli Rosselli, che nel 1960 ha creato il suo vero cristallo, icona di uno stile e di una città, il Grattacielo Pirelli, e che elaborando su quel nucleo teorico e poetico ne farà un linguaggio capace di interpretare la nuova vita di città lontane, tanto millenarie quanto appena nate. È il caso di Baghdad, col suo palazzo per gli uffici governativi (1958) che declina in orizzontale il tema volumetrico del Pirellone; è il caso di Islamabad, la capitale di nuova fondazione del Pakistan, dove nei palazzi ministeriali e nel Pakistan House Hotel (1962-64) troviamo invece la trama tutta grafica delle aperture poligonali.

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968. Foto By Ymblanter - Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=85080990

A questo punto siamo alla presenza di un Ponti che incarna il global architect, portando per il pianeta un verbo ben identificato che gli viene richiesto – un moderno dalle note emotive ed estetiche, plastico e grafico, per un certo periodo, un sinonimo di design e architettura italiana – e che di caso in caso darà luogo a risultati quasi sempre unici. Basta pensare a New York, al tripudio di formelle e sculture co-firmato con Fausto Melotti per gli uffici Alitalia sulla 5th Avenue – un’antifona al Parco dei Principi di Sorrento? – e al gesto quasi provocatorio, a poca distanza, dell’auditorium-cristallo posato sopra l’ottavo piano del Time-Life building nel 1959.   Ormai le commesse spaziano, c’è il De Bijenkorf a Eindhoven (1968) con la partitura su ceramica verde delle sue facciate, ma c’è un’altra partitura leggendaria che è quella attorno ai prismi celesti del Denver Art Museum in Colorado, due anni dopo. Ci sono esperienze a Hong Kong con il Shui Hing Department Store e poi con la Villa per Daniel Koo a Tai Tam, arriva il décor per una facciata a Singapore nel 1973.

Istituto Italiano di Cultura – Fondazione Lerici, Stoccolma, Svezia 1954. Domus 355, giugno 1959

Tutto dove arriva, anche se il risultato finale può essere il risultato di una qualche negoziazione o rielaborazione, l’architettura di Ponti porta la cifra di un moderno personale, e profondo nell’accogliere le sue connessioni con la continuità della storia e con la necessità umana dell’arte: e non diventa una sorpresa riconoscere come una vicenda che siamo abituati a collocare solidamente a Milano, sia in realtà da mettere su una scena grande quanto il mondo intero.

Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1955 Domus 375,  febbraio 1961

Uno “spettacolo di spazi”, la villa per Anala e Armando Planchart si apre sulla valle di Caracas con una combinazione di doppie altezze, trasparenze e assemblaggio dei diversi elementi costruttivi che punta a comunicare un’idea di superfici sospese. Presto sarà definita una villa “fiorentina”, con grande soddisfazione di Ponti.

Villa Planchart, Caracas, Venezuela, 1955 Domus 375,  febbraio 1961

Istituto Italiano di Cultura – Fondazione Lerici, Stoccolma, Svezia 1954 Domus 355, giugno 1959

Esempio di “forma finita” come formulata da Ponti, con i due volumi ben distinguibili dell’istituto con la sua pianta carenata – tema approfondito in quegli anni – e dell’auditorium dove protagonista diventa la tenuta per forma della copertura, sviluppata da Pier Luigi Nervi.

Istituto Italiano di Cultura – Fondazione Lerici, Stoccolma, Svezia 1954 Domus 355, giugno 1959

Villa Nemazee, Tehran, Iran 1957-64 Immagine originariamente pubblicata su Domus 422

Ancora un “cristallo”, ancora una composizione di aperture dettata da una partitura grafica asimmetrica sulla facciata, in dialogo coi solidi scultorei all’interno come il camino relazionato alla doppia altezza del soggiorno. Nel 2016 ha rischiato la demolizione per far posto a un hotel.

Villa Nemazee, Tehran, Iran 1957-64 Immagine originariamente pubblicata su Domus 422

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968 Door Lempkesfabriek - Eigen werk, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=4476858

Ponti si confronta con la sola facciata di questo edificio, interpretando la sua alta opacità come base per una partitura di luce, quella emessa dalle aperture a feritoia la notte, o quella arricchita dal verde splendente delle ceramiche di giorno.

Grande magazzino De Bijenkorf, Eindhoven, Paesi Bassi 1968 Foto Jan Geerling da Wikimedia Commons 

Denver Art Museum, Denver, Denver County e Colorado, Stati Uniti, 1971 Courtesy Fentress Architects

L’unico progetto che Ponti portò a compimento in Nord America: inaugurato nel 1971, il Denver Art Museum si sviluppa come una torre asimmetrica di sette piani e ventiquattro facce, rivestita di piastrelle scintillanti. All'apparenza, ricorda una fortezza. Ilmuseo ha riaperto nel 2021 dopo un importante rinnovamento, affidato agli studi statunitensi Machado Silvetti Architects e Fentress Architects.