Altri 3 architetti cinesi che avrebbero potuto vincere il Pritzker

Dopo Ieoh Ming Pei (1983) e Wang Shu (2012), con Liu Jiakun il Premio Pritzker è tornato in Cina: un paese che è un grande laboratorio di sperimentazione, dove i nomi rilevanti sono tanti e spesso ignoti all’Occidente.

Guardando alla storia del Premio Pritzker, si possono individuare tre grandi fasi geografiche: tra il 1979 e il 1994 ha dominato il Nord America, dal 1995 al 2010 è stata l’Europa a prendersi la scena e, negli ultimi quindici anni, l’Asia è diventata il nuovo epicentro. Dal 2010 a oggi, otto vincitori asiatici – cinque giapponesi, due cinesi, un indiano – testimoniano le traiettorie dell’innovazione architettonica. Questa lettura geografica non è un caso, ma riflette l’evoluzione della disciplina in parallelo con le trasformazioni economiche, sociali e culturali globali.

L’Asia, oggi protagonista della scena internazionale, ha dimostrato una straordinaria capacità di reinterpretare il proprio patrimonio costruttivo e paesaggistico in chiave contemporanea, rispondendo con nuove strategie progettuali ai processi di urbanizzazione, alla crisi ambientale e alla necessità di modelli abitativi innovativi. Quest’anno il Pritzker è stato assegnato a Liu Jiakun, un riconoscimento che conferma il peso crescente dell’architettura cinese nel dibattito internazionale. Negli ultimi anni, il premio ha valorizzato sempre più quei progettisti capaci di trarre ispirazione dal contesto culturale e geografico del proprio ambito d’azione, trasformando tecniche e materiali locali in strumenti di innovazione.

La Cina, in particolare, rappresenta oggi un laboratorio di sperimentazione unico, in cui l’architettura si sviluppa su scale estremamente diverse. Dalle metropoli iper-dense ai villaggi più remoti, molti altri avrebbero potuto ambire al Pritzker, tra cui Neri & Hu, noti per il loro lavoro sul riuso e la trasformazione dell’esistente; Vector Architects di Dong Gong, capaci di fondere architettura e paesaggio in maniera poetica; e MAD Architects, che con il loro approccio in grado di assorbire e catalizzare le complessità dei contesti in cui operano – in particolare attraverso il manifesto della “Shanshui City” – hanno ridefinito il rapporto tra natura e urbanizzazione. E ancora, studi come Urbanus e Trace Architecture Office, tra gli altri, stanno riscrivendo il ruolo dell’architettura nel contesto urbano e rurale cinese. Tuttavia, tre figure in particolare forse avrebbero meritato il Pritzker per la loro capacità di sintetizzare cultura locale e ricerca sperimentale in progetti che influenzano il dibattito architettonico globale.

L’architettura in Asia sta vivendo una stagione straordinaria che non si limita alla grande trasformazione strutturale della società, ma trova nella capacità di guardare tanto alla tradizione quanto alla dimensione globale una sintesi che, in questo momento storico, non ha eguali. Se il Pritzker negli ultimi anni ha premiato figure capaci di restituire, attraverso il progetto, un ritratto complesso e sfaccettato della contemporaneità, non ci sarebbe da stupirsi se la Cina continuerà a essere protagonista del dibattito architettonico globale, con nuovi interpreti pronti a ridefinire il linguaggio e i paradigmi della disciplina.

Scorri la gallery e scopri quali sono i tre studi 

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