Nell’ultimo secolo, l’accentuarsi del fenomeno di sprawl urbano spesso dettato da interessi speculativi più che demografici, il contestuale abbandono di una vasta edilizia consolidata (prevalentemente ma non solo produttiva) a causa del cambio di rotta del mercato globale, e la diffusione di una sensibilità ecologica sempre più al consumo di energia e di suolo hanno gettato le basi per la diffusione della pratica di “riuso adattivo”: un approccio” radicale” al recupero che consiste nell’adattare un bene architettonico esistente a una destinazione d’uso spesso completamente diversa da quella originaria sulla base di nuove esigenze sociali e funzionali, senza tuttavia comprometterne la fisionomia e il valore storico-testimoniale.
Così, edifici obsoleti e abbandonati (quei “cadaveri d’architettura insepolti” di cui parlava Ernesto Nathan Rogers) tornano a riaccendersi di vita grazie ad interventi in cui la capacità di lettura e valorizzazione del contesto non ha pregiudicato l’adozione di un lessico efficace ed nel ridisegno degli spazi per la nuova destinazione d’uso. Domus ha raccolto alcuni iconici esempi di riuso adattivo: dagli interventi che trasformano un patrimonio dismesso in un epicentro di nuove energie creative (La Fábrica), culturali (Musée d'Orsay, 126 Tate Modern, Mattatoio Roma, Fondazione Prada, Mocaa) e sociali (Berghain, Highline New York), a quelli che reinventano containers scartati dal processo produttivo allo scopo di soddisfare un fabbisogno ricettivo e abitativo, a costi ridotti ma senza rinunciare al piacere di “riviverli” (Cité ä Docks, Little River).