10 progetti in dialogo con l’acqua: le architetture anfibie selezionate da Domus

Quando l’acqua diventa elemento poetico, o ragione stessa di una scelta progettuale, nascono storie di architetture uniche o rivoluzionarie: ne abbiamo selezionate 10, tra Carlo Scarpa e Snøhetta, passando per il Rio delle Amazzoni.

Se non si considerano gli effetti talvolta devastanti che la sua forza incontrollabile può produrre (dai tempi di Noè), l’acqua, elemento fondamentale della vita sul pianeta, diventa un mezzo di progettazione più spesso di quanto non sembri, interagendo col disegno architettonico che, parafrasando il film di Guillermo del Toro (“La forma dell’acqua”, NdA), conferisce alla sostanza fluida una “forma”.

Sopra, sotto, di fronte, attraverso l’acqua: sono alcune delle molteplici declinazioni progettuali lungo il solco tracciato da Vitruvio che, nel libro Ottavo del “De Architectura”, ascriveva al prezioso liquido una duplice valenza: funzionale, come infrastruttura che innerva la città e il territorio, e poetico/filosofica, come strumento di indagine scientifica sulla struttura dell’Universo, evocativa di intimi equilibri tra artificio e natura. Diventa evidente come, a dispetto di ogni assunto, sia spesso l’acqua a dare forma e funzione all’architettura. Lo fa oggi più che mai, in un contesto di crisi climatica che con l’innalzamento del livello marino porta la sparizione di interi tratti costieri, la ricollocazione di insediamenti quando non di intere città, e la nascita di nuove tipologie per città dempre più d’acqua come Kunlé Adeyemi di NLÉ ci ha mostrato con le sue pluripremiate Floating Schools sviluppate in Nigeria.

Kunlé Adeyemi, scuola galleggiante alla Biennale Architettura 2016. Foto Jacopo Salvi. Courtesy La Biennale di Venezia

In sintonia con questo approccio duale, proponiamo una selezione di opere progettate da grandi architetti che, nonostante le differenze linguistiche e di contesto, interpretano l’acqua come materiale “strutturante” della progettazione, appianando la dicotomia tra funzione e poetica. Opere che vengono a patti con l’aleatorietà dell’elemento naturale, senza opporvisi ma introiettandolo nella costruzione (Carlo Scarpa; De Urbanisten); che si adattano ad esso come architetture “anfibie” (Baca Architects, Leticia); che ne fanno una presenza intimamente intrecciata alla propria vita (Luis Barragán; Álvaro Siza); che sfruttano il paesaggio acquatico per le sue caratteristiche funzionali legate all’individuo e alla collettività (Louis Kahn; Ro&ad) o per aprire nuove prospettive su paesaggi inusuali (Diller Scofidio + Renfro, Snøhetta).

In generale, si tratta sempre e comunque di architetture viventi che mutano nelle configurazioni, nelle modalità percettive e fruitive, nei riflessi di luce in funzione del liquido imprevedibile con cui si interfacciano, proprio come fosse la materia amorfa e inafferrabile a dare forma (e sostanza) alla materia solida e inerte, e non viceversa.   

Immagine di apertura: Il Teatro dell'Opera di Oslo. Foto VisitOslo da Flickr

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