Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1105, ottobre 2025.
È passato un po’ in sordina il diktat del 20 gennaio 2025, giorno dell’incoronazione bis del presidente americano Donald Trump, che tra un ordine esecutivo sui confini, l’altro sui dazi e un terzo sul gender ha trovato il tempo di occuparsi anche d’estetica pubblica.
“The Donald” rispolverava infatti una delle sue idee fisse: tutti gli edifici pubblici americani dovranno essere “rispettosi del patrimonio architettonico classico”. Basta con la modernità, torniamo al caro tempo antico, quando l’architettura sapeva il fatto suo e teneva alto il buon nome della nazione.
Molti si sono interrogati nei mesi passati su cosa significhi esattamente la classicità secondo il vangelo trumpiano. Ma, in fondo, è semplice. Tutto ciò che è venuto prima del Novecento è bene, tutto il resto è male. Anzi, peggio: è peccato. Via il Movimento Internazionale, via il Modernismo, l’Espressionismo, il Brutalismo, peraltro tornato alla ribalta con il successo di The Brutalist. E via persino il Googie, genere futuristico che trasformava i drive-in in navicelle spaziali. Siamo al paradosso del paradosso. Per difendere lo spirito americano, Frank Lloyd Wright, il più grande architetto che l’America abbia mai partorito, il padre dell’architettura organica che decenni prima della sostenibilità ha saputo far dialogare pietra e natura come nessun altro, viene spedito dritto all’inferno modernista. Troppo avanti, troppo libero, troppo indipendente.
L’America di Trump ha già scritto il suo programma estetico. Diventerà un grande parco a tema del proprio passato, popolato di edifici che guardano nostalgicamente all’indietro mentre il mondo corre in avanti.
Con questo provvedimento, il presidente ha chiesto ai responsabili delle agenzie federali e alla General Services Administration, l’organizzazione che gestisce gli edifici e i beni immobiliari federali, di fornire entro 60 giorni raccomandazioni per allineare l’architettura federale ai principi tradizionali e “classici”. Ossia lo stile georgiano, il revival greco, il gotico e altre correnti precedenti l’era modernista. “Gli edifici pubblici federali dovrebbero essere visualmente identificabili come edifici civici”, recita il decreto con la solennità comica del linguaggio burocratico che nasconde sempre il ridicolo delle intenzioni. Devono “suscitare l’ammirazione del pubblico” e “nobilitare gli Stati Uniti”. Nessun amore per la bellezza, ma paura della creatività. L’idea del “bello codificato”, del “canone per legge”, corrisponde al principio secondo il quale l’arte anziché interrogare il potere debba esser al suo servizio. L’estetica, invece di stupire, deve rassicurare.
Non c’è bisogno di tornare all’arte degenerata della Germania del 1933. Tutta la storia insegna che, quando il potere inizia a dettare cosa è bello e cosa è brutto, siamo sempre all’inizio di qualcosa. In genere, però, è qualcosa di antiestetico e quindi anti-etico. L’America di Trump ha già scritto il suo programma estetico. Diventerà un grande parco a tema del proprio passato, popolato di edifici che guardano nostalgicamente all’indietro mentre il mondo corre in avanti. Peccato, perché una società che ha paura delle forme nuove è una società che ha paura di guardarsi allo specchio. Quando si ha paura di ciò che si è diventati si guarda indietro, finendo per non vedere più che cosa succede davanti. Ma forse è proprio questo l’intento.
Immagine di apertura: Il presidente Donald Trump e la first lady Melania Trump arrivano al South Lawn per partecipare all'annuale Easter Egg Roll della Casa Bianca, lunedì 21 aprile 2025. Foto By The White House - Public Domain
