Torino è un dancefloor: 20 anni di C2C raccontano la metaformosi della città

Due decenni del festival musicale indoor più importante d’Italia sono lo specchio della trasformazione della ex capitale industriale d’Italia, che non ha mai rinunciato a un ruolo culturale d’eccezione, anche quando l’urbanistica sembra remare contro.

“Sarà una edizione monumentale”, annuncia Sergio Ricciardone, fondatore e direttore creativo di C2C. Il festival musicale, tra gli imperdibili del 2022 secondo la bibbia musicale millennial Pitchfork, è da anni tra i più apprezzati d’Europa. Per l’edizione del ventennale spiccano i nomi della hyperpop star Arca, dei tecnoguru Autechre, del ragazzo d’oro della musica brit Jamie XX e della rising star Pa Salieu, più un’italiana già cult, Caterina Barbieri: si esibiranno come oramai consuetudine nel primo weekend di novembre a Torino, dove il festival è nato come Club to Club – nome con cui ci ostiniamo tutti a chiamarlo –, per una edizione già sold out da tempo.

Sperimentale, avanguardistico, o meglio “avant-pop” come ama definirsi, il festival è stato l’esito del trionfo della club culture, ma anche della scia lunga dell’incredibile fervore creativo di Torino di metà anni ’90, spiega Ricciardone. Erano gli anni della rinascita di una città che aveva capito che la Fiat non poteva più essere al suo centro, che rigenerava “come luogo artistico e di libertà” spazi ex industriali come i Docks Dora, un complesso di magazzini nella periferia nord un tempo raccordato con la ferrovia, o gli approdi sulla sponda occidentale del Po, i Murazzi, riconvertiti a brulicante formicaio di localini. “Era una Torino entusiasmante”, ricorda Ricciardone, che l’aveva preferita a Londra come base “perché tutto era più facile e sostenibile”, molto simile alla Berlino del dopo-Muro. E il Club to Club “un festival che si occupava di avanguardie artistiche”, destinato a crescere anno dopo anno e ospitare nomi stellari e imprendibili come Aphex Twin e Thom Yorke. E Franco Battiato nel 2014, “in un’edizione che in qualche modo ha cambiato nel corso del festival”.

C2C, LINGOTTO, Foto Andrea Macchia
C2C, Lingotto. Foto Andrea Macchia

La nuova Torino post-industriale

È proprio a metà dei roboanti anni ’90 che viene ufficializzato il nuovo piano regolatore di Torino, il Gregotti-Cagnardi, dopo un lavoro quasi decennale e incorporando quasi 200 varianti. Ridisegna la città come il mondo la conoscerà con le Olimpiadi Invernali del 2006 – apice e al tempo stesso simbolico capolinea dell’effervescenza della città –, con l’interramento della ferrovia che permette di riconnettere due parti fino a quel punto separate (la Spina Centrale), soprattutto ripensando la grande eredità lasciata da una fase industriale oramai a fine corsa. Il piano dribbla l’utopia di convertire l’ex patrimonio industriale pesante in nuove forme di produttività (leggi terziario avanzato e cultura), ma va incontro al mercato: le ex-fabbriche sono demolite per lasciare spazio a nuovi complessi residenziali.

Proposte di “recuperi” per il Lingotto. Domus 651, giugno 1984
Proposte di “recuperi” per il Lingotto. Domus 651, giugno 1984

“Questa non è una città che sa premiare le sue avanguardie culturali”, commenta Luca Ballarini, che con Bellissimo ha curato la comunicazione di Club to Club fino al 2016. Da qualche anno organizza con TorinoStratosferica un importante festival di city making, Utopian Hours. Da torinese, ricorda la città degli anni ’90 come “inaspettata, psichedelica, un po’ Berlino”, e rimpiange che il fascino dei luoghi industriali non sia stato colto: “si poteva rigenerare in maniera più virtusa”, sintetizza, magari recuperando di tutte le fabbriche dismesse almeno una manciata, tirandone fuori uno spazio multiculturale “legato alla parte magica della città”, quella delle grandi architetture dell’archeologia industriale, che oggi manca. Torino resta bellissima, taglia corto Ballarini. Ma forse ha costruito forse troppe abitazioni, considerando anche l’involuzione demografica del capoluogo dagli anni Settanta a oggi.

Domus 889, Febbraio 2006
La struttura storica dei dismessi Mercati Generali convertita – su progetto di Albert Constantin, Benedetto Camerana e Giorgio Rosental – in centro servizi destinato al sistema olimpico. Nella foto il ponte pedonale di collegamento con il Lingotto (disegnato da Hugh Dutton Associes e Benedetto Camerana), simbolo delle olimpiadi torinesi. Domus 889, febbraio 2006

OGR e Lingotto, le cattedrali di Torino

Caso emblematatico sono le Officine Grandi Riparazioni, una eccellenza nella raccomodatura dei treni fino all’inizio degli anni Novanta, quando vengono chiuse. Il degrado arriva velocemente, nel piano Gregotti-Cagnardi vengono sacrificate per recuperarne i 20mila metri quadri di superficie. Collocate tra la zona signorile di Crocetta e quella ex produttiva di San Paolo, sono “una cattedrale”, come le definisce il fotografo Daniele Ratti, che ne ha documentato il processo di recupero che le ha trasformate in uno spazio multifunzionale, durato un lustro e costato alla Fondazione CRT circa 100 milioni di euro.

Le Officine Grandi Riparazioni (OGR), Torino
Le Officine Grandi Riparazioni (OGR), Torino

Oggi, quel luogo “dotato di un’anima unica” è una delle eccellenze di Torino, un caso da manuale di recupero dell’archeologia post-industriale – anche se lo stesso Ratti, alle spalle una formazione da architetto, osserva che una viabilità migliore le valorizzerebbe di più. “Ma questa è Torino, una città in perenne undestatement”. 

La campata nord della Officina Grandi Riparazioni (OGR) del 1895 pubblicata su Domus 1002 nel maggio 2016
La campata nord delle Officine Grandi Riparazioni (OGR) del 1895 pubblicata su Domus 1002 nel maggio 2016

Dall’anno dell’inaugurazione, il 2017, OGR figura tra le location di C2C; altra presenza simbolo dell’archeologia industriale torinese è Lingotto, l’area fieristica recuperata dall’ex grande stabilimento Fiat nato in scia al boom siderurgico della Grande Guerra, involutosi in “conchiglia fossile” a causa della deindustrializzazione, così lo definiva Domus a metà anni Ottanta, negli anni in cui Renzo Piano lo ripensava: “qualunque sia la sua destinazione finale, ha scritto profeticamente Reyner Banham, il Lingotto ha soprattutto bisogno di Metallo! Benzina! Rumore! Odore! Bestemmie Proletarie” – sempre da Domus 651.

Domus 651, giugno 1984
Nel 1984, Domus dedica un lungo articolo al Lingotto, la cui struttura non era ancora stata rigenerata dal progetto di Renzo Piano. Domus 651, giugno 1984

“Torino ha tre anime e il festival le abita tutte”, racconta a Domus Ricciardone: la dimensione regale, quella dei Savoia, con spazi come il Teatro Carignano o la Reggia di Venaria; quella contemporanea, come Porta Palazzo, melting pot a ridosso del fiume Dora che ospita il mercato più grande d’Europa. E poi appunto la Torino post-industriale.

Eliporto Lingotto, Torino
La rampa sud del Lingotto, Torino

Torino come un dancefloor diffuso

Come racconta il nome, il festival nel 2002 nasce nei club con una doppia edizione. E l’elenco delle venue dell’epoca (Barbar, Barcode, Jammin’), racconta un’altra archeologia, quella della scena del clubbing torinese. “Non erano discoteche, ma luogo di sperimentazione, una istanza culturale”, spiega Sergio Ricciardone, “una affermazione della propria identità, in costante dialogo con una comunità”. Anticipando la crisi globale di quel sistema, Club to Club presto inizia ad allargarsi e variare, sperimenta il nomadismo delle location mentre allarga i generi, integrando i live accanto ai dj set. Sconfinando alla Fondazione Sandretto Re Baudengo, landmark dell’arte contemporanea di Torino, o al Teatro Juvarra.

Perdendo il club dal nome e diventando infine C2C – “dove la C sta per tante cose, cultura per esempio” –, ma la filosofia resta quella degli esordi, di quando “ci eravamo immaginati la città come un grande dancefloor”, come cristallizza Ricciardone: un dancefloor per una comunità che quest’anno conterà 35mila persone. Il più grande festival indoor d’Italia.

C2C, LINGOTTO. Foto Andrea Macchia
C2C, Lingotto. Foto Andrea Macchia

Torino e le altre

Torino è un dancefloor: ma non solo. Scorrendo le edizioni passate, c’è un altro aspetto che balza subito all’occhio: il continuo dialogo con altre città. Berlino, Barcellona, Bruxelles, Rotterdam ospitano eventi ed edizioni satellite del festival. E poi c’è il gemellaggio con Milano, che parte nel 2007 sull’asse di una relazione che da secoli plasma l’identità delle due principali città del Nord Italia, oramai vicine qualche decina di minuti di alta velocità. Due città “che andrebbero viste come un’unica”, è la provocazione di Luca Ballarini, che menziona l’esempio di tante metropoli gemelle e menziona il caso del Politecnico, “che dovrebbe essere uno: raggiugerebbe un ranking stellare”.

Così vicine, così diverse: da un lato Milano, che dopo Expo non ha mai smesso di crescere, e ora procede a spron battuto verso le Olimpiadi del 2026; e dall’altro Torino, che venti anni prima nei Giochi ha trovato la sua consacrazione. “Una città che si accontenta, che vive di rendita”, spiega Daniele Ratti, “una città che rischia di essere sempre un ‘poteva essere’”. Ma è anche, prosegue il fotografo, una città che non è mai stata così bella, Torino, e vivibile e interessante. Con un costo della vita tutto sommato basso, una città a misura d’artista, attraversata da momenti culturali di livello internazionale come il Salone del Libro o Artissima, il già citato Utopian Hours, da tanti festival musicali – Kappa Futurfestival e Movement nomi da citare sicuramente accanto a C2C – e da iniziative come Paratissima, che permettono di scoprire angoli dismessi ancora inesplorati della metropoli piemontese: come carceri, mattatoi, caserme.

   

Verso una nuova identità

Dopo gli anni di stop causa pandemia, durante i quali il festival si è sporificato in una serie di eventi di scala minore, questa edizione segna il gran ritorno del C2C, che evolve la sua identità con un nuovo logo, composto da una figura alata “che sostituirà in qualche modo il nome stesso del festival”, spiega Ricciardone. Due le location principali – OGR, definito “un luogo dalla bellezza incredibile”, e Lingotto, che vivrà grazie a installazioni ed esperienze multidisciplinari, come quella disegnata da Anonima Luci in collaborazione con la galleria BDC di Parma.

C2C, Torino
C2C, Torino

È il nuovo inizio di un evento che non ha mai smesso di volersi immaginare libero come negli anni in cui è nato. E il ritorno in presenza, per Ricciardone, è un segno importante, che riguarda prima di tutto il ruolo del corpo delle persone, “minacciato sempre di più dal metaverso, dal nostro status di consumatori digitali”. Non sarà mai solo musica, insomma: che Torino sia una città dove si costruisce avanguardia è un concetto chiave sottolineato più volte Ricciardone nel corso della nostra conversazione. Non è un paradosso, dunque, ma il segno di una storia oramai importante, che C2C sia un festival “orgogliosamente analogico”, in anni in cui la digitalizzazione, il nostro upload collettivo nel cloud, sono quasi scontati. Analogico, anche perché legato in maniera indissolubile alla città dov’è nato e all’identità dei suoi luoghi.

Immagine in apertura: Piano Regolatore Generale Comunale di Torino, progetto definitivo (approvato 1995); schema di struttura. © Gregotti Associati International. Courtesy MuseoTorino

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