Torino, dalla città immaginata all’intervento sul campo

Il laboratorio collettivo di city-imaging Torino Stratosferica ha inaugurato l’anno scorso il Precollinear Park. Il fondatore Luca Ballarini, in dialogo con Domus, racconta come si reimmagina una città, l’importanza dell’underground e cosa significa passare dalla teoria alla pratica.

Nato da un’idea di Luca Ballarini – fondatore dello studio di design e comunicazione Bellissimo e presidente di Open House Torino – Torino Stratosferica si presenta come un laboratorio collettivo di city-imaging, intento a sperimentare il potere creativo dell’immaginazione urbana. “A oggi la nostra realtà fa tre cose” ci spiega. “La prima, che è l’esperimento collettivo di city imaging, consistere nel creare immagini della città. In parallelo abbiamo lanciato il festival “Utopian Hours”, momento di divulgazione di temi urbani. La terza e ultima identità è quella inaugurata da un anno o poco meno. Siamo scesi in campo concretamente”. A Torino, infatti, un viale alberato lungo i binari del tram in corso Gabetti si è trasformato la scorsa estate nel Precollinear Park, un nuovo spazio verde di quartiere nato da un progetto di riuso temporaneo. Attraverso la stessa scala di intervento il gruppo sta ora cercando di riprogettare anche il Lungo Dora torinese.

Abbiamo approfittato dell’occasione per dialogare con il team del progetto, per parlare del fare città e di cosa significhi lavorare sull’immagine di questa, coinvolgendo nella conversazione altri due torinesi: il designer Teo Sandigliano, e Giovanni Comoglio, contributor di Domus.

Luca Ballarini

Domus: Siete passati da una parte teorica a una più pratica con il Precollinear Park. Cosa avete imparato da questo passaggio?
L.B.: Direi praticamente tutto, la teoria si muove su altri binari. Prima di tutto c’è l’interazione con altre persone, che è stata tutta un’esperienza nuova. Ci sono tutte le questioni amministrative. Noi abbiamo opzionato una semplice e diretta concessione temporanea, dove le responsabilità sono tutte su di noi, ma ci assicura possibilità più aperte in termini di fattibilità e progettualità.

Domus: Se dovessi raccontare la specificità di Torino, come definiresti l’anima su cui si può basare un suo ripensamento radicale?
L.B.:
Da un lato credo che le città siano dei pattern, delle forme che si ripetono. Io credo nella possibilità di riconoscere dei pattern urbani specifici di città in città. Ci sono in tutte le città degli elementi urbani che sono la stratificazione di lavori antropici, più o meno sempre simili. Detto ciò Torino la vedo anche in questo modo, una città che per tante cose è uguale a tante altre città, e la sua specificità sicuramente non ha nulla di urbano: la geografia e il fatto di essere in una posizione piana circondata da un lato dalle colline, dall’altra dalle montagna e con il passaggio di quattro fiumi. Questo è già di per sé una forza intrinseca. Credo che anche il Theatrum Statuum Sabaudiae dei Savoia arrivi da lì, avanguardia di marketing urbano. Nel 1682 Torino rischia di essere spazzata via dalla mappa europea, ma i Savoia si inventano un racconto urbano e raffigurano un’immagine della città che è al 90% irreale. Ecco perché noi diciamo che le città sono armi mentali.

L’immagine della città è qualcosa di importante tanto quanto la città stessa, in un'ottica di relazione con il mondo

Domus: L’esperienza del Precollinear Park diventerà un modello riapplicabile su altre città?
L.B.:
Sicuramente il modo in cui noi vediamo la città non è mai stato Torino-centrico. La nostra città è semplicemente un test-bed, il territorio in cui siamo e operiamo. Non sarebbe diverso farlo a Milano, a Napoli o ad Anversa, credo che l’attitudine sarebbe assolutamente la stessa. 

Domus: Torino Stratosferica non più solo a Torino?
L.B.:
A breve il nostro progetto cambierà pelle e si chiamerà soltanto Stratosferica. Torino Stratosferica ovviamente rimane come progetto city specific, ma diventerà solo uno dei progetti di questa realtà. Poi è chiaro che nel progetto ogni volta devi studiare il contesto. Un conto è portarsi dietro il know-how e l’attenzione a certi aspetti specifici, un altro è voler replicare progetti con lo stampino, perdendo totalmente la dimensione site specific.

Teo Sandigliano: L’aspetto che più mi interessa in questi progetti è il city making che si trasforma in citizen making. In un momento come questo questo potrebbe formare una nuova visione di città dal punto di vista dei cittadini.
L.B.:
È una cosa su cui abbiamo riflettuto all’inizio dell’anno, ragionando sul tema del prossimo festival (The 1000-minute city) ed è una conseguenza del fatto che noi immaginiamo la città non più esclusivamente un luogo concentrato, un magnete attrattivo, ma questa smaterializzazione di beni, servizi e dispersione dei cittadini sta creando una nuova dimensione urbana. Non dobbiamo solo preoccuparci della città, ma anche del cittadino: cosa lo costituisce, cosa si può fare per essere cittadini anche in aree non urbane, e di conseguenza anche come rifare le nostre città.

T.S.: Parliamo del confronto tra città e campagna. Tutta l’architettura ha fino ad adesso creato un limite tra questi due ambienti, ma vedo nelle vostre visioni una volontà di ampliare il confine dell’urbano. Non c’è più quindi questa definizione di campagna lontana, ma diventa un elemento caratterizzante o di sperimentazione all’interno della città stessa.
L.B.:
Io riconosco che la megalopoli intensa ha una sua forza dirompente anche in totale contrasto con la natura. Allo stesso tempo le migliori esperienze urbane che ho vissuto avevano in sé sempre elementi naturali prioritari. Noi facciamo dei fiumi e del verde un cavallo di battaglia e sono convinto che dalla natura possiamo trarre una forza anche per riprogettare le città. In questo senso cito il masterplan di Tel Aviv di Patrick Geddes, dove riesci veramente a connetterti contemporaneamente con l’ambiente naturale e urbano. Quando vedi una città che è stata progettata nei suoi viali, nei suoi spazi, affinchè l’urbano e il naturale si compenetrassero in una forma quasi utopica, capisci veramente che cos’è l’urban ecology.

Torino Stratosferica, Precollinear Park, Torino, Italia, 2020

Domus: C’è differenza in un progetto urbano pensato per una comunità locale, rispetto a uno disegnato per un pubblico più globale?
L.B.:
Il rapporto tra Torino Stratosferica e il mondo è duale e biunivoco. Se da un lato portiamo il meglio di Torino al mondo facendone vedere le potenzialità, dall’altro invece vogliamo portare i progetti più di avanguardia a Torino. Rappresentiamo questo tipo di avanguardia urbana da noi, sperando che tutti possano venire durante “Utopian Hours” a sentire questi casi internazionali, che diventano di conseguenza anche landmark, patrimonio del turista. Sicuramente noi cerchiamo di guardare la nostra città con con gli occhi con cui la vedono gli stranieri. Questo è lo sguardo che io pongo sulle città quando le visito, lo sguardo di una persona che dopo poche ore inizia a immaginare una vita lì.

Giovanni Comoglio: Il Precollinear Park di sicuro si rapporta con una città fisica, legato al fiume alla colline. Da un punto di vista di una cornice più ampia, che scena trova e che scena dovrebbe creare un approccio di questo genere?
L.B.:
L’immagine della città è qualcosa di importante tanto quanto la città stessa, in un'ottica di relazione con il mondo. Quanto possiamo contribuire a creare una immagine della città che aiuti la città stessa a crescere in una certa dimensione, più libera, più bella, più attrattiva, più evoluta? In questo senso tutte le narrazioni su di una Torino chiusa sono critiche senza senso, fatte da persone che non escono mai dal centro città. Chi invece sperimenta nella notte, nel clubbing, nell’underground, nella cross-disciplinarietà, ha una percezione molto diversa della città. In questo senso noi abbiamo la responsabilità di contribuire ad una immagine della città più positiva. Il nostro è anche un appello all’industria creativa e culturale, non possiamo solo consumare cultura, dobbiamo anche produrre cultura urbana. E la cultura urbana si produce anche grazie a pratiche come il Precollinear Park, attorno al quale orbitano quegli elementi identitari della città, come il fiume e la collina, che possono essere immediatamente colti da chi arriva. È un progetto molto umile che forse avrà anche vita temporanea, ma è un esempio concreto di come si può creare un’immagine della città pronta ad andare in un’altra direzione.

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