Carlo Ratti e Daan Roosegaarde rispondono a David Chipperfield

Pubblichiamo in esclusiva sul sito di Domus il contributo di Carlo Ratti e Daan Roosegaarde al dibattito innescato dal guest editor 2020, sulla scia della risposta di Jacques Herzog pubblicata sul magazine di ottobre.

Caro David,

I.

Ci hai domandato cosa dovrebbero fare gli architetti per l’inequivocabile e incombente catastrofe ambientale. Per la disuguaglianza sociale. Per la povertà. Per la degradazione delle risorse del pianeta. Per la pandemia che ci ha scaraventati in una realtà surreale che merita di essere descritta. Vorremmo rispondere: possiamo e dobbiamo fare molto.

Non vogliamo dare una visione pessimistica dell’architettura. È vero che tale professione è legata alle volontà del committente e alle leggi economiche che regolano i nostri flussi di reddito. È vero che gli architetti hanno sempre tenuto compagnia ai potenti del mondo. Tuttavia, non possiamo lasciarci condizionare da un approccio così vicino alla Realpolitik, o forse alla Realarchitektur.

Ad oggi, abbiamo disperatamente bisogno di soluzioni progettuali e architettoniche che riprogrammino le città colpite dalla pandemia. Il nostro mondo è improvvisamente inondato da barriere di plastica, adesivi per la distanza e persone che non sono più libere di stringersi la mano. Nel bel mezzo di tali questioni globali, ogni giorno sorgono nuove domande, la cui risposta, però, è spesso un mediocre o inconsapevole design. I governi e gli scienziati stanno cercando una via d’uscita, ma come possiamo contribuire a una migliore esperienza umana? Come possiamo mettere in pratica le nostre idee di design in questa nuova normalità?

Inoltre, una volta sconfitto il Covid-19, l’urgenza tenderà solo ad aumentare insieme al livello del mare. Sarebbe triste per l’architettura non svolgere un ruolo trainante contro la crisi climatica, dal momento che il settore dell’edilizia è responsabile di una quota sproporzionata del consumo energetico globale. Lavorare nei limiti di potenti clienti, gli stessi che ci hanno condotto a questo punto, non basterà a prevenire il disastro. Noi architetti possiamo scegliere di rimanere ancorati ai potenti del mondo, ma consapevoli di non avere a disposizione terra abitabile senza che questa venga adibita alla costruzione di un loro mausoleo. Parafrasando il celebre Buckminster Fuller, sta a noi scegliere di essere gli “architetti del futuro o le sue vittime” [1].

L’idea di non poter cambiare il nostro futuro, di avere le mani del disegno trattenute dal cliente, è ricorrente in architettura. Dopotutto, si dice che Frank Lloyd Wright abbia così elencato i tre elementi più importanti del nostro campo: “clienti, clienti, clienti”. Tuttavia, questo modo di guardare alla questione non è mai stato assoluto, infatti gli architetti hanno a lungo tentato di ribellarsi anche ispirandosi alla coraggiosa dichiarazione di Luis Barragán: “Sono stanco di ascoltare i clienti parlare dei propri gusti” [2].

Ad oggi, abbiamo disperatamente bisogno di soluzioni progettuali e architettoniche che riprogrammino le città colpite dalla pandemia

II.

Erano gli anni Quaranta e il settore immobiliare messicano aveva assistito per vari decenni a una crescita sostenuta. Nel bel mezzo di una rapida espansione urbana, Barragán si era costruito una carriera ideando un’architettura che, seppur di successo, appariva banale. Dopo anni di lavoro presso mecenati pretenziosi e poco fantasiosi, prese un’importante decisione: “Rinuncio a tutti i miei clienti. D’ora in poi, lavorerò esclusivamente per un cliente: me stesso” [3].

Negli anni seguenti, Barragán progettò un piccolo numero di strutture, sviluppando uno stile particolare che fondeva il modernismo con il vernacolo semplice e vivace della sua Guadalajara. Quei pochi progetti, tra cui il suo studio e alcune case private nel quartiere El Pedregal di Città del Messico, saranno riconosciuti come alcune delle più grandi opere architettoniche dell’epoca.

Certo, Barragán ha avuto la fortuna di avvicinarsi al design seguendo le sue regole. Era finanziariamente stabile e poteva permettersi la libertà estetica. Senza obblighi nei confronti dei clienti, era vincolato solo dalle leggi della fisica e dalla propria immaginazione — una libertà rara, al limite della fantasia per molti architetti. Ciononostante, l’emancipazione creativa di Barragán ci ricorda quello che potremmo conseguire se l’architetto diventasse il suo stesso cliente. Oggi potremmo andare ancora oltre.

Nel bel mezzo di una rapida espansione urbana, Barragán si era costruito una carriera ideando un’architettura che, seppur di successo, appariva banale

III.

Negli ultimi anni, le piattaforme digitali hanno permesso prima di tutto ai designer di creare, di condividere online le proprie idee e di costruirle nel caso arrivassero finanziamenti. Pochi anni fa, ciò era visibile soprattutto in piattaforme basate sulla folla, ma oggi possiamo osservare una dinamica architettonica completamente nuova, fondata sulla co-creazione e sulla partecipazione, che sta gradualmente guadagnando terreno. Crediamo che liberando, accelerando e connettendo i designer, le piattaforme digitali possano dare vita a una nuova metodologia di design per il nostro secolo.

Non ci aspettiamo che ciò sostituisca completamente la gestione tradizionale, ma che diventi la chiave per quei progetti che affrontano ad oggi sfide pressanti, come dicevamo all’inizio. Non vogliamo neppure proporre una replica dell’approccio solitario di Barragán — l’apertura e la collaborazione sono obbligatorie nel mondo odierno, complesso e in rete. Ciò che dobbiamo ricordare, però, è la sua determinazione a sfidare l’idea di dipendenza assoluta dai clienti, passando da questi a se stesso. Per affrontare i problemi globali di oggi possiamo immaginare l’umanità come cliente? 

Immaginate di essere l’attuale Buckminster Fuller che sviluppa una nuova idea per combattere il cambiamento climatico. Invece di sperare di inserire elementi del proprio piano in commissioni di terzi, è possibile condividerlo online per intero. Se il progetto dovesse attirare fondi di capitali da parte di piccoli e grandi finanziatori sarà possibile svilupparlo ulteriormente e guadagnare un sostegno aggiuntivo; tale strategia ricorda il panorama emergente del “crowdfunding” [4], una rivisitazione democratica del venture capital. Inoltre, il forum online può diventare un luogo in cui accogliere idee e critiche — i ritorni creativi possono essere importanti quanto il sostegno finanziario. Con le successive iterazioni, l’idea diventa al tempo stesso ricca di risorse e raffinata. Prendendo spunto dall’economia, il progetto si trasforma in una profezia capace di auto-avverarsi.

Troppo lungo? Forse, ma la metodologia non è lontana da quella che il Massachusetts Institute of Technology ha lanciato il mese scorso come Climate Grand Challenges [5]: una serie di idee sarà selezionata all’inizio del prossimo anno per contrastare il cambiamento climatico. Ciò porterà, in una seconda fase, a “progredire verso la costituzione di team integrati e focalizzati — che alla fine includeranno partner dell’industria, della finanza, delle organizzazioni non profit e di altri settori della società — necessari per sviluppare e implementare rapidamente queste soluzioni”.

Non ci aspettiamo che ciò sostituisca completamente la gestione tradizionale, ma che diventi la chiave per quei progetti che affrontano ad oggi sfide pressanti, come dicevamo all’inizio

IV.

In qualità di designer, possiamo continuare a svolgere il lavoro centrato sul cliente come facciamo oggi. Tuttavia, non dobbiamo permettere che la tirannia della committenza ci impedisca di affrontare le grandi sfide del presente. Se le idee sono buone, nel mondo interconnesso in cui viviamo, alla fine verranno realizzate.

Come procediamo nella pratica? Tra il volume e il rumore delle piattaforme digitali, l’ingrediente chiave per far sì che le nuove idee si affermino è il feedback. La comunicazione e i media — che spiegano ed entusiasmano — possono dare vita a un circolo virtuoso di sostegno e collaborazione. In un’epoca in cui interi progetti possono nascere da video di 1 minuto ben fatti [6], la capacità di condividere può sostituire le relazioni con clienti facoltosi. 

Altre opportunità di ricevere un feedback sono gli eventi di design, ad esempio le biennali di architettura o le settimane del design. Negli ultimi decenni sono cresciuti in maniera esponenziale [7] e hanno permesso di mettere insieme nuove idee senza vincoli da parte dei clienti. Nonostante possa sembrare inevitabile, se ci fermiamo a ragionare, è davvero triste che a causa del Covid-19 molti di questi eventi siano stati posticipati o sostituiti da riunioni online. La pandemia è una nuova e sbalorditiva sfida: se non altro, richiede il pre-lancio di eventi che possano aiutare a superarla. Facendo un esperimento delle nostre settimane del design, possiamo ricorrere a soluzioni per far rivivere eventi pubblici che hanno già iniziato a guadagnare terreno in altri ambienti.

Dai nostri studi, con sede a Torino e a Rotterdam, abbiamo assistito a una straordinaria rinascita dell’arte pubblica e dei progetti di spazi pubblici all’aperto, fondamentali in questo particolare momento essendo più sicuri degli eventi al chiuso. I nostri nuovi progetti sono giustamente definiti dalla sicurezza pubblica, ma l’etica sta generando una nuova estetica inaspettata. Mentre combattiamo la crisi, possiamo scoprire un nuovo senso del bello? 

A queste domande non si può rispondere — e forse non si può nemmeno chiedere — a meno che noi architetti non assumiamo un ruolo più attivo nel progettare — e co-progettare — i nostri destini. Possiamo lavorare per diventare gli attori autonomi e collaborativi che servono al meglio l’umanità. Effettivamente, quest’ultima è il più grande cliente per cui possiamo lavorare. 

Architetto e ingegnere in formazione, il professor Carlo Ratti insegna al MIT, dove dirige il Senseable City Lab, ed è socio fondatore dello studio di design e innovazione CRA-Carlo Ratti Associati (Torino e New York). Attualmente è co-presidente del Global Future Council on Cities and Urbanization del World Economic Forum.

L’artista e innovatore olandese Daan Roosegaarde è un pensatore creativo e realizza progetti sociali che esplorano il rapporto tra persone, tecnologia e spazio. Ha fondato lo Studio Roosegaarde nel 2007, dove lavora con il suo team di designer e ingegneri sui paesaggi del futuro.

[1]:
Steven Sieden L., A Fuller View: Buckminster Fuller’s Vision of Hope and Abundance for All, Divine Arts, 2012
[2]:
Zanco F., Luis Barragan: The Quiet Revolution, Skira, 2001
[3]:
Zanco F., Luis Barragan: The Quiet Revolution, Skira, 2001
[4]:
Reffell C., “Crowdfunding and Venture Capital Working Together”, Crowd Sourcing Week, 2019
[5]:
Lester R., Zuber M., “Climate Grand Challenges:  A Call to the MIT Community”, MIT Climate Grand Challenges, 2020
[6]:
Murray J., “YouTube stars raise over $6m to plant trees around the world”, The Guardian, 2019
[7]:
Atelier Crilo, “L’era del Biennalozoico”, Domus n. 952, 2011

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