Stéphanie Chaltiel

Architetture droniche fatte di terra

Intervista all’architetta francese Stéphanie Chaltiel che sta sperimentando nuovi metodi di costruzione in terra con i droni.

Spruzzatura della struttura realizzata preso al Domaine de Boisbuchet in Francia durante l'estate 2018,  foto Alina Cristea © CIRECA Domaine de Boisbuchet

L’utilizzo dei droni in architettura è un fenomeno relativamente nuovo, ma in rapida espansione. Se, da un lato, essi offrono già nuove prospettive visive attraverso fotografie e video aerei, alcuni architetti stanno riflettendo al loro uso per l’esecuzione di compiti più complessi e integrati, come il trasporto dei materiali da costruzione, l’ispezione dei cantieri, ma anche lo svolgimento di mansioni più pesanti. Negli ultimi anni, l’architetta francese Stéphanie Chaltiel ha cominciato a sperimentare le potenzialità offerte dai droni per sviluppare un nuovo metodo di costruzione in terra che li vede protagonisti. L’abbiamo contattata per saperne di più sulla sua ricerca.

Il tuo approccio sembra andare oltre l’utilizzo standard dei droni e propone di coinvolgerli attivamente nel processo di costruzione. Ci racconti come è nato il tuo progetto?
Nella mia esperienza, parlare di droni e dei loro usi in settori diversi da quelli consueti è un soggetto che tende a dividere il pubblico. Al di fuori della fotografia e dei video aerei, il loro utilizzo per mansioni meccaniche è già stato esplorato all’ETH di Zurigo e al MIT di Boston alcuni anni fa con la tessitura, la verniciatura a spruzzo e le azioni di pick and place. La ricerca che ho sviluppato negli ultimi tre anni – che è finanziata da InnoChain e dal programma Marie Curie di Europe Horizon2020 (un vasto programma di ricerca multidisciplinare sostenuto dall’Unione Europea che mira a incoraggiare l’innovazione tecnologica nel continente, NDR) – mira a rivisitare i principi del calcestruzzo spruzzato utilizzando droni muniti di tubi e diffusori spray per applicare diversi strati di biomateriali (malta non cementizia) su un’ossatura leggera. È un metodo che comporta l’adattamento di tecnologie disponibili che però finora non sono mai state combinate in un solo sistema. Gran parte del lavoro consiste nel calibrare strumenti, materiale e struttura portante così che la realizzazione avvenga in maniera fluida. Naturalmente, l’utilizzo di questa tecnica ha come risultato anche la definizione di una nuova estetica.

Come funziona praticamente e quali sono le caratteristiche del tuo metodo in termini di ossatura, programmazione del drone, costi e scelta dei materiali? La maggior parte delle strutture che hai sviluppato finora sono “gusci di terra monolitici”. Perché questa forma e perché la terra?
L’idea è quella di utilizzare scheletri facilmente montabili – cupole geodetiche, gusci a griglia, tessuti tesi su archi o gonfiabili – che poi vengono spruzzati con materiali naturali seguendo una sequenza in cui ogni miscela contiene ingredienti diversi e un tempo di asciugatura da rispettare. Per le cupole da quattro metri che abbiamo costruito di recente, le ossature leggere iniziali sono state montate in pochi giorni da gruppi di due a sei persone. La fase di spruzzatura consente il rivestimento di una struttura di 50 mq con uno spesso strato di materiale in soli 15 minuti. Attualmente, i materiali argillosi e le strutture sono economici e possono essere riciclati, mentre il volo di un drone costa circa 2.000 euro per una settimana di costruzione. Per quanto riguarda i materiali, mi sono innamorata dell’architettura in terra cruda più di 20 anni fa a causa delle texture che si possono ottenere, i diversi ingredienti che possono essere combinati (sabbie, fibre di lino, olii, ecc.) e, ancora più importante, come ci si sente all’interno di un edificio in terra.

Hai iniziato la tua carriera in Guyana francese e Messico “sviluppando tecniche di edilizia abitativa sostenibili e innovative, utilizzando materiali locali, fabbricati a mano insieme agli abitanti locali”. Un approccio piuttosto low-tech rispetto al tuo attuale uso dei droni. Raccontaci di più sui tuoi primi esperimenti e su come hanno influenzato la tua ricerca?
Durante il mio periodo di lavoro in contesti sia tropicali che di emergenza, ho avuto la possibilità di identificare le azioni pesanti e ripetitive che possono essere alleviate con l’utilizzo di robot. A meno di costruire un’architettura completamente a mano – incluso ricevere l’argilla e conservarla, tra le altre cose – non puoi prevedere tutto ciò che accadrà sul posto. Non importa quanto in anticipo tu abbia pianificato il tutto. Ammetto di avere anche una grande passione per i piacevoli mestieri manuali che, a mio avviso, potrebbero essere utilizzati su una scala più vasta se alcuni compiti pesanti fossero facilitati dalle azioni dei droni.

L’utilizzo di questa tecnica ha come risultato anche la definizione di una nuova estetica.

La tecnica che stai sviluppando potrebbe competere con altri metodi di costruzione assistiti da robot come la stampa 3D? Potrebbe essere usata per costruire strutture più grandi?
La tecnica di spruzzatura con droni comporta tecniche diverse, mentre quella di estrusione è focalizzata su una costruzione monofase. La spruzzatura consente di raggiungere grandi scale senza la necessità di costruire impalcature o di trasportare robot pesanti sul cantiere. L’estrusione richiede un’infrastruttura più grande della costruzione risultante, cosa che non succede con l’utilizzo dei droni. Una volta smontato, il drone può essere trasportato con due semplici valigie, mentre la pompa su ruote consente di raggiungere facilmente anche i siti più remoti. Gli usi dei droni sono quindi più articolati rispetto all’estrusione. Inoltre, la nostra tecnica ci consente di dare un rivestimento esterno a facciate esistenti o realizzare pareti interne. Al momento stiamo lavorando per incorporare alcuni sensori nel sistema così da poter variare e controllare gli spessori. Inoltre, l’obiettivo è di sviluppare ulteriormente l’intelligenza artificiale del drone in modo che possa “allenarsi da solo” nel riconoscere le crepe, riparandole tempestivamente. Ma questa è la fase successiva!

Raffini costantemente il tuo processo e la tua metodologia tramite l’organizzazione di workshop e performance pubbliche. Puoi dire di più sulle strutture che hai costruito presso il Domaine de Boisbuchet quest’estate e durante l’ultimo London Design Festival. Sfortunatamente, dopo poche settimane, il primo è crollato: cosa hai imparato da quell’insuccesso?
Quello a Boisbuchet è stato il miglior laboratorio di fabbricazione che abbia mai avuto la possibilità di coordinare. Il team locale è molto efficiente e tutto il processo è stato facilitato dalle loro competenze. Avevo con me un gruppo molto motivato di studenti, alcuni dei quali provenienti da Dubai assieme al mio collega Muhammed Shameel. Abbiamo costruito uno scheletro geodetico in solo un’ora e poi vi abbiamo attaccato 2.000 sacchi di iuta pieni di fieno, prima di passare alla fase di spruzzatura con il drone. Questa è stata anche la prima volta in cui è stato possibile evidenziare l’efficienza della tecnica di spruzzatura: l’intera cupola è stata infatti rivestita in soli 10 minuti. La posizione in riva al lago era magica e credo che tutti amassero la cupola. All’interno, nonostante la struttura non avesse porte, non si sentivano rumori esterni. Inoltre, le pareti erano ricoperte di tessuto; dettaglio che conferiva all’interno un tocco molto delicato. È stato straziante apprendere che la struttura era crollata. Avrebbe avuto bisogno di almeno un’altra settimana di spruzzatura per guadagnare abbastanza spessore e un mese di protezione dalla pioggia per essere in grado di resistere in maniera permanente. Ma è stata sicuramente un’incredibile lezione di cui abbiamo fatto tesoro per il progetto londinese.

Durante il mio periodo di lavoro in contesti sia tropicali che di emergenza, ho avuto la possibilità di identificare le azioni pesanti e ripetitive che possono essere alleviate con l’utilizzo di robot

La struttura geodetica che abbiamo usato lì era molto più forte e abbiamo coperta la parte superiore della cupola solamente con un tessuto e fogli di plastica trasparente, così da non applicare ulteriore peso sulla parte superiore della struttura. Infine, abbiamo reso l’ingresso molto più piccolo, che abbiamo fortificato con due pali invece di avere un grande ingresso. Ha funzionato! Durante tre giorni della manifestazione ha piovuto molto e la struttura ha resistito senza dover essere coperta. In realtà, essendo basati a Southbank, l’aspetto più impegnativo del progetto durante il London Design Festival è stato il dover affrontare le misure anti-terrorismo della città! Inoltre, non è permesso far volare i droni a Londra e le leggi in termini di aviazione civile cambiano molto spesso. L’unico modo che abbiamo trovato di lavorare è quindi stato di costruire la struttura all’interno di una grande rete. Ho prefabbricato 35 triangoli contenenti una moltitudine di piccoli sacchetti pieni di fieno. Sono poi stata raggiunta da Fabio Gatti – architetto di base a Barcellona specializzato nell’architettura in terra – e da Pete Silver di Westminster per la fase di fabbricazione in loco che è durata solo due giorni. Abbiamo anche pigmentato in blu la miscela di argilla e calce ed è stata la prima volta che siamo riusciti ad adoperare il colore con la nostra tecnica. Le sessioni di spruzzatura con i droni sono state pensate come performance per attirare le persone che camminano lungo il fiume a fermarsi. Cosa che hanno fatto! È stata un’idea fantastica di Will Sorrell, il direttore di Design Junction, che ha creduto nel progetto fin dall’inizio.

Img. 11 - Spruzzatura con droni a Copenhagen, courtesy Stéphanie Chaltiel
Test per spruzzatura su muro interno con droni, courtesy Stéphanie Chaltiel

Oltre alle sperimentazioni, su quali progetti reali stai attualmente lavorando?
Il drone che abbiamo usato negli ultimi progetti di fango appartiene alla Louvain School of Engineering ed è stato fabbricato da Michael Daris che lo pilota con Sébastien Goessens. L’abbiamo quindi adattato a una pompa di Euromair – azienda specializzata nella produzione di strumenti per l’edilizia. Questo è stato per noi un grande risultato nello sviluppo della tecnica. Ora siamo in grado di avere un flusso costante di materiali e siamo pronti a costruire su una scala molto più grande. Le apparecchiature che usiamo non sono quindi standard, ma sono state fabbricate espressamente per la nostra ricerca. Ora stiamo lavorando attivamente con Euromair per testare il rivestimento su larga scala di facciate esistenti. Al momento sto anche discutendo con un privato riguardo la realizzazione di una casa su una scogliera in Vietnam, che il cliente immagina come un nido di uccelli. Le aree alte e difficili da raggiungere sono sicuramente progetti in cui sarebbe opportuno utilizzare la tecnica di spruzzatura dei droni.

Immagine di apertura: Spruzzatura della struttura realizzata preso al Domaine de Boisbuchet in Francia durante l'estate 2018,  foto Alina Cristea © CIRECA Domaine de Boisbuchet

Con oltre 10 anni di esperienza, Stéphanie Chaltiel è un’architetta francese che studia ed esplora l’uso delle tecnologie digitali e la costruzione con la terra per soluzioni abitative sostenibili. Ha lavorato per Bernard Tschumi a New York, per OMA a Parigi, e per Zaha Hadid a Londra. Vanta esperienze sul campo in paesi come il Messico e la Guyana francese. Ha insegnato per cinque anni in Francia e a Londra e alla SUTD di Singapore. Chaltiel ha anche diretto la Visiting School di AA a Lione e in Indonesia.

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