di Monica Mazzolani
Foto Moreno Maggi
Il nuovo Palazzo di Giustizia si trova sul margine del centro storico ed è circondato sugli altri lati da tessuti più recenti che si sono sviluppati tra il principio del secolo e gli anni Sessanta. Dal lato del centro storico il Palazzo costituisce il fondale di un grande spazio aperto parzialmente alberato, che nelle intenzioni dell'Amministrazione, costituirà un nuovo polo di forte attrattiva urbana. È in questo contesto che il nuovo Palazzo, con i suoi doppi accessi su fronti contrapposti, assume il ruolo di una cerniera simbolica tra il centro storico e la città recente. Sul lato ovest dell'edificio, infine, è previsto un ampliamento di carattere prevalentemente funzionale: un corpo più basso destinato a contenere archivi e uffici supplementari che si spera possa venire realizzato al più presto.
Le ragioni del progetto secondo De Carlo
L’edificio mutua la sua forma e le sue ragioni più profonde dalla sua destinazione d’uso in relazione alla funzione simbolica e al modo in cui si immagina che la giustizia verrà amministrata all’interno dei suoi spazi. In principio, De Carlo fu combattuto se accettare l’incarico che l’allora procuratore generale, il dott. Savoldelli Pedrocchi, voleva gli fosse conferito dall’amministrazione per la progettazione del nuovo Palazzo di Giustizia. Gli pareva che questo genere di edificio potesse facilmente diventare celebrativo, temeva la retorica dell’innovazione oltre che quella più scontata del potere che, con questo genere di edifici pubblici, si potrebbe essere tentati di celebrare. Ma, come De Carlo amava fare, cambiando punto di vista, si doveva considerare che l’edificio era quotidianamente frequentato da un pubblico vario, che poteva diventare un “luogo pubblico” e rappresentativo di natura molto speciale. Detto con le sue parole, tratte dalla relazione che accompagnava nel 1998 il progetto definitivo: “I ‘luoghi’ dove è amministrata la giustizia sono frequentati da un pubblico variegato. Ma nell’immaginazione dell’architetto che si trova a dover progettare uno di quei ‘luoghi’, emergono due gruppi di persone che fanno parte di quel pubblico: i magistrati, che nel luogo progettato giudicheranno e gli interlocutori che nel luogo progettato saranno giudicati. Cosicché appare necessario all’architetto – se crede nella perfettibilità della condizione umana o ci spera – che entrambi i gruppi possano confrontarsi in un ambiente spaziale che, essendo di forme architettoniche equilibrate e serene, contribuisca a rendere più attenti e tolleranti quelli che giudicano e più tollerabile il giudizio per chi è giudicato. Ma un altro gruppo di persone deve tenere particolarmente in considerazione nel suo progetto l’architetto che si trova a progettare un Palazzo di Giustizia: quello dei numerosi protagonisti stabili (ufficiali giudiziari, magistrati, giudici, cancellieri, messi, funzionari, uscieri, agenti di custodia, ecc.) o occasionali (avvocati, periti, testimoni, agenti, ecc.) che collaborano con ruoli e impegni diversi per istruire, emettere e sancire i giudizi. Anche per questo gruppo di persone l’ambiente spaziale dove lavorano deve essere armonico e disteso; e però anche efficiente: per contribuire a rendere le loro prestazioni interessanti e piacevoli; e anche precise, puntuali, esplicite, rassicuranti, cortesi. Un terzo gruppo deve essere presente nell’immaginazione dell’architetto ed è quello delle persone che andranno nel Palazzo di Giustizia per chiedere e ritirare documenti, per raccogliere informazioni, per assistere ai dibattimenti. Anche per queste persone l’ambiente spaziale deve essere accogliente e incoraggiante: non debbono essere trattenuti da quel timore di oltrepassare la soglia che prende chiunque stia per entrare in un edificio pubblico i cui connotati architettonici – incombenti oppure trasandati – si riflettono sulle attività che vi si svolgono, rendendole aliene e incomprensibili. È stimolante ricordare che ad Atene, nel periodo di Pericle, l’amministrazione della giustizia era del tutto familiare ai cittadini perché si svolgeva generalmente in luoghi aperti e ameni, dove chiunque poteva andare e assistere, senza altra prudenza che quella dovuta al rispetto della funzione che si stava svolgendo. È anche stimolante l’idea che la basilica dove i romani discutevano le controversie giuridiche, era un luogo dove venivano svolte altre attività allo stesso tempo, per cui i confini erano più che altro comportamentali e simbolici; e anche chi non era direttamente impegnato con quanto si discuteva, era incoraggiato a seguire la discussione, a comprenderne le trame e a intenderne i risvolti facendo così diventare il rito giuridico familiare e organico, senza privarlo della solennità che si addice alla sua importanza. Un quarto gruppo, infine, nella mente dell’architetto, deve essere quello più numeroso di tutti i cittadini che vedono l’edificio e ne esperiscono la presenza nel corso delle loro attività quotidiane, percorrendo le strade che lo circondano, entrando nel piazzale, arrivando dal lato della ferrovia. Per questi cittadini è bene che l’edificio sia eloquente, nel senso di ‘significare’ le attività importanti che accoglie. Ma deve essere anche cordiale e incoraggiante. Allo stesso tempo, deve risentire della tradizione marchigiana e essere intessuto di sorprendenti innovazioni linguistiche e tecniche (come è sempre stato nell’architettura più qualificata del passato a Pesaro). Deve diventare un riferimento urbano, che si riconosce subito; e eventualmente si racconta per descrivere la città a chi non c’è ancora stato. Infine, deve avere qualità e spiccata personalità per poter svolgere un’azione di rinnovamento e qualificazione nei confronti del tessuto urbano dove sarà inserito; nel senso di rendere più facili i movimenti, le connessioni, i rapporti; di sollecitare al suo intorno il sorgere di attività vitalizzanti; di riflettersi su tutto il suo contesto e stimolarlo alla generazione di una più precisa identità architettonica”.
La struttura e la forma del progetto
L’edificio in cui sono ospitate la Pretura e la Procura della Repubblica comprende quattro grandi aule di dibattimento penale, compresa quella di Corte D’Assise, collocate al livello seminterrato e altre tre al terzo piano, accorpabili e ulteriormente divisibili, per il dibattimento delle cause civili. L’interno è occupato da una grande corte alberata, illuminata naturalmente dalla vetrata di copertura, che costituisce il grande foro ideale verso cui si affacciano tutti i percorsi pubblici interni. Un grande lucernario centrale domina la copertura per dare luce al volume metallico della biblioteca, che ‘galleggia’ nel vuoto della corte. Tutto il resto dell’edificio è realizzato in calcestruzzo rivestito in lastre quadrate di cotto realizzato in stampo, dello spessore di cm 3,5 e della dimensione di cm 59,5. Dalla relazione di progetto, ancora, si legge: “... L’edificio apparirà come una grande casa da qualunque parte lo si guarderà perché su tutti e quattro i lati si presenterà con un’ampia falda di copertura spiovente secondo due diverse inclinazioni, una facciata allungata e distesa, rapporti tra pieni e vuoti, fasce trasparenti e opache con ritmi regolari che si espandono solo dove la parete racchiude attività più importanti e più frequentate. L’analogia – metaforica e traslata, più mentale che fattuale – è voluta, perché “grandi case” sono i più eleganti palazzi della tradizione marchigiana e d’altra parte appare positivo che come “grande casa” affabile e accogliente appaia un edificio destinato al Palazzo di Giustizia che, dovendo tenere in equilibrio il dialogo tra diritti e doveri umani, deve ispirare fiducia e perciò avere radici sicure nelle memorie storiche dei cittadini. L’analogia però vale (per quanto possono valere le metafore; e cioè per un istante) soltanto per l’aspetto esterno, perché invece all’interno l’edificio semmai può essere considerato un ‘palazzo’, ancora una volta nel solco della grande tradizione alto marchigiana. Tutto lo spazio si organizza intorno a una grande corte interna che, entrando nell’edificio, appare come una sorpresa per la qualità della luce e degli elementi architettonici. Si accede all’edificio sia dal piazzale Carducci che dal lato opposto. I due accessi sono egualmente importanti perché verso piazzale Carducci confluiranno le provenienze dal centro storico, mentre dall’altro lato confluiranno quelle che arrivano dalla periferia o da località extra-urbane, con mezzi di trasporto privati o pubblici che si attesteranno al nuovo parcheggio previsto dal piano particolareggiato. Si può immaginare che le due provenienze opposte genereranno movimenti piuttosto intensi che tenderebbero a passare attraverso il nuovo edificio. Potrebbero farlo infatti perché è passante e probabilmente lo faranno in futuro, se l’amministrazione della giustizia potrà svolgersi in condizioni di sicurezza maggiori di quanto non accada ai nostri giorni. Per ora, tuttavia, i due ingressi saranno riservati e controllati e i movimenti di transito scorreranno sui due lati dell’edificio, lungo la via S. Decenzio o lungo il percorso porticato che è stato previsto sul lato sud-occidentale. In ogni caso il grande spazio centrale è previsto, oltre che come catalizzatore delle molteplici attività che si svolgono all’interno dell’edificio, come luogo di incontro per chi, anche non avendo motivi immediati di frequentare il Palazzo di Giustizia, può aver piacere di attraversarlo e per qualche tempo fermarvisi: come accade quando ci si imbatte in spazi architettonici di qualità e perciò gradevoli”.
QUADRO RIASSUNTIVO
Costo delle opere: € 19.354.000
Superficie abitabile: mq. 7.500
Progetto: Giancarlo De Carlo, Monica Mazzolani architetto associato.
Con: Francesco De Agostini
Con la collaborazione di: Danilo Marcone, Manami Ito, Luca Cattaneo, Mariangela Zanzotto, Genni Castelli.
Strutture metalliche: ing. Massimo Majowiecki
Strutture in calcestruzzo: Interstudio, ing. Ernesto Olmeda
Impianti: P.I. Gianfranco Cozzi, ML di Mosca e Lucchese, ing. Rolando Girelli, Manzali
Realizzazione Società Carducci: Impresa Montagna, Impresa Mulazzani
Fascino antico e moderno
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- 15 marzo 2006