L’ultima architettura di Steven Holl è una piccola casa attraversata dai venti del New Mexico. Testo di Yehuda Safran. Fotografia di Paul Warchol. A cura di Rita Capezzuto.


L’incarico per il progetto della Turbulence House a Steven Holl da parte della poetessa Mei-mei Berssenbrugge e del pittore Richard Tuttle risale a qualche tempo fa. Tuttle vive in una casa tradizionale nel desertico New Mexico. Era suo desiderio avere a disposizione una struttura che consentisse di alloggiare gli ospiti senza però intervenire sulla casa originale.

Per qualche tempo aveva seguito il lavoro di Steven Holl; è stato perciò naturale per lui invitarlo a esprimere una proposta. Steven Holl rimase subito colpito dal paesaggio: la sua nudità, la sua asprezza gli parevano un invito a rispondere con il meno convenzionale dei progetti. Le tecnologie intelligenti, le possibilità infinitamente aperte di utilizzare strumenti digitali per realizzare un progetto architettonico sembrano suggerire il risultato stesso.
L’isolamento del sito, il desiderio di un metodo costruttivo non macchinoso invitavano a un progetto in cui gran parte dell’opera potesse essere realizzata in una fabbrica lontana migliaia di chilometri dal sito, e spedita pronta all’uso. Il modello originale e i disegni furono convertiti in documenti digitali. I file vennero trasmessi a una fabbrica del Kansas, dove furono tradotti in componenti e pannelli d’alluminio. Questi elementi prefabbricati furono trasportati sul sito del cantiere e montati in loco. Al contrario, gran parte dell’allestimento degli interni ha dovuto essere realizzato sul posto. Le condizioni climatiche in questa parte dell’America settentrionale possono essere dure.

La Turbulence House è studiata per rispondere a esse nel modo più adeguato: difatti, il passaggio ricavato al suo interno incanala il vento estivo nella struttura, che viene rinfrescata, mentre la temperatura esterna è molto elevata. Anche la pianta a ferro di cavallo e la sezione ad arco consentono di resistere bene alla pressione del vento. Un po’ come se Holl avesse risposto ad alcune delle prime opere di Richard Tuttle.

Nel complesso si tratta di un edificio molto grezzo. Grezzo nel senso dato dagli amatori dei lussuosi e costosi prodotti di Hermès, che però sono sempre tentati dalla squisita povertà delle tribù africane in via di estinzione. È un edificio rozzo e semplice nei parametri: da un lato proclama l’applicazione della tecnologia più avanzata e dall’altro è quasi la celebrazione del piacere trasmesso dagli elementi naturali, come la luce e il vasto orizzonte, incorniciato nei modi più sommari. È raro imbattersi in una simile mescolanza. Fa parte delle caratteristiche dell’opera d’arte, in cui l’uso di elementi estremamente semplici produce un insieme molto complesso.

L’economia dei mezzi porta a un inconsueto contrasto tra ambiente esterno e interno. Poche incisioni rettangolari aprono l’involucro alla luce naturale. Una leggera scala metallica offre accesso a un primo piano in cui è allestita la zona notte. Al piano terreno grandi aperture della membrana forniscono una veduta ben inquadrata e luce in quantità. Mentre l’esterno reca il segno del montaggio dei pannelli, l’interno, per contrasto, sottolinea la superficie liscia che presenta continuità e profili arrotondati. Un contrasto quasi organico tra il rivestimento esterno e l’epidermide interna.

Nella Turbulence House Steven Holl ha definito un nuovo paradigma per la casa del futuro. Non solo si è liberi di inventarla, come ogni casa del passato, ma la si può anche ordinare al telefono, fornendo via e-mail tutte le informazioni necessarie.