Philip Johnson

“L’architettura è sempre stata un problema di gusto (…). All’idea di riformare la società preferisco contrapporre l’immagine delle cose che mi piacciono” (Philip Johnson)

Philip Johnson. Da Domus 608, luglio 1980

Potente e sorprendentemente longevo, Philip Johnson (Cleveland, 1906 – New Canaan, 2005) è stato per tutto il XX secolo un protagonista (se non il protagonista) dell’architettura mondiale. Vera e propria archistar ante-litteram, nel 1979 gli è stato conferito il primo Pritzker Prize.

Tramite la sua attività di critico e curatore, ha agito per decenni come un deus ex machina, in grado di determinare il successo o l’oblio di questo o di quel progettista, di questo o di quel movimento. L’insieme delle sue opere, poi, costituisce una rassegna pressoché completa degli stili architettonici che si sono affermati nel corso dei suoi più di sette decenni di attività. Non a caso, eclettico è l’aggettivo più ricorrente nelle descrizioni di questo personaggio brillante quanto controverso.

Il nome di Philip Johnson resta indissolubilmente legato ad almeno due mostre di importanza epocale che organizza al MoMA – Museum of Modern Art di New York, a più di cinquant’anni di distanza l’una dall’altra: nel 1932, Modern Architecture, co-curata con Henry Russell-Hitchcock e accompagnata dal celebre catalogo International Style: Modern Architecture since 1922; nel 1988, Deconstructivist Architecture, co-curata con Mark Wigley.

La prima è un’ampia panoramica di opere del Movimento Moderno, che ha l’intento programmatico di selezionare i caratteri dell’International Style e di affermarlo come lo stile della modernità architettonica. La seconda “inventa” letteralmente il movimento decostruttivista, raggruppando attorno a questa definizione un gruppo di architetti di diversa generazione e formazione, ma tutti di grande successo: Coop Himmelb(l)au, Peter Eisenman, Frank Gehry, Zaha Hadid, Rem Koolhaas, Daniel Libeskind e Bernard Tschumi.

Philip Johnson intraprende la carriera da progettista in età relativamente avanzata. Negli anni ’20 studia alternativamente filosofia e giurisprudenza ad Harvard, e solo l’incontro con Russell-Hitchcock, alla fine del decennio, lo reindirizza verso l’architettura. Nel 1941 si iscrive alla Harvard School of Design, dove è allievo di Marcel Breuer e Walter Gropius, tra gli altri. Pochi anni dopo progetta la più celebre delle sue opere moderniste: la Glass House di New Canaan, Connecticut (1949), prima costruzione di una lunga serie che realizzerà all’interno della stessa tenuta.

Il rapporto con Ludwig Mies van der Rohe è cruciale in questa fase della carriera di Philip Johnson. La Glass House s’ispira dichiaratamente alla coeva Farnsworth House (1945-1951) dell’architetto tedesco, pur con notevoli variazioni. Una lettura comparativa dei due edifici aiuta a comprendere la distanza esistente tra il “maestro” europeo, portavoce di un modernismo d’anteguerra attraversato da profonde preoccupazioni etiche e sociali, e l’“allievo” americano, che ne eredita gli stilemi più che la carica utopica. Johnson collabora con Mies Van der Rohe al progetto per il Seagram Building di New York (1958), dove realizza gli interni del Four Seasons Restaurant (1959).

Il masterplan del Lincoln Center, polo artistico e culturale nel West Side newyorkese, e lo State Theatre (1964) che ne fa parte, possono essere considerati come il punto di arrivo del periodo modernista di Philip Johnson, mentre la partnership con John Burgee, con cui si associa alla fine degli anni ’60, segna l’apertura della prolifica stagione postmoderna. Tra gli anni ’70 e ’80, Johnson e Burgee contribuiscono in maniera sostanziale alla trasformazione del paesaggio delle downtown di tante grandi e medie città statunitensi.

Tra i grattacieli che costruiscono in questo periodo spiccano l’IDS Center di Minneapolis (1972), Pennzoil Place (1976), il Republic Bank Center e la Transco Tower (1981-1984), tutti a Houston, il Pittsburgh Plate Glass Company headquarters (1979-1984) e il voluttuoso Lipstick Building a New York (1986), dove stabiliscono il proprio studio. La sperimentazione sul tema del curtain wall, variamente applicato a questi progetti e a decine di altri high-rise, raggiunge uno dei suoi risultati più interessanti nella Crystal Cathedral di Garden Grove (1980), prisma sfaccettato interamente rivestimento di vetro. Curiosamente, il più conosciuto tra i grattacieli di Johnson degli anni ’80 è un solido monolite in granito rosa: l’AT&T Building di New York (1984), anch’esso profondamente postmoderno. È soprattutto grazie al suo coronamento, uno spaesante timpano incompleto, che l’edificio diventa icona di un’epoca e di uno stile.

Philip Johnson scioglie la sua società con Burgee nel 1991, ma continua la sua attività fino alla fine del millennio. Tra le sue opere tarde più interessanti merita una citazione il Padiglione per visitatori a New Canaan (1995), una delle ultime aggiunte alla sua tenuta. È un esperimento parametrico e decostruttivista, che testimonia dell’assoluta versatilità stilistica del suo autore.

Philip Johnson, John Burgee, Crystal Cathedral, Garden Grove, California, 1980. Foto © Tom Street-Porter. Da Domus 608, luglio 1980
Philip Johnson, John Burgee, Crystal Cathedral, Garden Grove, California, 1980. Foto © Tom Street-Porter. Da Domus 608, luglio 1980

Nelle parole di Alessandro Mendini (nel 1980):

Caro Philip Johnson, io ho la sensazione che tu oggi sia l’ago della bilancia della cultura architettonica mondiale. Se andiamo avanti di questo passo va a finire che tu diventi più decisivo, nella storia dell’architettura moderna, del tuo stesso Maestro Mies van der Rohe
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