Mario Bellini

“In fondo ogni meccanismo per diventare ‘macchina’ ha bisogno di una carrozzeria, cioè di un ‘mobile’ in cui esprimersi, attraverso il quale organizzarsi per divenire comprensibile ed entrare in rapporto con noi e il nostro paesaggio domestico” (Mario Bellini, 1987).

Mario Bellini

Mario Bellini (Milano, 1935) è riconosciuto come uno dei più importanti progettisti italiani della generazione nata negli anni ’30 del Novecento. Dopo la laurea in Architettura al Politecnico di Milano, ottenuta nel 1959, segue un percorso simile ad altri suoi coetanei. Si avvicina in un primo momento al design, per approcciare la scala dell’edificio e della città solo in una fase relativamente avanzata della sua carriera.

L’affermazione di Bellini sulla scena del design italiano ed internazionale è legata anche e soprattutto alla fortunata collaborazione con Olivetti, di cui diventa capo consulente design nel 1963. Tra i tanti oggetti che disegna per l’azienda d’Ivrea, il più sorprendente è probabilmente la “Programma 101”, comunemente considerata come il primo personal computer della storia. Bellini modella una carrozzeria assolutamente avveniristica per questo prodotto rivoluzionario, progettato da un team d’ingegneri guidato da Pier Giorgio Perotto e presentato al pubblico nel 1965. Altrettanto epocale è la calcolatrice elettronica “Divisumma 18”, del 1973, inedita per il suo rivestimento integrale in gomma morbida.

Il 26 maggio 1972 inaugura al MoMA di New York l’importante mostra Italy. The New Domestic Landscape, a cura di Emilio Ambasz. L’architetto e critico di origini argentine chiede a dodici progettisti italiani di comporre un environment, che sia rappresentativo della loro visione dell’ambiente domestico. Tra i nomi selezionati ci sono Gae Aulenti, Joe Colombo, Ettore Sottsass, Marco Zanuso e Superstudio, solo per citarne alcuni, e anche Bellini, che ottiene così un’ulteriore consacrazione internazionale come protagonista del design italiano.

È in questa occasione che nasce la memorabile “Kar-a-sutra”, forse il più iconico di tutti i suoi progetti. L’automobile di Bellini reiventa la nozione di abitabilità: dismessi i tradizionali sedili, i passeggeri sono liberi di spostarsi su di una piattaforma interamente imbottita, vivendo l’abitacolo come una casa in movimento. La “Kar-a-sutra” è solitamente ritenuta l’antesignana delle monovolume degli anni ’80, che ne riprenderanno molte soluzioni, adattandole alle esigenze della produzione in serie.

Per tutti gli anni ’70 si moltiplicano le collaborazioni di Bellini con le più grandi aziende italiane ed europee: B&B, per cui disegna ad esempio il divano “Le Bambole”, nel 1972, Cassina, che dal 1977 produce la sua sedia “Cab”, venduta in più di 400 mila esemplari, e poi ancora Artemide, a partire dalla lampada “Area” del 1970, Flou, Heller, Kartell, Rosenthal, Tecno, Venini, Vitra. Prosegue nello stesso decennio la riflessione di Bellini sull’automobile: nel 1978 diventa consulente per la Renault, e nel 1979 disegna il controverso cruscotto della Lancia Beta Trevi restyling, un monoblocco di poliuretano traforato dai singoli strumenti, con una configurazione che egli stesso definì “a gruviera”.

Negli anni ’80 le attività di Bellini si diversificano. Dal 1985 al 1991 assume la direzione di Domus, succedendo ad Alessandro Mendini, dopo un breve interregno di Lisa Licitra Ponti. Le occasioni di progettazione di allestimenti, soprattutto per mostre permanenti e temporanee, diventano via via più frequenti, fino ai grandi incarichi degli anni 2010, tra cui Giotto. L’Italia (2015-2016) e Margherita Sarfatti (2018-2019), entrambe al Palazzo Reale di Milano. Soprattutto, dagli anni ’80 Bellini si orienta sempre più chiaramente verso la progettazione architettonica, con un salto di scala i cui risultati si apprezzano soprattutto nella seconda metà del decennio.

Oltre al Centro espositivo e congressuale del Parco di Villa Erba a Cernobbio, Italia (1986-1990) e al Tokyo Design Center (1988-1992), l’edificio più significativo di quest’epoca sono i Nuovi padiglioni della Fiera di Milano al Portello (1987-1997). Questi ultimi, come tutte le architetture di Bellini di questo periodo, rivelano influssi molteplici: echi del postmodernismo, con la ripresa di forme archetipe del classico, ad esempio nel frontone triangolare rivolto verso la periferia della città; influssi ampiamente digeriti della Tendenza italiana, che depura i primi della loro componente più decorativa e kitsch; blandi riferimenti all’interpretazione hi-tech dell’International Style, visibili nei corpi a ponte e nei cilindri delle rampe di risalita.

A partire dagli anni ’90 e fino ad oggi, Bellini ottiene numerosi incarichi internazionali di rilievo, tra i quali spiccano il Natuzzi Americas Headquarters a High Point, North Carolina (1996-1998), la National Gallery of Victoria a Melbourne (1996-2003) e l’apprezzata Nuova sede del dipartimento di arti islamiche del Museo del Louvre a Parigi, inaugurata nel 2012. Ancora una volta, però, è un progetto milanese a segnalare con maggiore chiarezza la direzione in cui si evolve la sua opera. Il MiCo, centro congressi (2012) che estende i padiglioni del Portello, è una “cometa” (termine coniato da Bellini stesso) rivestita da più di 8 mila scaglie di alluminio. È un oggetto scultoreo e cangiante, che testimonia di una crescente fascinazione per le potenzialità della modellazione parametrica.

Mario Bellini sul suo divano “Faust” per Driade. Foto © Donato Di Bello. Da Domus 836, aprile 2001
Mario Bellini sul suo divano “Faust” per Driade. Foto © Donato Di Bello. Da Domus 836, aprile 2001

Il contributo di Bellini al mondo del design e dell’architettura è ampiamente riconosciuto dalla critica. Lo dimostrano, tra le altre cose, due grandi mostre monografiche che gli sono state dedicate dal MoMA (Mario Bellini. Designer, a cura di Cara McCarty, 1987) e dalla Triennale di Milano (Mario Bellini. Italian Beauty, a cura di Deyan Sudjic, 2017). Sempre nel 2017, Bellini riceve dalla Triennale la Medaglia d’oro alla carriera per l’Architettura, che si aggiunge agli 8 Compassi d’Oro che gli sono stati assegnati nel tempo, in quello che resta ad oggi (2020) un record ineguagliato.

Nelle parole di Marco Romanelli:

Mario Bellini assume il tema progettuale della seduta a emblema di civiltà, la civiltà occidentale che ha scelto di sedersi su protesi anziché accoccolarsi sui talloni e compie tale gesti, da millenni, grazie a un oggetto rimasto sostanzialmente invariato: sedile, schienale e quattro gambe (…). [Bellini disegna] una sedia che somiglia a una sedia ed è quindi immediatamente riconoscibile e quindi memorizzabile e quindi posseduta
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