Lilli Hollein

Oh, Vienna!

La fondatrice e direttrice della Vienna Design Week, che ha appena compiuto 11 anni, si interroga. Abbiamo bisogno di altre settimane del design?

Sono capace di innamorarmi con passione e a lungo. Il mio rapporto con Vienna è così. Sono nata in questa città e ogni tentativo di allontanarmene per un periodo relativamente lungo o di trasferirmi del tutto è stato un fallimento.
Confesso che parecchie giornate e parecchie occasioni mi hanno indotto a riflettere su quanto io mi senta davvero davvero nel posto giusto. Anche di fronte all’oscuro passato della città durante il regime nazista – che evidentemente non abbiamo superato, come dimostrano le recenti elezioni e i risultati spaventosamente buoni per la destra e per l’estrema destra.

Eppure direi che Vienna è in piena fioritura. Il mondo dell’arte, con molti altri, vede la città sotto una luce differente. Non è più soltanto un bel palcoscenico storico, ma una vera e propria città contemporanea e vitale, dal fascino molto particolare.
È una città ricca e attenta agli aspetti sociali, con un’alta qualità di vita per tutti i cittadini. Accoglie con entusiasmo l’arte e vanta una lunga tradizione di produzione artigianale. L’altra faccia di Vienna è la sua pigrizia, se non la sua ignoranza, nei confronti dei processi di trasformazione e di rinnovamento radicale, e perfino dell’accettazione del nuovo. La mentalità storica della città lascia tracce ovunque. Essere viennese è come portare un nome celebre: dovunque si vada ci si imbatte sempre e comunque nei soliti commenti: la storia! La bellezza di Ringstrasse, Loos e Wagner! Wiener Werkstätte! Klimt! Schiele! A un certo punto, quando si fa parte di una generazione attuale e si vogliono scrivere nella storia dei capitoli propri, la cosa comincia a dar fastidio.

Vienna è in piena fioritura. Il mondo dell’arte, con molti altri, vede la città sotto una luce differente. Non è più soltanto un bel palcoscenico storico, ma una vera e propria città contemporanea e vitale, dal fascino molto particolare.

È uno dei motivi per cui nel 2007 ho creato, con due colleghi, la Vienna Design Week: volevamo realizzare una piattaforma per il contemporaneo, affermare la percezione di Vienna come organismo vitale e in trasformazione. Allora Vienna non era per nulla una capitale del design e abbiamo lavorato a lungo sui motivi per cui una quantità di professionisti internazionali dovesse venir qui a unirsi al pubblico locale.
E, ancora, la domanda che ci ponevamo era: il mondo ha bisogno di un’altra settimana del design? Da allora decine di festival del design sono spuntate in ogni parte del mondo, e la mia risposta è comunque: sì, il mondo ha bisogno di altre settimane del design, se sono in sintonia con le città in cui vengono organizzate. Vienna ne aveva decisamente bisogno per due motivi: per favorire la scena locale e per contribuire a una rinnovata popolarità della città.

“La città è uno stato mentale”, Robert Park, 1915
Vienna dà il meglio di sé quando è sperimentalista e anticonformista (i viennesi hanno la capacità di esserlo in modo molto affascinante). Oliver Kartak, preside dell’Istituto di design dell’Universität für angewandte Kunst Wien, l’università delle arti applicate di Vienna, ha affermato alla Vienna Design Week di quest’anno, nel corso di una tavola rotonda sulla formazione al design, che il cambiamento viene dal disobbedire allo status quo. Sosteneva che bisogna per prima cosa educare gli studenti al pensiero critico. Sono assolutamente d’accordo. E non dobbiamo formare in questo modo solo i creativi. Il festival cerca anche di indurre i committenti, gli imprenditori, i politici a pensare in questo modo. La Vienna Design Week è una manifestazione curatoriale che cerca di stringere stretti legami con la città sotto vari aspetti. I suoi compiti e le sue prospettive sono difformi quanto il concetto di design. Abbiamo una formula, Passionswege – forse la più popolare del festival – in cui diamo ai designer l’incarico di collaborare con i produttori, ma chiediamo loro di impostare l’intero processo in modo diverso da come farebbero per un lavoro ordinario. Favoriamo il trasferimento dei saperi e lo scambio tra partner, e non chiediamo necessariamente un prodotto.

Il mondo ha bisogno di altre settimane del design, se sono in sintonia con le città in cui vengono organizzate.

Quest’anno la collaborazione tra Jolan van der Wiel e la J. & L. Lobmeyr è un esempio di esperimento con un partner di lungo periodo, come quel produttore di vetro e lampadari – il cui punto di forza sta nella raffinatezza dei particolari, nella qualità del vetro, nella sua incisione e nella sua colorazione – condotto tramite l’accostamento a un designer che ha una prospettiva molto diversa. Jolan non è molto interessato agli aspetti formali del progetto. Ha una posizione radicale, inizia a lavorare partendo dal processo produttivo e lascia che la natura o la forza di gravità compiano il progetto, come nella sua straordinaria collezione sul magnetismo. Nel caso della Lobmeyr il suo intelligente e poetico contributo è consistito nel sostituire il vetro con l’acqua.

Non chiedete che cosa la città può fare per voi, ma che cosa potete fare voi per la città. La Vienna Design Week finanzia questi progetti, il che per noi è uno sforzo importante. Siamo un’associazione culturale senza scopo di lucro, che non riceve finanziamenti regolari, e il nostro bilancio è fatto per il cinquanta per cento di denaro pubblico e per il cinquanta per cento di denaro privato. Parecchi imprenditori non vogliono nemmeno partecipare a un processo sperimentale di questo genere se devono investirci qualcosa di più che non il tempo e il materiale. Dopo oltre un decennio di progetti di Passionswege ci ritroviamo con un ventaglio di collaborazioni dai risultati e dagli insegnamenti molto diversi. Ciascuno di essi ne valeva la pena, sotto ogni aspetto. Abbiamo provato che è importante e fruttuoso sperimentare progetti come questo, in cui le persone sono costrette a verificare in una prospettiva nuova quel che sanno fare.

La Vienna Design Week è una manifestazione curatoriale che cerca di stringere stretti legami con la città sotto vari aspetti. I suoi compiti e le sue prospettive sono difformi quanto il concetto di design.

Il cambiamento di prospettiva è anche lo scopo principale del festival sotto l’aspetto dei luoghi in cui si tiene. Ogni anno cambiamo la zona in cui allestiamo il festival. Questo quartiere principale non è necessariamente un’area alla moda o di carattere commerciale, perché vogliamo che i viennesi vedano la loro città in profondità e che i turisti stranieri vivano il vero volto di Vienna. Stadtarbeit, la nostra formula per il design sociale, di solito riguarda casi specifici all’area in questione. Che ci si trovi in una zona residenziale per benestanti oppure, come quest’anno, nel quartiere più povero di Vienna con il più alto tasso di immigrati, è proprio questa varietà ciò che individua i problemi che noi progettisti dobbiamo articolare e risolvere per la società, e può essere negoziata con il pubblico in occasione dei progetti del festival. Altrettanto vale nel caso del paese ospite di ogni anno. Cerchiamo di presentare territori nuovi più che destinazioni di alto livello. Quest’anno il paese ospite è la Romania, che presenta il modo in cui lavora con l’artigianato e la sua giovane scena del design. Abbiamo invitato la Facoltà d’Architettura del Politecnico di Timișoara, che ha ideato The Answering Machine, “Segreteria telefonica”, una straordinaria mostra che analizza la diaspora rumena – la seconda al mondo in ordine di grandezza in assenza di un conflitto – in cui la maggior parte degli studenti che partono per un semestre dell’Erasmus non fa più ritorno.

Tutto ciò ha fatto della Vienna Design Week un festival con una fisionomia e una posizione speciali. Il bello di non essere commerciali, di avere un curatore e di avere una cadenza annuale (e di essere sempre senza soldi) è che ciò permette di rimanere agili e di avere reazioni pronte. Quel che sappiamo fare bene in realtà è creare collegamenti e accostamenti inaspettati. Il che ci dà una grande libertà.
Ci piace aprirci senza difficoltà ad altre discipline, come abbiamo fatto nel caso del filmmaker Virgil Widrich, che ha realizzato un’installazione semplicemente fantastica in una delle nostre sedi, interno architettonicamente importante di una banca degli anni Settanta, nel cui ex caveau Widrich ha espanso il film nella terza dimensione. Abbiamo anche realizzato progetti con esperti provenienti dal campo della biotecnologia, cosa che trovo estremamente interessante quando si combina con il progetto.
Il design è la mia passione e credo davvero nel suo potere. Credo che il design possa e debba cambiare il nostro modo di vivere. E allora abbiamo bisogno di altre settimane del design? Come negarlo?