16 maggio 2012: "Cosa succede al MAXXI?" Questo è il testo dell'email che ti arriva da fuori, da chi desidera avere qualche notizia su questa strana crisi improvvisa, che riguarda i due problemi dell'Italia di oggi: i soldi e la fiducia.
È il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ad aprire la crisi, lo scorso aprile. Senza concordare una posizione pubblica con il Museo, annuncia che il deficit della gestione 2011 non permette di approvare il bilancio per il 2012, e che quindi si darà il via alle procedure per il commissariamento della Fondazione che gestisce il MAXXI.
Il Museo replica di poter vantare buoni risultati nei due anni dall'apertura, sia in termini di visitatori che di risorse (quasi il 50% di autofinanziamento). È dunque il Ministero che, tagliando la gran parte del suo contributo, genera la crisi.
La discussione pubblica in Italia coltiva un genere, consacrato dai quotidiani, chiamato 'retroscena': esso pone la domanda sul perché il Ministero voglia decapitare il MAXXI, e con quali teste voglia sostituire quelle tagliate.
I detrattori del Museo usano, separatamente o congiuntamente, due argomenti: quello che si basa sull'architettura, e quello che si riferisce alla gestione. Il primo, ovviamente, afferma che si è costruito un edificio enorme e costoso, senza avere un'idea precisa, e che questa è la fine delle monumentali ambizioni dello "stato culturale": la creazione di sprechi. Il secondo dice che la qualità della programmazione e della gestione del MAXXI non è in grado di attirare abbastanza visitatori e, soprattutto, finanziamenti privati, e che quindi il vertice andrebbe sostituito con uno più capace. I difensori del MAXXI mettono l'accento sul fatto che, una volta arrivato il commissario Antonia Pasqua Recchia, e rinnovato il vertice della Fondazione, basterebbe ripristinare il finanziamento e il risultato sarebbe ottenuto: esercitare il potere politico-burocratico con mezzi indiretti, invece che diretti. Del resto, questo stile si addice di più alla stagione dei 'tecnici' che a quella dei volitivi protagonisti del centrodestra — da Sgarbi a Bondi, a Galan — e lascia intravedere il peso di una élite ministeriale poco toccata dai cambiamenti politici.
Un indizio piccolo, ma rivelatore, è la posizione dei sindacati dei dipendenti dei Beni Culturali: gli unici che, a differenza degli altri, si pronunciano regolarmente sulle promozioni dei dirigenti del Ministero. I sindacati puntano il dito contro l'autonomia della Fondazione, invocando la 'normalizzazione' del MAXXI come museo statale. La base e il vertice del Ministero hanno dunque bisogno di orientare l'istituzione in modo più consono alle proprie visioni e strategie?
Che la questione sia complicata lo dimostra il fatto che il principale quotidiano italiano, il Corriere della Sera, ha ospitato articoli di segno opposto: non nella stessa pagina con la formula "pro e contro", ma in pagine diverse, dando l'impressione di essere uno dei campi di battaglia. Ovviamente, si possono avere le più grandi riserve — sia sul complesso progettato da Zaha Hadid che sugli amministratori e curatori del MAXXI — ma occorre provare a capire se le due principali obiezioni hanno un fondamento.
L'edificio è troppo grande? Il deficit dipende dalle caratteristiche del progetto? Francamente non sembra proprio, non in una misura da cambiare la sostanza dei conti. C'erano progetti tra quelli presentati al concorso che sarebbero costati di meno? Certamente sì, ma non si sarebbero salvati dal finanziamento a singhiozzo. Quanto alla gestione, tra questo progetto e un altro la differenza si riduce talmente da poter dire che non è significativa: una struttura di quasi 15.000 metri quadri, che produce e ospita delle mostre, ha dei costi operativi molto ben valutabili e confrontabili con parametri noti. Il MAXXI è un museo di medie dimensioni, molto più piccolo della Tate, del Guggenheim-Bilbao e del Beaubourg, con una superficie dell'ordine, rispettivamente, di metà, un terzo, un quarto e un bilancio dell'ordine di un decimo.
Il contributo tagliato dal Ministero è di alcuni milioni di euro all'anno. Questa cifra, ovviamente, non è irrisoria, ma nemmeno astronomica, e non può essere confrontata con la condizione in cui languono i musei italiani che per il 90% impegnano i bilanci per pagare gli stipendi del personale. È un peso che lo Stato italiano deve esplicitamente scegliere di assumersi — se ritiene di farlo — per avere a Roma un museo nazionale delle arti contemporanee. Questa istituzione non potrà mai essere finanziariamente autosufficiente nel quadro della società italiana di oggi, anche al di là della crisi. Lo stesso vale per il contributo di donatori e sponsor: si può forse fare di più, ma non si può immaginare che sostituiscano il Ministero. Altrimenti si deve fare una gara come quella di Punta della Dogana a Venezia e vedere se c'è un Monsieur Pinault che se lo prende, il MAXXI.
La crisi del museo romano trasmette un senso d'incertezza che è il tratto distintivo delle istituzioni culturali contemporanee. Come non vedere che i protagonisti e i meccanismi sono gli stessi della Biennale di Venezia, con le continue sospensioni al momento delle nomine previste dalla routine? Il conflitto in seno alla sua governance si scarica su chi deve curare le mostre (con un particolare accanimento su quelle di architettura—per chi ha intuito la navigazione burrascosa dei direttori, da Fuksas a Chipperfield, fino alla scelta del curatore del Padiglione italiano per la tredicesima edizione, nominato solo all'inizio di maggio 2012).
Tornando al MAXXI, sarebbe opportuna una riflessione sulle ragioni più profonde della sua fragilità che si annidano nella storia e nel contesto. Rem Koolhaas, che ha sempre manifestato una certa capacità di giocare d'anticipo, lo aveva detto nella relazione di concorso: How can Rome animate an institution of the scale and ambition now contemplated? (Come può Roma animare un'istituzione della scala e ambizione ora contemplata). Nel rapporto incerto e ondivago con il Ministero, il MAXXI si è costruito come istituzione-museo quasi più lentamente dell'edificio che lo ospita, e in qualche modo "a partire" da esso. È una storia ruvida di attriti (anche quelli della persona che lo ha inizialmente concepito, il direttore della Galleria Nazionale d'Arte Moderna, Sandra Pinto), che è speculare alla levigatezza delle sue superfici interne ed esterne.
Le dimissioni di Pio Baldi da presidente della Fondazione sono state bilanciate dalla promessa di continuità nelle scelte culturali e di assumersi la responsabilità del finanziamento da parte del Ministero che ha nominato un suo dirigente per gestire una transizione dall'approdo ancora incerto.
Va detto comunque che la polemica sul MAXXI contiene un elemento profondamente intempestivo. Il vero test della sua riuscita si dovrebbe collocare tra qualche anno, alla fine della luna di miele della novità per i visitatori, nella verifica dell'identità del museo, frutto delle scelte dei suoi direttori e curatori, che lasci sedimentare il peso dell'edificio che lo ospita, con il suo carattere oggettuale amplificato dall'incompiutezza.
Date tempo al MAXXI.
Francesco Garofalo divide lo studio di Roma con Sharon Yoshie Miura (Garofalo Miura Architetti) e insegna alla Facoltà di Architettura di Pescara da dodici anni, dopo i primi nove passati allo IUAV di Venezia. Ha organizzato alcuni concorsi di progettazione, tra cui quello per il MAXXI nel 1998–99. Nel 2008 è stato curatore del Padiglione italiano alla Biennale di Venezia. Nel 2008 ha pubblicato con Allemandi la raccolta di saggi Architettura scritta.
