Cosa vedremo nel 2026: e se Parigi rubasse la scena alla Milano Design Week?

Da un anno fittissimo di eventi, ci portiamo dietro i giorni di Art Basel Paris, con una presenza pervasiva di design e architettura che hanno fatto squadra con l’arte, che potrebbe ribaltare degli equilibri che ormai diamo per scontati.

Ogni anno vediamo disegnarsi la geografia del design, col nascere di nuove scene e il consolidarsi di altre più affermate, e soprattutto coll’accendersi di eventi che sono ormai landmark culturali, che si tratti della Design Week a Milano (costruita attorno al Salone del Mobile) o della formula a festival diffuso da sempre attenta alla cura dei network come i 3daysofdesign di Copenhagen, un’altra fiera che sta prendendo sempre più importanza. 

Sono epicentri identificabili, perché al centro hanno il design del prodotto. Ma che succede se lo stesso circuito del design allarga i suoi recettori e sperimenta un fare squadra inedito, ad esempio col circuito dell’arte? Quest’anno più del solito, con Parigi che torna a fare da centro gravitazionale di tanti diversi ambiti, c’è capitato di farci questa domanda ad ottobre, in occasione di Art Basel.

Listening Room by Nifemi Marcus Bello and Rodrigo Amarante with the participation of Thomas Morineau Barthelemy. Foto Pauline Chardin

Art Basel Paris è fiera di gallerie, evento “giovane” presente nella capitale francese da 3 anni, ma in così poco ha mobilitato tanto, basta pensare alla presenza in area di brand come Miu Miu con 30 Blizzards. di Helen Marten, o alla prolungata monografica di Rick Owens che le ha fatto eco da sotto gli archi del Palais Galliera. Eredita (anche con la forza) il patrimonio della Fiac e il boost che aveva conosciuto in anni post-Brexit, con uno sciamare di gallerie che hanno ritenuto più opportuno tenere un piede lungo la Senna per incrociare i flussi del discorso e dei collezionisti internazionali.

Nel 2025, la settimana di Art Basel Paris ha avuto qualcosa dell’ordine di una Design Week. Parigi si è trasformata in un flipper di eventi, dove arte, design e architettura hanno iniziato a fare squadra.

S’è portata anche assieme un qualcosa di non detto, ma come percettibile nell’aria parigina così trasformata in un flipper di eventi: nell’edizione 2025, ampliando qualcosa che già bolle in pentola da qualche anno, la settimana di Art Basel Paris ha avuto anche qualcosa dell’ordine di una Design Week. 
Laddove con “design” si fa necessario pensare al significato il più possibile ampio e trasversale della parola, quello che ha generato collettori culturali unici come i Fuorisalone delle origini.

A Parigi, la componente design/architettura è stata fortissima, presentissima, visualmente l’architettura era sempre tra i piedi: il perfetto opposto del concetto di non-luogo fieristico tutto white cube e stand in cartongesso strapagati, dentro qualche funzionale capannone comodo alle autostrade.

Una Lunghissima Ombra by Harold Mollet and Andrea Laszlo De Simone. Foto DePasquale Maffini

La stessa Art Basel si tiene dentro il Grand Palais, adesso restaurato per le Olimpiadi, in qualche modo il flagship dell’immagine che la Capitale ha comunicato di sé al mondo per i prossimi anni. Miu Miu ha confermato la scelta del Palais d’Iéna – una pietra miliare dell’architettura moderna firmata nel 1937 da Auguste Perret, profeta del cemento armato – per metterla in dialogo con la pratica space-based di Marten, e col suo allestimento che era una vera e propria macchina infrastrutturale in alluminio. Il cluster off più rilevante, Paris internationale, era anche lui attestato sugli Champs-Elysées, nelle strutture scarne di un ex store ora vuoto e riallestito con un progetto di Christ e Gantenbein. E ancora, volendo, La cappella della Salpetrière aperta da Offscreen Paris, e la Patinoire brutalista di Paul Chemetov nella banlieue nord di Saint Ouen, ormai chiusa ma riaperta da Biennale de Paname.

30 Blizzards by Helen Marten per Miu Miu. Helen Marten, Modern Sluice. Courtesy by Helen Marten

Poi, il design. Il tono della settimana era quello “delle gallerie”, quindi la presenza scatenante era quella di Design Miami Paris, che affiancava Art Basel dalle masse in pierre de taille dell’Hôtel de Maisons, l’ex casa di Karl Lagerfeld, suonando la musica del collectible di altissimo livello. Chiaro il suo target e il suo posizionamento, pur nella molteplicità di storie raccontata dai partecipanti, che si trattasse di Patrick Seguin che ha reso Jean Prouvé una divinità del circuito, della milanese Nilufar con la sua cifra curatoriale unica, del Mobilier National o di Pierre Paulin, con un suo inedito proposto dal brand-archivio paulinpaulinpaulin.

Next to Us by Sylvia Corrette, Luna Paiva, Valerie Name Bolaño, Jeanne Tresvaux du Fraval and Adrian Edeline. Foto DePasquale Maffini

Ma rompiamo la crosta dell’apparente monoblocco del “pubblico delle gallerie”, del monopolio di un luxury dubaino-miamitano: era da poco arrivata che Art Basel per la sua prossima edizione in Florida avrebbe avuto un calo di espositori, e Parigi diventava sempre più centro della rete; e d’altro canto, “è a Design Miami che ho fatto alcuni dei discorsi a più alto tasso d’intellettualità”, è quello che ci ha detto il designer Nifemi Marcus-Bello mentre conversava con noi in un attimo di tregua eventistica.

Se Parigi ruba la scena a Milano, lo fa con la forza della cultura, dove design, arte e architettura dialogano senza gerarchie.

C’è stato quindi qualcosa di percettibile. Un discorso di design che si appoggia ad una art week facendo uno scarto di sfera anche epistemologica, oltre che di audience. L’evento di appoggio non è tanto Maison et Objet, percepito come più franco-francese, locale. Qui una design week si è spostata sui binari di una art week per intercettare un discorso che è totalmente internazionale.

The Bells by Emily Thurman and Kevin Morby. Foto Pauline Chardin

A raccontarcelo, c’era anche la presenza rinnovata di progetti come Contributions, un festival fondato su appaiamenti crossdisciplinari, quest’anno tra design e musica: per citarne qualcuno, Nifemi Marcus-Bello per uno speaker con La boite Concept e i suoni di Rodrigo Amarante; o l’iconicità radicale del gruppo milanese di Metals con Andrea Laszlo de Simone, in un bar che proiettava cortometraggi nell’interrato, mentre faceva rivivere su strada il Metals bar degli anni ‘90. Il tema ancora una volta era anche la location, il tema di una presenza urbana, in luoghi di grande significato per la storia della città come il Tati, la “Lafayette popolare” della Parigi nord che ha dovuto soccombere alla pandemia ma che adesso viene spesso riaperta, da Jordan per le Olimpiadi o dalla cultura del design come in questo caso.

È stato abbastanza naturale evocare una presenza del passato: il Fuorisalone milanese, appunto, quello delle origini.

Installation view of Alex Da Corte’s performance Kermit The Frog, Place Vendôme, Paris, 2025. Presented by Sadie Coles HQ, London. Courtesy of the artist and Sadie Coles HQ, London

Questo aggregarsi attorno alla Parigi del collectible di tanti diversi livelli di discorso, fa in qualche modo pensare a una design week che più che concorrere, potrebbe affiancare la design week di Milano; gli stessi “core” di mercato e origine dei due eventi ne raccontano la differenza: arredo e industria in Italia con il Salone, arte e gallerie per Parigi. Forse però l’occasione di svilupparsi in due arene distinte può essere l’occasione di far crescere i due discorsi, e allora sì, in futuro, far pensare a una loro ritrovata cross-pollination – ci perdonerete il termine – questa volta su un livello culturale ancora più alto.

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