Il Grand Palais è rinato dalle sue ceneri. Con l’inaugurazione ufficiale delle mostre curate dal Centre Pompidou, prossimo alla chiusura definitiva in vista dell’imminente restauro che inizierà nella primavera del 2026, può dirsi sostanzialmente concluso il recupero di uno dei più grandi monumenti di Parigi – 72.000 metri quadri costruiti in occasione dell’Esposizione Universale del 1900, uno scrigno di vetro e acciaio che ha segnato in maniera indelebile la storia e l’immaginario della capitale francese.
L’esito del progetto di Chatillon Architectes era stato presentato alla stampa già in occasione dei Giochi Olimpici del 2024, nonostante l’avanzamento del cantiere non consentisse di apprezzarne compiutamente il quadro d’insieme. La battuta d’arresto pressoché totale dei lavori – la chiusura degli ultimi interventi è prevista per ottobre 2025 – permette oggi di apprezzare la ritrovata fluidità spaziale della struttura. Rimosse le pareti divisorie che erano state aggiunte nel corso del Novecento, il visitatore riscopre oggi un nuovo stadio della metamorfosi dell’edificio, che lo riavvicina alla concezione originaria a cui i quattro architetti firmatari, Henri Deglane, Albert Louvet, Albert Thomas, e Charles Girault, avevano dato forma.

A beneficiare di questa ritrovata apertura non è solo la leggibilità degli spazi, ma anche una rinnovata dinamicità prospettica, capace di generare inediti dialoghi compositivi tra i differenti linguaggi e volumi dei blocchi dell’edificio, dal Palais de la Decouverte, alla nuova “place centrale” accessibile oggi anche senza biglietto, fino alla grande Nef, la celeberrima navata del Grand Palais. Lo sguardo d’insieme sul restauro permette inoltre di restituire un altro dettaglio percettivo importante, quello relativo all’effetto avvolgente della nuova cartella colori, dato dall’incontro tra il verde delle colonne e della scala art nouveau e il rosa e il corallo dei pavimenti, ripresi con intelligenza e coerenza progettuale dagli arredi disegnati da Atelier Senzu per il Grand Palais.
Quello che abbiamo fatto è pensato per i prossimi cento anni.
François Chatillon
La conclusione dei lavori rappresenta un’opportunità per ripercorrere l’esperienza di un progetto sui generis, costantemente in bilico tra la salvaguardia patrimoniale, la rilettura della spazialità dell’edificio, e l’adeguamento tecnico reso necessario dall’urgenza di consolidare le parti lesionate dell’edificio, garantendone la messa a norma per la continuità degli usi espositivi. François Chatillon, architecte en chef des monuments historiques e responsabile del progetto del Grand Palais, descrive l’intervento come un’operazione titanica, realizzata in tempi ristretti grazie a un’équipe dalle competenze eccezionali.

Un progetto la cui straordinaria complessità tecnica rimane spesso invisibile agli occhi:
“Abbiamo restituito al monumento enormi potenzialità e una straordinaria flessibilità”, racconta Chatillon a Domus. “Oggi il Grand Palais può essere utilizzato per molteplici funzioni, a cominciare dalle mostre che sono appena state inaugurate dal Centre Pompidou, ma un domani sarà in grado di adattarsi a qualsiasi cambiamento. La tecnica, le strutture, la risposta alle sfide climatiche, tutto è stato progettato in modo che il cuore del progetto resti intatto. Quello che abbiamo fatto è pensato per i prossimi cento anni."
Un expertise che si rivelerà cruciale per affrontare il nuovo e monumentale cantiere affidato a Chatillon Architectes: il restauro del Louvre, lanciato dal Presidente Emmanuel Macron, i cui lavori sono previsti per l’autunno del 2026.
Immagine di apertura: Grand Palais - Nave Entrance, Parigi, Francia, 1897–1900 (per l'Esposizione Universale del 1900), restauro di Chatillon Architectes, 2021-2025. © CHARLY BROYEZ FOR CHATILLON ARCHITECTES