Parigi vista attraverso l'obiettivo della regista cult Agnès Varda

Agnès Varda aveva con Parigi un rapporto osmotico: la città era protagonista non solo dei suoi film, ma anche di tante sue foto, ora in mostra.


Agnès Varda è nata in Belgio, ma Parigi è stata la città della sua vita. Un legame che è molto più che geografico: è viscerale, quotidiano, incarnato. Sin dagli esordi, la città plasma e alimenta il suo sguardo sul mondo, contribuendo attivamente alla formazione dell'immaginario di quella che sarebbe diventata una delle più importanti cineaste del Novecento – e oltre.  

“Le Paris d’Agnès Varda, de-ci, de-là” è la mostra in corso al Musée Carnavalet. Un’esposizione che non si limita a celebrare una figura chiave del cinema d’autore, ma invita a camminare nei suoi passi e ad abitare la città come l’ha abitata lei: con attenzione, affetto e radicale libertà.

Agnès Varda, Autoportrait dans son studio, rue Daguerre, Paris 14e, 1956 © Succession Agnès Varda

È un rapporto che prende forma a partire dal celebre studio-cortile di rue Daguerre, nel XIV arrondissement, dove Varda vive e lavora ininterrottamente dal 1951 al 2019: un epicentro creativo dove nascono le idee dei suoi film e, insieme, la culla domestica in cui trovano compimento. 

La mostra apre uno sguardo sulla città come archivio affettivo e materiale creativo attraverso circa 130 fotografie – molte delle quali inedite – che raccontano Parigi attraverso muri, insegne, cortili. Micro-memorie urbane che entrano in dialogo con frammenti di film, oggetti e appunti visivi, suggerendo un montaggio continuo tra intimità artistica e spazio pubblico.

Non sono sicura che ci sia bisogno che gli spettatori comprendano tutto quello che vedono, ma è necessario che sentano.

Agnès Varda

Agnès Varda, Alexander Calder devant son atelier, Paris 14e, octobre 1954 © Succession Agnès Varda / 2025 Calder Foundation, New York / ADAGP, Paris

Usciti dalle sale, la città non può che sembrare diversa.
Camminando per le strade, si ha la sensazione di attraversare un organismo vivo, pieno di pieghe e pertugi in cui si nascondono gli invisibili, di spigoli taglienti e angoli brulicanti di vita, di macchie che infrangono la patina da cartolina.

Agnès Varda è sempre stata un corpo reale, una donna in carne e ossa, con i piedi per terra e la testa nel montaggio. Il suo sguardo sulla città è lo stesso: situato, tattile, materico. Parigi non è mitizzata né estetizzata; è trattata come un altro corpo vivo — che respira, mangia, mastica, a volte inghiotte, a volte sputa. Ed è proprio in questo rifiuto del feticcio parigino, in questo sguardo che accoglie anche lo “scarto”, che si rivela un amore profondo e resistente per lo spazio urbano.

Agnès Varda, Noyé, 1950 © Succession Agnès Varda

Riguardare Varda attraverso Parigi, e Parigi attraverso Varda, è allora un esercizio critico e affettivo. È scendere nella città come in una pellicola montata a mano, e riconoscere che lo sguardo che ama davvero è quello che non distoglie – anche quando ciò che si osserva mette in discussione la propria idea di bellezza, amore o di appartenenza.

Per rendere omaggio a questo sguardo, abbiamo immaginato un itinerario in sei tappe che intreccia cinema e architettura, per riscoprire Parigi a partire dai luoghi attraversati – e trasformati – dall’opera di una delle voci più lucide e radicali del cinema d’autore.

Rue Daguerre – Daguerréotypes (1976)

86 rue Daguerre, 14° arrondissement

Agnès Varda, Daguerréotypes, 1976

Nel cuore del XIV arrondissement di Parigi, rue Daguerre non è solo un indirizzo ma una chiave di lettura dell’intero universo poetico di Agnès Varda. Qui, al numero 86, in un'ex tipografia trasformata in studio-abitazione, Varda ha vissuto e lavorato per quasi settant’anni. Daguerréotypes è l’espressione più emblematica di questo legame: un documentario girato interamente nei cento metri attorno alla sua casa, un vincolo autoimposto per restare vicina al figlio neonato. I protagonisti sono i piccoli commercianti della via, ritratti nella ripetizione quotidiana dei loro gesti. La cinepresa di Varda osserva con rigore etnografico e affetto poetico le soglie tra vita privata e spazio pubblico, tra facciata e retrobottega, tra identità individuale e microcosmo urbano. L’architettura modesta del quartiere diventa così sfondo e personaggio, struttura e narrazione.

Viali, piazze e parchi della Rive Gauche – Cléo de 5 à 7 (1962)

4 rue Huyghens, 14° arrondissement: l'appartamento di Cléo.
128 rue de Rivoli, 1° arrondissement: negozio di cappelli.
24 rue des Bourdonnais, 1° arrondissement: caffè.
Boulevard de l'Hôpital, 13° arrondissement: scena finale, Hôpital de la Salpêtrière.

Corinne Marchand sul set del film di Agnès Varda Cléo de 5 à 7, Cléo au café du Dôme, Paris 14e, 1961 Foto: Liliane de Kermadec © Ciné-Tamaris

In Cléo de 5 à 7, Varda racconta in tempo reale due ore nella vita di una cantante in attesa del responso di una diagnosi medica. Il film si costruisce come un attraversamento urbano: Cléo si muove dai caffè centrali alle piazze affollate, dai giardini silenziosi ai quartieri residenziali. La città non è mai semplice sfondo, ma una vera e propria mappa emotiva che riflette le trasformazioni interiori della protagonista. Gli spazi si dilatano o si restringono a seconda del suo stato d’animo; l’architettura diventa portatrice di tensione o sollievo. Parigi si mostra nei suoi aspetti più quotidiani: niente monumenti, solo strade da percorrere e persone da incontrare. La macchina da presa cammina, osserva, respira insieme a Cléo.

Le cariatidi e la rue de Turbigo – Les dites cariatides & Ange de la rue de Turbigo (1984)

Boulevard Haussmann
57 rue de Turbigo, 3° arrondissement: 
la statua nota come l'angelo gigante è la più alta cariatide della città. 

Agnès Varda, Les dites cariatides, 1984

In Les dites cariatides, Varda si interroga sul ruolo silenzioso ma onnipresente delle figure femminili scolpite che sorreggono facciate e balconi negli edifici parigini. Le cariatidi diventano metafora della condizione femminile: viste ma ignorate, decorate ma immobili. La regista le filma con delicatezza e ironia, trasformando un elemento architettonico apparentemente neutro in soggetto poetico e politico.

In Ange de la rue de Turbigo, girato in Super 8, la riflessione continua su scala più intima: un angelo scolpito sulla facciata di un palazzo borghese diventa il pretesto per indagare l’intreccio tra ornamento, memoria e sguardo urbano.
In entrambi i lavori, l’architettura parla, ma solo se si ha la pazienza di guardarla davvero.

Periferie, interstizi e assenze – Sans toit ni loi (1985)

Regione Languedoc-Roussillon: Le riprese si sono svolte in villaggi come Bellegarde, Boulbon, Saint-Étienne-du-Grès, Générac, Jonquières-Saint-Vincent, Uchaud, Montcalm e Tresques. 

Agnès Varda, Boulevard du Montparnasse, Paris, 1956 © Succession Agnès Varda

In Sans toit ni loi, Varda filma la deriva solitaria di Mona, una giovane donna che sceglie di vivere ai margini, senza casa né legami. Il film si svolge perlopiù in spazi periferici e interstiziali del sud della Francia: campi incolti, svincoli stradali, serre, casolari abbandonati. L’architettura tradizionale è quasi del tutto assente; ciò che resta sono tracce, resti, segni di un abitare negato o dimenticato.
La città, evocata più che mostrata, si allontana e si definisce come entità escludente. Varda adotta una struttura frammentata, composta da testimonianze soggettive e scorci non lineari, che riflette la discontinuità e l’invisibilità sociale della protagonista.

Facciate come superfici di memoria – Visages Villages (2017)

Bruay-la-Buissière, Pirou, Saint-Aubin-sur-Mer  e altri villaggi e città francesi.

Agnès Varda e Jr, Visages Villages, 2017

Visages Villages è un road movie documentario realizzato da Agnès Varda in collaborazione con l’artista JR. Insieme attraversano la Francia incollando gigantografie fotografiche dei volti degli abitanti su muri, silos, facciate di edifici rurali e industriali.

In una delle scene finali, è il volto di Varda stessa a comparire sulla serranda del suo ex studio in rue Daguerre: un gesto al tempo stesso intimo e pubblico, privato e monumentale.
Le architetture diventano superfici narrative, pelli urbane su cui imprimere memorie collettive. Il film mette in discussione i confini tra arte pubblica e cinema, tra rappresentazione e partecipazione, facendo dello spazio costruito un supporto vivo e dinamico di senso.

La città ricostruita – Les plages d’Agnès (2008)

Rue Daguerre, Parigi: la sua casa e studio.
Sète, Francia: luogo della sua infanzia.
La Panne, Belgio: spiaggia dell'infanzia.
Santa Monica, Los Angeles: periodo trascorso negli Stati Uniti.

Agnès Varda, Les Plages d’Agnès, photogramme, 2007 © Ciné-Tamaris

In questo film-autoritratto, Agnès Varda ricostruisce frammenti della propria vita attraverso installazioni effimere, fotografie e set improvvisati. In una delle sequenze più memorabili, trasforma rue Daguerre in una spiaggia artificiale: sabbia, ombrelloni e specchi si mescolano al selciato reale, confondendo sogno e quotidianità. L’abitazione diventa set, la città si fa scena mobile della memoria. L’architettura è reinventata come spazio poetico, al tempo stesso reale e simbolico.

Les plages d’Agnès è un film che abita i luoghi della vita e li riattiva come dispositivi narrativi. Conferma il legame di Varda con l'architettura e dichiara il suo cinema come una forma di urbanistica affettiva.

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