A Rotterdam, la cui anima multietnica è da sempre legata al suo porto industriale (il più grande d’Europa), il movimento è una condizione costitutiva del dna locale. Non solo perché la città, rasa al suolo in un blitz di pochi minuti durante la Seconda guerra mondiale, dal tempo della ricostruzione non ha mai smesso di rinnovarsi divenendo un caleidoscopio urbano in perenne e audace trasformazione, ma anche perché è qui che per oltre due secoli si sono intrecciate trame di esistenze in transizione tra il Vecchio e il Nuovo Mondo, tra dinamiche commerciali e speranze di un futuro migliore.

Non è un caso che proprio a Katendrecht, quartiere portuale da cui salpavano le navi cargo e passeggeri della Holland America Line e nel tempo divenuto riferimento per molte comunità di migranti, la città celebri il suo passato di crocevia “esistenziale” (oltre che materiale e mercantile) con un museo che indaga il fenomeno delle migrazioni come esperienza umana universale. A firmarlo, quale sua prima opera culturale in Europa, è l’architetto cinese Ma Yansong fondatore di Mad Architects che, da oltre vent’anni, concepisce un’architettura futuristica ma profondamente radicata nella tradizione, tecnologicamente audace ma con un’indole poetica, alla costante ricerca di un (ri)equilibrio nel rapporto tra uomo e paesaggio: un’architettura che, affrancandosi dai rigorismi intellettuali (ritenuti opprimenti) del Movimento Moderno, ricerca un’esperienza emozionale, quasi spirituale, dello spazio costruito.
Il museo si pone come strumento documentale sul tema della migrazione ma anche come invito ad una riflessione a scala globale sulle sue ragioni e sui suoi processi evolutivi futuri.
Il museo, inaugurato il 16 maggio, è affacciato su Wilhelmina Pier, dove spuntano le torri di Siza, Oma e Mecanoo (tra le altre). Il complesso occupa gli spazi del vecchio magazzino San Francisco realizzato negli anni ’20 da Corneliis Nicolaas van Goor, parzialmente distrutto dapprima dai bombardamenti bellici e successivamente da un incendio e “risorto dalle ceneri” (come una fenice) negli anni ’50 sotto forma di due edifici separati, Fenix I e Fenix II. Quest’ultimo è stato oggetto, a partire dal 2018, di un intervento di rinnovamento condotto da Mad Architects (con la consulenza dello studio Bureau Polderman per il restauro) che ha riportato alla luce i caratteri tipologici di pregio dell’edificio originario dopo mezzo secolo di superfetazioni e manomissioni, riconfigurandolo per ospitare gli spazi culturali, sociali ed espositivi del nuovo museo.

Il complesso si distribuisce su una superficie di 16mila mq su due piani. Al piano terra, si collocano l’atrio con negozio, caffetteria e ristorante, spazi per mostre temporanee e Plein, un ambiente flessibile aperto alla città per eventi e programmi focalizzati sul dialogo multiculturale, sulla socialità e l’integrazione; al primo piano, le gallerie per la collezione permanente. Nella hall, una mastodontica e avviluppante doppia scala elicoidale alta 30 metri, interamente rivestita in pannelli di acciaio inox riflettente, che rimanda ai flussi tortuosi delle migrazioni, conduce dal piano terra alla copertura panoramica, stagliandosi come gesto smaccatamente surreale nel rigoroso volume esistente e travolgendo come un “Tornado” (questo il nome dell’opera, appunto) lo spazio che la racchiude. In sommità, la struttura deborda dal volume e conclude il suo percorso ascensionale in una piattaforma sovrastata da una tettoia, aprendosi ad una prospettiva spettacolare sul fiume Nieuwe Maas e sul paesaggio urbano.
All’interno, spazi fluidi e interconnessi dal sapore brutalista, leggibile nei ruvidi involucri murari e nella corposa struttura in cemento armato a vista, ospitano tre esposizioni: la ciclopica installazione interattiva “The Suitcase Labyrinth”, un labirinto (vagamente inquietante) di valigie accatastate donate da tutto il mondo e ritornate al porto di partenza come minuziosi tasselli di memorie individuali in una storia collettiva; la mostra fotografica “The Family of Migrants” che racconta la storia (dolente ma talvolta anche salvifica) della migrazione, dall’inizio del XX secolo ad oggi; la mostra “All Directions” che presenta oltre 150 opere d’arte di tutto il mondo che compongono la collezione permanente del museo.
Un’opera d'architettura che si pone come strumento documentale sul tema della migrazione ma anche come invito ad una riflessione a scala globale sulle sue ragioni e sui suoi processi evolutivi futuri. Come spiega Ma Yansong a Domus, l'architettura ha il compito di riportare il focus sull’uomo e sui suoi bisogni spirituali oltre che materiali, ricomponendo i frammenti della storia individuale nel mosaico di un’umanità globale che si riconosce nelle stesse ansie, negli stessi obiettivi e nelle stesse sfide. Un processo che parte da un risveglio personale, maturato attraverso l’esperienza emotiva (più che intellettuale) dello spazio costruito, che affranca dall’ottundimento sensoriale e cognitivo indotto da una società sempre più materialistica e tecnocratica. Allo stesso modo è concepito Fenix: un’opera che, seppure profondamente radicata nell’identità specifica del porto di Rotterdam, parla ad una collettività globale e si fa strumento di risveglio attraverso un “tornado” emozionale che accompagna a conoscere ed elaborare empaticamente una condizione di umana fragilità.

L’inaugurazione del museo avviene in concomitanza con la mostra “Ma Yansong: Architecture and Emotion” ospitata dal 17 maggio al 21 settembre 2025 al Nieuwe Instituut di Rotterdam (luogo iconico del dibattito culturale e artistico contemporaneo, con focus su architettura, design e digitale), che esplora l’opera e il pensiero di Ma Yansong a partire dai primi anni 2000 in Cina fino alle opere più recenti diffuse in tutto il mondo.