Fenomenologia della sorpresina, dall’ovetto Kinder ai labubu

Dalla scomparsa delle sorprese nei pacchetti delle merendine alle code fuori dal Pop Mart: come il desiderio collezionistico ha cambiato forma senza sparire.

Negli anni Ottanta e Novanta, comprare una confezione di merendine non era semplicemente comprare una confezione di merendine. Faceva parte di un rituale stratificato: la mano che fruga nella confezione alla ricerca di qualcosa di nascosto, il fruscio della plastica che avvolge un piccolo oggetto misterioso, la scoperta di una forma inattesa. La sorpresina non era un accessorio del prodotto alimentare: ne era parte integrante, spesso la ragione primaria dell'acquisto.

Le aziende alimentari italiane, da Mulino Bianco a Ferrero, avevano compreso che il valore percepito di un prodotto può essere moltiplicato attraverso l'inserimento di un oggetto fisico. Non si tratta semplicemente di marketing: è la costruzione di un universo parallelo, fatto di collezioni da completare, figurine da scambiare, miniature da accumulare. La sorpresina trasforma l'atto solitario del consumo in un'attività sociale, genera conversazioni nei cortili delle scuole, negoziazioni tra compagni di classe, alleanze temporanee per ottenere il pezzo mancante. Per i baby millennial le merendine erano la base della catena alimentare del desiderio consumistico: prodotti economici, accessibili, quotidiani.

L'anatomia di un desiderio

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Cosa rende così potente questo meccanismo? La risposta sta nella combinazione di elementi psicologici calibrati. La casualità: non sai mai cosa troverai. Studi di neuroscienze dimostrano che l'incertezza sulla ricompensa attiva il rilascio di dopamina in modo più intenso rispetto a ricompense prevedibili: secondo una ricerca pubblicata su Frontiers in Behavioral Neuroscience, la risposta dopaminergica è massima quando la probabilità di ottenere un premio è del 50%, cioè in condizioni di massima incertezza. È lo stesso meccanismo che alimenta il gioco d'azzardo. Poi c'è la serialità: le sorprese fanno parte di collezioni numerate, con pezzi comuni e pezzi rari, creando una gerarchia di valore che alimenta il desiderio. Infine, la tangibilità: sono oggetti veri, che occupano spazio, che puoi toccare, mostrare, scambiare. Questo meccanismo non riguarda solo i bambini. I genitori erano complici, spesso nostalgici di sorprese analoghe della propria infanzia.

La grande sparizione

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Poi, gradualmente, le sorprese hanno iniziato a scomparire. Non c'è una data precisa, un annuncio ufficiale. Ora le confezioni di merendine, cereali e patatine contengono solo cibo. Le ragioni sono diverse e vanno dalle normative sulla sicurezza alimentare più stringenti (rischi di soffocamento), a costi di produzione aumentati e questioni ambientali. Milioni di piccoli oggetti di plastica destinati a finire dimenticati in fondo ai cassetti rappresentano un problema di sostenibilità difficile da giustificare. Le aziende preferiscono sostituire le sorprese fisiche con sistemi alternativi: raccolte punti, concorsi, promozioni digitali.

Quel desiderio sopravvive, ma ha perso la sua gratuità apparente: non è più l’extra che accompagna il quotidiano, è diventato il prodotto stesso.

L'Ovetto Kinder rappresenta un'eccezione. Ferrero mantiene la struttura originaria, l'uovo di cioccolato che contiene una capsula con la sorpresa. Ma anche l'Ovetto evolve: i giocattolini sono diversi da quelli di trent'anni fa, più sicuri, con meno parti piccole, spesso accompagnati da codici da scansionare con lo smartphone, applicazioni dedicate, esperienze di realtà aumentata. La sorpresa fisica diventa un ponte verso un universo virtuale. Il pupazzetto di plastica non è più fine a se stesso, ma un oggetto che sblocca contenuti digitali, mini-giochi, animazioni.

Il nuovo collezionismo

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Nel frattempo, il desiderio collezionistico si sposta. Nel mondo dei videogiochi, skin, badge, avatar e oggetti cosmetici replicano gli stessi meccanismi psicologici delle sorpresine fisiche: rarità, esclusività, status sociale. Una skin rara in Fortnite o CS2 segnala dedizione, abilità, appartenenza a una comunità. Il mercato delle skin di CS:GO supera il miliardo di dollari. Questi oggetti digitali funzionano come le vecchie figurine: si accumulano, si mostrano, conferiscono identità. Ma mancano di una cosa: la tangibilità, il peso, la possibilità di essere scambiati mano a mano nel cortile della scuola.

Il fenomeno Labubu e delle blind box di Pop Mart dimostra che la sorpresa fisica non è morta, si è solo spostata. Questi pupazzi venduti in scatole sigillate, senza sapere quale personaggio conterranno, replicano esattamente la dinamica delle sorpresine: casualità, collezione, scambio, caccia al pezzo raro. 

Ma c'è una differenza sostanziale rispetto alle merendine. Le blind box sono prodotti a sé, venduti come tali. La sorpresina classica invece era un bonus, un extra nascosto nel prezzo della merendina. Il suo costo era invisibile.  

Il meccanismo della casualità e della collezione funziona ancora: i video di unboxing generano milioni di visualizzazioni, le comunità online si formano attorno allo scambio e alla caccia al pezzo raro, esattamente come nei cortili delle scuole trent'anni fa. Ma la sorpresa è uscita dalla merendina per diventare merce autonoma rivendibile a prezzi da capogiro. Non è più l'extra che accompagna il quotidiano, è il prodotto stesso. Quel desiderio sopravvive, ma ha perso quella dimensione di gratuità apparente: la sensazione che la sorpresa potesse nascondersi ovunque, persino nella confezione di una brioche industriale.

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