Quando si parla delle grandi uscite di videogiochi, l’attenzione si concentra quasi sempre su meccaniche, sistemi di combattimento o trama. Ma ciò che definisce davvero l’esperienza, prima ancora delle parole o delle azioni, è la direzione artistica. In Ghost of Yōtei, attesissimo seguito di Ghost of Tsushima, entrambi sviluppati dallo studio americano Sucker Punch, l’art direction non è un abbellimento estetico, ma la struttura stessa del gioco: determina l’atmosfera, guida lo sguardo del giocatore e ne ancora l’identità.
L’eredità di Tsushima
Ghost of Tsushima è stato celebrato proprio per questo. Ai Game Awards del 2020 vinse il premio per la miglior direzione artistica, con la giuria che ne lodò la capacità di “offrire un open world ispirato all’arte e al cinema giapponese, fondendo autenticità e un’identità visiva di forte impatto”.
Joanna Wang, oggi art director di Yōtei dopo aver lavorato anche a Tsushima, ricorda bene quella filosofia: “Volevamo che ogni ambiente parlasse al giocatore prima dei personaggi. Il vento, gli alberi, la luce — non erano decorazioni. Erano l’interfaccia.” Il team spinse infatti per sostituire gli indicatori a schermo tipici dei videogiochi con segnali naturali: folate di vento a indicare la direzione, volpi che guidavano ai santuari, uccelli che attiravano l’attenzione su dettagli nascosti. “Era il nostro modo di fare del mondo la guida. Dovevi sentirlo, non leggerlo.”
Jason Connell, co-direttore di Tsushima e Yōtei, lo sintetizzò così: l’obiettivo era rendere l’isola “assolutamente mozzafiato e ipnotica”, un mondo da vivere come un dipinto in movimento. Per Wang, quella lezione è stata decisiva: “Se l’ambiente sembra autentico e vivo, il giocatore perdonerà quasi tutto il resto. È questa l’eredità che abbiamo portato in Yōtei.”
Dalla decorazione al racconto
Entrata in Sucker Punch oltre vent’anni fa come texture artist su Sly Cooper, passando per la serie inFAMOUS fino a diventare production art director, Wang descrive il suo percorso con una costanza ostinata: “Ho imparato a guardare il mondo superficie per superficie. Una roccia non è solo una roccia — è storia, luce, peso. È così che inizi a costruire un mondo.”
Oggi, guidando l’art direction di Yōtei, rivendica un ruolo da narratrice più che da decoratrice: “La direzione artistica è la pelle del mondo. È il modo in cui il mondo respira. Ogni fotogramma deve raccontare qualcosa, anche se il giocatore non se ne accorge consapevolmente.”
Da Tsushima a Yōtei
Questa filosofia attraversa anche Yōtei. “Volevamo che fosse più luminoso, più ampio, e allo stesso tempo profondamente giapponese,” spiega Wang. Se Tsushima era autunnale e malinconico, Yōtei cerca il contrasto e la volatilità: bufere di neve improvvise, nuvole che fratturano la luce, paesaggi che cambiano carattere di ora in ora. “L’ambiente deve anticipare ciò che la narrazione non ha ancora detto. Deve farti sentire la tensione prima che il tuo personaggio parli.”
Ghost of Yōtei non lo giochi soltanto — lo attraversi come un dipinto.
Joanna Wang
È questo senso di anticipazione a segnare la differenza: Tsushima mostrò come un’interfaccia minimale potesse aumentare l’immersione, Yōtei porta quel principio oltre, sfruttando la nuova tecnologia per ampliare scala e dinamismo. “Non volevamo solo più grande,” osserva Wang. “Volevamo più vivo.”
La preparazione come fondamento
Prima dell’inizio della produzione, il team ha passato mesi a disegnare, prototipare e viaggiare in Hokkaidō per raccogliere riferimenti visivi e culturali. “Non puoi inventare l’autenticità dalla scrivania,” ricorda Wang. “Camminare nella neve, vedere come la luce riflette al nord, disegnare i tetti sotto il peso — così inizi a costruire un mondo che sembri reale.”
Quei viaggi hanno prodotto centinaia di schizzi e fotografie, che documentavano non solo i paesaggi ma anche il rapporto delle persone con essi. La neve che copre utensili lasciati all’aperto o il vento che apre varchi tra gli alberi sono diventati dettagli che hanno definito l’atmosfera di Yōtei. “Quegli schizzi erano più di bozzetti: erano la nostra bussola emotiva,” spiega Wang.
Autenticità culturale e atmosfera
Per Wang la sfida era anche culturale: “La domanda più difficile era come far sembrare Ghost of Yōtei giapponese anche agli stessi giapponesi.” Il team ha lavorato con storici, linguisti ed esperti culturali, ma l’autenticità, sottolinea, nasce soprattutto da un’estetica coerente: “L’arte giapponese valorizza asimmetria, impermanenza, la bellezza della decadenza. Se non inserisci questi valori nell’ambiente, non funzionerà, per quanto accurata sia la ricerca.”
Così i santuari in rovina “non sono solo scenografia, ma promemoria dell’impermanenza”, mentre i petali che cadono “non sono decorativi, sono il tempo che passa davanti a te”.
Tradizione e gioco
La fedeltà storica ha dovuto a volte cedere alla giocabilità. “Le porte delle case erano più basse, ma non funzionavano con i movimenti dei personaggi, quindi le abbiamo rese più grandi,” racconta Wang. Allo stesso modo, i tetti tradizionalmente più ripidi sono stati ammorbiditi per consentire scalate e combattimenti.
Non compromessi, ma dialoghi tra storia e gameplay: “Lo scopo non è costruire un museo,” afferma. “È creare un mondo che sia vero e giocabile allo stesso tempo.”
Le recensioni
Le prime recensioni sembrano confermare l’intento: “Il mondo deve saper parlare prima dei personaggi,” ribadisce Wang, e la sequenza iniziale in cui il protagonista Atsu compila una lista sul touchpad è un gesto visivo di emozione prima ancora dell’azione. Game Informer lo ha letto come un momento che imposta il tono senza parole.
Per Wang l’immersione nasce dai dettagli: “Il silenzio è importante quanto il rumore. La luce quanto il dialogo.” Un approccio riconosciuto anche da The Verge, che ha lodato i momenti più intimi — dal campeggio al suonare lo shamisen — come esempi in cui l’art direction diventa narrazione.
La direzione artistica è la pelle del mondo. È il modo in cui il mondo respira. Ogni fotogramma deve raccontare qualcosa, anche se il giocatore non se ne accorge consapevolmente.
Joanna Wang
Conta anche la scala: “Volevamo che Yōtei sembrasse più grande e più vivo, non solo più bello.” Kotaku lo ha definito “un’esperienza impressionante ma familiare”, sottolineando però come il mondo appaia più nitido, vasto e atmosferico.
Per Wang la nuova tecnologia serve solo se al servizio delle emozioni: “Cieli dinamici, meteo mutevole, luce che filtra tra le nuvole — non sono feature tecniche, sono emozioni.” Anche la critica su Metacritic sembra concordare, con punteggi superiori a Tsushima per grafica, suono e immersione.
Perché l’art direction conta
Tutto torna alla convinzione centrale di Wang: la direzione artistica non è un accessorio. “È l’architettura dell’emozione. Se la togli, il gioco diventa vuoto. Se la centri, il giocatore prova qualcosa anche quando non accade nulla.”
Se Tsushima fu definito un poema samurai reso in pixel, Yōtei si pone come un’elegia: un’ode alla natura, all’impermanenza, alla sopravvivenza. Joanna Wang e il suo team hanno intrecciato rispetto culturale, innovazione tecnica e poesia visiva in un insieme fluido. Il risultato è un mondo che respira, vibra e inquieta allo stesso tempo.
Come dice la stessa Wang: “Ghost of Yōtei non lo giochi soltanto — lo attraversi come un dipinto.”
Ghost of Yotei sarà disponibile in esclusiva per PlayStation 5 dal 2 ottobre 2025.
Immagine di apertura: Ghost of Yōtei, in uscita nel 2025, sviluppato da Sucker Punch Productions e pubblicato da Sony Interactive Entertainment.
