Mastodon, come funziona l’anti-Twitter

Basato su una concezione decentralizzata della rete e distribuito con codice libero e accessibile a tutti, Mastodon è il social network alternativo in grande crescita, a cui guardano soprattutto gli scontenti della gestione Elon Musk.

Foto di Battenhall su Unsplash

Insofferente alla raccolta dati dei grandi social network tradizionali e alla loro tolleranza nei confronti dell’estrema destra, l’ingegnere elettronico tedesco Eugene Rochko decide nel corso del 2015 di creare un’alternativa a Twitter e Facebook. Un’alternativa libera dalla pubblicità, autogestita, militante e sulla quale nessuno potrà mai avere il controllo assoluto. Inizia a lavorarci appena conclusi gli studi in Scienze Informatiche all’università di Jena, anche con la speranza – come ha raccontato a Mashable – di non “ritrovarsi incastrato nella tristezza di un lavoro tradizionale”.

Il 16 marzo 2016 Mastodon vede la luce, venendo poi ufficialmente presentato nell’ottobre dello stesso anno sul forum Hacker News. A prima vista, è praticamente identico a Twitter, con l’eccezione che il limite è di 500 caratteri invece che 280. A livello strutturale, le differenze con il social network fondato da Jack Dorsey e oggi guidato da Elon Musk sono però enormi.

Mastodon

Prima di tutto, Mastodon è open source, senza pubblicità e non raccoglie nessun dato degli utenti. Ma soprattutto è una piattaforma decentralizzata priva di un’entità unica in grado di esercitare controllo. Ogni utente può infatti aprire una propria sezione di Mastodon (chiamata in gergo “istanza”) indipendente da tutte le altre, gestendole in completa autonomia, decidendo le politiche di moderazione, le condizioni di utilizzo e anche pagando gli eventuali costi di gestione (server e altro).

Al momento, ci sono quasi 13mila di queste istanze per un totale di oltre sei milioni di utenti iscritti, quasi raddoppiati da quando – ormai più di un anno fa – si è iniziato a parlare della scalata di Musk a Twitter, generando un’ondata di (giustificati) timori che hanno avvantaggiato un social considerato una “alternativa etica” ai colossi della Silicon Valley.

Insofferente alla raccolta dati dei grandi social network tradizionali e alla loro tolleranza nei confronti dell’estrema destra, l’ingegnere elettronico tedesco Eugene Rochko decide nel corso del 2015 di creare un’alternativa a Twitter e Facebook.

Nonostante le più grandi istanze abbiano circa 150-200mila utenti e siano di carattere generalista, la particolarità della maggior parte di esse è di radunare gli utenti in base soprattutto a interessi, passioni, ideologia politica, zona di provenienza e altri aspetti che accomunano tutti gli appartenenti; creando in questo modo delle comunità online di numero ridotto e più coese (ci sono ovviamente anche le istanze italiane, molto spesso di carattere politico di sinistra e antifascista). 

Attenzione, però: tutte le istanze sono “federate” tra loro, vale a dire che chi aderisce a una può comunque seguire e comunicare anche con utenti che aderiscono ad altre. Il paragone più semplice per capire il meccanismo è probabilmente quello con le email: il fatto di avere un account Gmail non impedisce di comunicare con chi invece ha un account Hotmail.

Mastodon

Mastodon è però a sua volta parte di un ecosistema ancora più esteso: il cosiddetto “fediverso”. È un universo di piattaforme che condividono alcuni valori di base – a partire dall’open source – e che sono tra loro tutte interoperabili. Alla base di queste piattaforme c’è infatti un protocollo comune, ActivityPub, che consente, per esempio, a un utente di Mastodon di commentare un video presente su PeerTube (la versione di YouTube del fediverso) dal proprio account, vedendo inoltre comparire i video postati da un utente di PeerTube da lui seguito direttamente sul feed di Mastodon. 

È quindi un meccanismo opposto a quello dei “walled garden” del web 2.0, che isolano il più possibile gli utenti dal resto di internet: ogni applicazione che implementa ActivityPub diventa quindi parte di un network federato, di cui fanno parte, per esempio, la piattaforma di streaming musicale FunkWhale, di archiviazione online Nextcloud, di organizzazione eventi come Mobilizon o di blog come Plume.

A prima vista, è praticamente identico a Twitter, con l’eccezione che il limite è di 500 caratteri invece che 280. A livello strutturale, le differenze con il social network fondato da Jack Dorsey e oggi guidato da Elon Musk sono però enormi.

Ma come fanno a guadagnare queste piattaforme open source, che non raccolgono dati e non ospitano pubblicità? Tramite le donazioni degli utenti: nel caso di Mastodon ci sono migliaia di volontari che donano una piccola quota per permettere a Eugen Rochko e i suoi collaboratori di dedicarsi a tempo pieno alla gestione di questa piattaforma. Su Patreon ci sono per esempio quasi diecimila persone che donano in totale circa 30mila euro al mese. 

Difficile (e poco interessante) fare i conti in tasca a Rochko, ma una cosa è certa: se avesse accettato le varie offerte – sempre invece rifiutate – che ha ricevuto da vari investitori interessati a far crescere (e snaturare) Mastodon, sarebbe diventato molto più ricco. Anche questo è un aspetto fondamentale: Mastodon può davvero diventare un’alternativa a Twitter e raggiungere dimensioni a esso simili, passando da sei milioni di iscritti (di cui solo un paio attivi regolarmente) a centinaia e centinaia di milioni?

Mastodon

Probabilmente, no. Diventerebbe troppo difficile per Rochko gestire la piattaforma a livello tecnico, eccessivamente impegnativo la gestione delle varie istanze da parte dei volontari, si moltiplicherebbero inoltre i casi – già avvenuti in passato – di istanze che non rispecchiano i valori fondanti del “fediverso” e altro ancora. 

Per assurdo, affinché un progetto particolare, legato al mondo attivista e comunitario come Mastodon possa avere successo, è necessario che rimanga piccolo.

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