È veramente la fine degli NFT?

Le preoccupazioni per il calo del valore degli NFT come veicolo di investimento indica un ampio fraintendimento del loro potenziale a lungo termine.

Nel marzo 2021, l’imprenditore Sina Estavi ha comprato il primo tweet di Jack Dorsey sotto forma di NFT per l’equivalente di 2,9 milioni di dollari. Lo scorso aprile, a poco più di un anno di distanza, ha cercato di venderlo di nuovo. L’offerta più alta che ha ricevuto prima di ritirare l’asta? 14,000 dollari. 

La disastrosa svalutazione dell’NFT di Estavi è stata rapidamente interpretata come l’esempio più lampante dell'imminente crollo del mercato degli NFT. Il Wall Street Journal ha citato il caso, tra gli altri, in un articolo ampiamente condiviso intitolato “NFTs are flatlining”, insieme a dati raccolti da NonFungible che mostrano una rapida diminuzione del numero di wallet ethereum attualmente attivi sul mercato dei Non Fungible Token.

Tuttavia l’unica cosa che possiamo tranquillamente desumere finora dalla disavventura di Estavi è che l’imprenditore ha fatto un pessimo investimento, spendendo 2,9 milioni di dollari per un asset digitale che già a marzo 2021 avrebbe dovuto apparire come clamorosamente sopravvalutato.

Ma presumere che scelte pessime come quella di dare un valore assurdo al primo tweet o transazioni fuori scala come i 69 milioni di dollari pagati per le opere digitali dell'artista digitale Beeple siano l’orizzonte ultimo degli NFT sarebbe una semplificazione grossolana.

“The First 5000 Days”, il collage di Beeple venduto per 69 milioni di dollari
“The First 5000 Days”, il collage di Beeple venduto per 69 milioni di dollari

I Non Fungible Token hanno senza dubbio favorito una nuova bolla che ricorda la febbre dei tulipani nel corso dell’ultimo anno, ma sarebbe sbagliato considerarli alla stregua dei bulbi per i quali i commercianti olandesi impazzirono nel 1600. I Non Fungible Token sono piuttosto il veicolo utilizzato per trasmettere quel valore percepito. In questo senso sono uno strumento completamente nuovo, il cui potenziale può essere sfruttato per speculazioni a breve termine, certo, ma anche per applicazioni concrete nell’ambito della proprietà digitale dell’arte che finora non era mai state possibili.

Ciò che fa davvero la differenza è il valore effettivo percepito della proprietà collaterale a cui sono legati. Molti dei primi entusiasti (e molti esperti truffatori) hanno cercato di spingere l’idea che il processo di creazione del valore fosse nascosto nel puro atto di generare un NFT. Da qui, la marea di schifezze che ha rapidamente riempito la maggior parte dei marketplace online nell’ultimo anno. La prova che gli NFT come soluzione al problema della proprietà dell’arte digitale sono ancora validi, però, la si può ritrovare nella quantità di “drop” di successo legati ad artisti affermati. Quelli cioè che sono già effettivamente riconosciuti come tali dai loro pari e dal più ampio mercato dell’arte, non i cripto-bro che rincorrono guadagni facili trafficando figurine di varia natura. 

Jeff Koons, ad esempio, sta attualmente vendendo un’intera collezione di NFT legata a sculture reali che verranno poi spedite sulla Luna a circa 2 milioni di dollari al pezzo. Su una scala molto più piccola, il famoso artista digitale Rafaël Rozendaal ha recentemente venduto 110 NFT coniati per il suo progetto Homage, un tributo a Josef Albers, per un prezzo totale di circa 60.000 euro.

Inoltre, molti aspetti della tecnologia NFT devono ancora essere pienamente esplorati dagli artisti. I Non Fungible Token “mintati” sulla blockchain di Ethereum possono contenere smart-contract che risolvono il problema della proprietà digitale e la distribuzione delle royalties dopo la vendita originale, con una democratizzazione della gestione del copyright per tutti gli artisti.

  

La critica fondamentale e profonda degli NFT come mercato dovrebbe muovere invece da una prospettiva completamente diversa. Cioè dalla messa in discussione del ruolo dei Non Fungible Tokens nella normalizzazione di un ruolo produttivo per gli artisti nella società capitalista. Quella stessa sovrastruttura, in altre parole, da cui scaturiscono la maggior parte dei problemi sociali che l’arte tipicamente cerca di affrontare o criticare.

È una questione completamente diversa, però, che non ha niente a che fare con le critiche agli NFT intesi come “mercato finanziario”. Dopo tutto, galleristi, collezionisti e discografici hanno usato le opere di artisti di protesta (come Banksy) e di icone della controcultura musicale come strumento finanziario per decenni. Caso mai questo è il vero concetto di mercato dell’arte che gli NFT possono ancora sconvolgere.

Nel 2015, il miliardario gestore di hedge fund Kenneth C. Griffin ha acquistato il dipinto Interchange di Willem De Kooning per 328 milioni di dollari. De Kooning aveva originariamente venduto il dipinto nel 1955 per 4000 dollari. Fu poi rivenduto per 20,7 milioni di dollari nel 1989 al proprietario della Mountain Tortoise Gallery di Tokyo. Negli anni novanta, il pezzo è stato acquistato da David Geffen a un prezzo più basso e poi finalmente venduto a Griffin sette anni fa al prezzo record di cui sopra.

Viviamo in un mondo in cui un singolo dipinto fisico può valere 300 milioni di dollari per un gestore di hedge fund miliardario e per i suoi pari. Lo stesso mondo in cui le opere d’arte sono tenute nei caveau e vengono usate come merce di scambio per le bizze di miliardari annoiati. Davvero vogliamo convincerci che il problema, in questo mondo, siano i prezzi fuori scala pagati da qualche vincitore della cripto-lotteria per le immagini di quattro scimmie annoiate?

Immagine in apertura: Bored Ape Yacht Club, Yuga Labs, Ethereum

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