Pausa caffè: “L’Italia ha tutto. Manca solo il progetto”

Andrea Munari, presidente di BNL, racconta a Domus la sua strategia per superare il momento di crisi: con un completo redesign e un cambio di approccio.

Andrea Munari

Questo articolo è stato pubblicato in origine su Domus 1056, Aprile 2021

“Il mio tempo di bilanci mi porta a dire che l’architettura e il design sono sempre più importanti, perché determinano l’evoluzione sociale e industriale. Nel mio settore, secondo me, il modello di riferimento è il mondo del manufacturing, i costruttori di automobili, le aziende a ciclo continuo, per esempio. Realtà dove l’attenzione al dettaglio è maniacale. Magari si fanno cose semplici, ma sono straordinariamente perfette. Credo che questa sia la nostra via da seguire: un completo redesign, ancora solo accennato. Fare prodotti buoni, semplici, essenziali, facili da capire dai clienti con cui sviluppare un rapporto come le aziende di prodotti digitali: in una parola, autentici”. Dopo cinque anni e mezzo da CEO di BNL e responsabile di BNP Paribas in Italia, e ora negli abiti di presidente di BNL, Andrea Munari resta, per fortuna, quello di sempre. Un’alternanza dialettica ed emotiva tra il ragazzo talentuoso dagli occhi puliti della provincia veneta e il banchiere disincantato passato dal coding di Oxford e della finanza anglosassone dove parlano solo i numeri. In termini letterari, un personaggio di Luigi Meneghello in bilico tra lucidità e passione dentro un sistema di scelte quasi mai semplici da comprendere. “Allineare la banca al mondo digitale ha impatti non banali. Il settore non è abituato, le banche vengono da storie diverse, l’80 per cento dei clienti usa il 20 per cento dei prodotti. Si tengono in piedi cose non necessarie, quando una delle lezioni che ho imparato dall’economia digitale è mantenere le cose semplici. 

Se guardi davvero Amazon, vedi che non ha cambiato niente, ha solo elevato il livello del servizio a straordinariamente affidabile. Questo è quello che abbiamo cercato di fare in questi anni in BNL e questo, per me, deve guidare il passaggio al futuro”. Mentre Munari lavorava a questa nuova architettura finanziaria, anche l’ecosistema individuale e sociale cambiava architettura, accelerando appena prima di essere travolto dalla pandemia di Covid-19. Così, anche dall’ultimo piano della superba Diamond Tower, quartier generale milanese di BNL e del Gruppo BNL Paribas – 27 piani, 30.000 m2, 2.100 postazioni (pre-Covid-19) ideato dallo Studio Montero nell’ottica della “sostenibilità e nel rispetto delle esigenze umane”, la prospettiva si stravolgeva. “Tutto vero. Nel banking è in atto un consolidamento rapidissimo, prima a livello nazionale e, negli anni a venire, europeo. Però – e qui Munari ripete la congiunzione con un altro tono – per fare questo, l’unione bancaria deve essere a portata a termine, altrimenti non funziona. 

Vista interna della Torre Diamante, sede del Gruppo bancario. Realizzato nella zona di Porta Nuova, è il grattacielo più alto di Milano, progetto di Kohn Pederson Fox Associates. Sulla sinistra, Tavola della memoria di Arnaldo Pomodoro (1960-1970).

In Italia il settore rimane sovraffollato, troppe banche. Il vero problema è che nelle banche domina ancora un approccio incrementale che, alla lunga, porta all’irrilevanza. La storia dice che alla fine tu devi avere il coraggio di fare disruption e jump. Ecco, nel mio tempo di bilanci credo che siamo diventati molto più bravi a gestire rischi di credito. Tutti, non solo noi. Anche se le banche creeranno ancora NPL, perché quello dipende da altri fattori. Oggi la banca è in grado di controllare il rischio di credito in quanto più facilmente prezzabile e, quindi, gestibile. Il vero problema è la gestione dei rischi operativi, inclusi i rischi cyber, di cui c’è comunque coscienza. Tuttavia c’è scarsissima consapevolezza per il rischio da modello di business, da cambio di modello. Lì siamo molto restii a prendere provvedimenti coraggiosi”. 

...c’è un mondo di opportunità che si possono realizzare, anche divertendosi. Ancora una volta, l’architettura è centrale: penso al mondo della rigenerazione urbana, immobiliare, della mobilità, dei trasporti, dei servizi, del mercato interno...

Di fronte a questa vista, al 26° piano, e dopo queste parole, penso a Lawrence Summers e Thomas Piketty. Il primo teorico della stagnazione secolare, il secondo del ritorno all’Ottocento dove un matrimonio d’interessi valeva di più di una laurea a Oxford. “Partiamo da Summers. La crescita degli interessi dipenderà dalla capacità che hanno gli agenti economici di sostenere più rischi, perché con questi prezzi del denaro c’è un mondo di opportunità che si possono realizzare, anche divertendosi. Ancora una volta, l’architettura è centrale: penso al mondo della rigenerazione urbana, immobiliare, della mobilità, dei trasporti, dei servizi, del mercato interno dove ci sono grandi inefficienze. Vedo grande spazio anche in nuove forme di comunicazione, perché non è vero che tutto ormai è in mano agli over the top. Si può creare anche qui prodotto di qualità e di nicchia globale. Il vero rischio è il fallimento della politica, che ha imposto il ricorso a un personaggio come Mario Draghi. Ho ascoltato quando il professor Draghi ha tenuto il discorso per la laurea honoris causa alla Cattolica, che ho fatto leggere a mio figlio. Draghi è certamente tecnico, ma anche un vero civil servant. Per questo, credo che nel flesso in cui ci troviamo i migliori ingegni, che prima dell’era Reagan e Thatcher si impegnavano nel pubblico e poi andarono nel privato, torneranno a essere orientati al pubblico”. 

Vista interna della Torre Diamante, sede del Gruppo bancario.

Il caffè è finito e ci alziamo, ma non vediamo Piketty. “Condivido la sua interpretazione, ma non il suo fatalismo. Tutti gli indicatori dicono che la ricchezza e soprattutto il guadagno si stanno concentrando nelle mani di pochi. Un prodotto come il vino insegna, e non perché sono veneto e ho una moglie piemontese. Oggi vanno sia i vini ‘potabili’, che costano poco, sia quelli di alta, altissima gamma, da 70 euro a bottiglia in su. Quelli medi, che comprava la classe media, non ci sono più, non c’è più spazio. E questo vale dappertutto: auto, moda, case. Per il nostro Paese, questa condizione potrebbe anche essere un’opportunità, ma dobbiamo riposizionarci, innovarci, ristrutturarci, completare la transizione. Ripeto: questo momento di flesso impone una grossa opera di riconciliazione con questo nuovo mondo, perché ci saranno sicuramente nuovi mezzi di ridistribuzione, più efficaci del reddito di cittadinanza, ma se non cambiamo approccio la vedo male. Se la classe media recupera, si ripensa, ha coraggio, riprende a fare figli, ce la faremo. Domus direbbe: o concludiamo il progetto oppure il Paese non ce la fa”.

Immagine di apertura: Andrea Munari, presidente di BNL Gruppo BNP Paribas in Italia.

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