Un ricordo di Franco Miragliotta (1963-2020)

Domenica 12 luglio si è spento il nostro amico e collega Franco, grafico con la passione per la musica e il sax. Dopo tanti anni di vita in redazione, dopo avere lavorato insieme ad almeno 200 tra numeri e allegati con sette diversi direttori, sentiremo moltissimo la sua mancanza, personale e professionale. 

Ciao Franco, siamo i tuoi amici di Domus, rimasti senza parole anche perché non c’è stato ancora il tempo di trovarle. “Da domenica in testa mi viene solo in mente un dipinto di Guttuso”, scrive Cristina Moro. “È un funerale dove ci sono delle bandiere rosse, alte e attorno tantissimi visi in bianco e nero. Quei visi siamo noi, che non abbiamo nemmeno le parole per salutarti come si deve, scioccati per averti perso”. Di te abbiamo ancora addosso la risata e la sensazione precisa del tuo sorriso aperto. Hai saputo dare attenzione a tutti: in modo diverso, ma speciale a ciascuno, trasformando con naturalezza il rapporto professionale in amicizia e ricordandoti di ognuno di noi a mano a mano che la vita scorreva: lauree, promozioni, cadute, partite, vittorie, fidanzati, malattie, matrimoni, lutti, nascite, compleanni. Ci sei sempre stato, nel tuo modo elegante e delicato. Quel tuo modo di essere scoglio e colonna. Quel tuo esserci sempre per il primo caffè del mattino, con il berretto in testa e la sigaretta in bocca, a passeggiare su e giù per il cortile con le mani in tasca, sempre pieno di pensieri, irrequieto, vivo. Il primo ad arrivare e spesso l’ultimo ad andare. Hai saputo farti amare da tutti. Ti veniva facile.

Renato Guttuso, I funerali di Togliatti, 1972. Mambo, Istituzione Bologna Musei, Associazione Enrico Berlinguer (deposito permanente)

“Ci hai abituati alle pastiere di tua moglie Maria che poi ha imparato a fare anche Martina, tua figlia. Ci siamo scambiati film, documentari, canzoni, qualche libro, le brioche di ricotta che portava Rita al mattino, soprattutto quando si lavorava il weekend. Ci siamo scambiati piante, storie, regali, consigli” (Giulia Guzzini). Ci parlavi della granita che mangi solo d’estate a Capo d’Orlando, del mercato del pesce con le vongole fresche che ti sputano addosso. Parlavi di qualcosa che stavi costruendo, ti sedevi in archivio e raccontavi, sbuffavi o ridevi, e poi via… Hai anche ascoltato, perché sapevi ascoltare. E adesso pensiamo ai tuoi gilet eleganti, alle tue sciarpe vezzose, al tuo sax, alla musica che ti ha riempito l’anima, alle ore passate a suonare, al fischietto di arbitro, alle tue battute irriverenti e al tuo sguardo curioso di tutto. E sappiamo che ci mancherai, che cercheremo il tuo sguardo in redazione prima di venire a patti con la tua assenza. Abbiamo avuto il privilegio di lavorare con te e di esserti amici. Ti ricorderemo sempre, con un sorriso.

Quando ho saputo della tua scomparsa ho provato a scriverti, banalmente sulla tua bacheca di Facebook. Non sono riuscito a trovare le parole, ma mi è venuta in mente la canzone Blue in Green di Miles Davis. Ecco, il suono della sua tromba dopo gli accordi al piano di Bill Evans esprime esattamente quello che ho provato e che provo. Contento di avere parlato con te di musica e di averti visto riprendere in mano il sax dopo tanto tempo. Ciao Franco, salutami John Coltrane e Thelonious Monk. E fate i bravi. Salvatore Peluso

Caro Franco, per ritrovarti ho scorso la cronologia dei messaggi What’s App che ci siamo scambiati nel tempo. Prima esigua, perché non eri certo il tipo che imponeva la sua presenza, poi quasi quotidiana nei tre anni in cui ho avuto la fortuna e il privilegio di esserti collega, e di nuovo meno frequente ma sempre piena di affetto quando colleghi non lo siamo stati più, ma solo amici.
Un messaggio, quello più banale e frequente – quasi tutte le mattine tra le 8.00 e le 8.20 – “Arrivi per il caffè?” è per me anche quello più doloroso da rileggere oggi, testimone di una quotidianità fatta di redazione vuota, luci ancora spente e la tua presenza che si annunciava con il fischiettare prima, il profumo poi.
Caffè, sigaretta e confidenze: le mie di ragazzina spaventata alle prese con i primi problemi nel mondo del lavoro, con la ricerca di una casa, le questioni stupide con i fidanzati che all’epoca sembravano drammi di portata nazionale; le tue di padre apprensivo con una figlia poco più piccola di me che si affacciava all’età adulta, di uomo pratico alle prese con una casa tutta da costruire e di sognatore che si immedesimava in un film o si innamorava di un documentario.
Con quel caffè della mattina abbiamo imparato a conoscerci, a costruire un’amicizia speciale.
Da allora ho cambiato colleghi e posti di lavoro, ma quell’appuntamento non l’ho mai più avuto con nessuno. Rimarrà il mio ricordo, banale, di una persona speciale. Ciao Franco. Carlotta Marelli

Ehi vecchia volpe,
Sapevo che alla fine ci avresti fatto lo scherzone. Tu non sei uno da andartene come gli altri, ma da divo. Chapeau. Così ora mi tocca scrivere con distacco e serietà, ma come faccio? Insieme scherzavamo su qualsiasi cosa, e se ti penso qui davanti mi vien da ridere, mi prenderesti in giro. Mi diresti “Mariannina, ma la smetti di scrivere minchiate?”. Perfino al tuo funerale ti sentivo vicino a fare battute sul sermone e a pavoneggiarti sul tuo loculo: devo ammettere che ti sei preso un bel posto, l’angolo in basso a destra di una griglia perfetta, da bravo grafico. Negli ultimi quattro anni con te ho passato più tempo che con qualsiasi fidanzato, amico, parente, genitore. E non ore da colleghi, ma da amici, veri amici, dentro e fuori le mura dell’ufficio. La regola era semplice e ci piaceva: parliamo di tutto tranne che di lavoro. Io di calcio, tu di basket. Tu di regolamenti internazionali per arbitrare, io di progetti impossibili in Messico. Ci ascoltavamo. Ci psicanalizzavamo. Ci consolavamo. Ci dicevamo la verità, facendoci male ma bene. Mi hai supportato con il canto, e io con il sax. Ti ho insegnato a mangiare le barbabietole e tu mi hai insegnato a sbucciare la frutta con coltello e forchetta. Avevi sempre un’ossessione nuova: la sega circolare, la giacca Armani, il programma di doppiaggio del film coreano, il “metodo Miragliotta” per solfeggiare. Quante battute, quante battutacce! Non ci risparmiavamo. Sei stato migliore amico e migliore amica. A presto, e non ti dimenticare di noi, di me, che quando meno te lo aspetti sarò lì a scroccarti una sigaretta. Marianna Guernieri

Estratto da una guida al solfeggio ideata da Franco: il "metodo Miragliotta", 2020.

Ciao Franco, Questa bella e buona pastiera ce l’avevi portata in redazione, orgoglioso e ringalluzzito, perché era stata prodotta dalle bravissime mani di Martina, tua figlia.  Eri sempre sorridente, un riferimento  in perfetto equilibrio tra lo Yin e lo Yang nell’ambiente di lavoro. Lasci un grande vuoto ovunque tu sia passato, di questo ne sono più che certa. Nella mia esperienza di lavoro a Domus tu resti uno dei più bei ricordi. Olga Mascolo

Pres' Blues in F minor (Impromptu) May you always find an aerophone / to blow your kindness in / and that pork pie hat / you were always looking for   Raffaele Vertaldi

Ricordo di averti conosciuto nell’ottobre 2018. Mi ero trasferita a Milano da Londra con a malapena una parola di italiano per scrivere per sul sito di Domus. Tu eri un grafico dell'edizione cartacea della rivista, parlavi poco inglese ed eri seduto all'estremità opposta dell'ufficio. C'erano tutti i presupposti per evitare un'amicizia tra colleghi. Ma tu non eri così – eri gentile e accogliente, e indossavi un paio di Dr. Martens e un parka, che stranamente mi ricordavano casa.
C'era sempre spazio per un vassoio in più al tuo tavolo a pranzo, dove ho imparato ad apprezzare il tuo tagliente senso dell'umorismo e l'amore per il sassofono, grazie alle traduzioni dei colleghi pazienti. Eri ironico – ricordo le parole non proprio di incoraggiamento su un risotto decisamente inautentico che avevo preparato – e irriverente, a giudicare dalle battute che a volte non mi venivano tradotte.
Il tuo umorismo si estendeva al tuo impegno ad ampliare il mio vocabolario italiano oltre i confini della rudimentale terminologia architettonica, per includere la corretta pronuncia di parole importanti come “ornitorinco” e la “chiavetta” con cui ci offrivi regolarmente il caffè.
Questi aneddoti si riferiscono a piccoli ma apprezzatissimi gesti, piccoli germogli in confronto alle profonde radici di amicizia che hai coltivato in Domus. Quindi so quanto sarà acuta si sentirà la tua assenza nella redazione della rivista, e sulle sue pagine.

Abracci,
Jessica x

Jessica Mairs

Ciao Franco, Non esistono parole giuste per questo momento. Noi che abbiamo passato giornate, pranzi, caffé a parlare insieme. Ci hai sempre stupito per la tua gentilezza nei nostri confronti, un uomo per cui rispetto, ascolto e amicizia sono valori assoluti. Vogliamo forse ricordare i commenti sui succulenti pranzi in mensa?
Le nostre giornate in Domus erano un incontro continuo, tra caffé offerti, suggerimenti musicali e un affetto incondizionato.
E ora siamo qui a ripensare al tuo fischietto per imprimerlo nei nostri ricordi. Grazie. I ragazzi dell'archivio, Elena Claudia Oscar

Nelle pause dal lavoro di redazione io e te, Franco, parlavamo soprattutto di animali. Incursioni brevi in un mondo di cui facevano parte il tuo cane e quello di Marianna, il mio gatto e quello di Simona, ma anche una nutria che ti aveva attraversato la strada al mattino e le cornacchie che presidiavano il cortile di Domus. Non esitavi a esprimere la tua tenerezza, a raccontare sentimenti e a volte fragilità, tu che pure eri così discreto. Mi è sempre piaciuto questo tuo modo. Quell’affetto, quella curiosità e simpatia senza giudizio, io avevo l’impressione che tu le provassi anche per noi, i tuoi colleghi. Oggi avrei voglia di chiederti se ci avevo visto giusto - io penso di sì.

Annalisa Rosso

  Immagine di apertura: Franco Miragliotta (al centro) al lavoro in redazione, tra Italo Rota (a sinistra) e Alessandro Mendini.