Ciao Franco, siamo i tuoi amici di Domus, rimasti senza parole anche perché non c’è stato ancora il tempo di trovarle. “Da domenica in testa mi viene solo in mente un dipinto di Guttuso”, scrive Cristina Moro. “È un funerale dove ci sono delle bandiere rosse, alte e attorno tantissimi visi in bianco e nero. Quei visi siamo noi, che non abbiamo nemmeno le parole per salutarti come si deve, scioccati per averti perso”. Di te abbiamo ancora addosso la risata e la sensazione precisa del tuo sorriso aperto. Hai saputo dare attenzione a tutti: in modo diverso, ma speciale a ciascuno, trasformando con naturalezza il rapporto professionale in amicizia e ricordandoti di ognuno di noi a mano a mano che la vita scorreva: lauree, promozioni, cadute, partite, vittorie, fidanzati, malattie, matrimoni, lutti, nascite, compleanni. Ci sei sempre stato, nel tuo modo elegante e delicato. Quel tuo modo di essere scoglio e colonna. Quel tuo esserci sempre per il primo caffè del mattino, con il berretto in testa e la sigaretta in bocca, a passeggiare su e giù per il cortile con le mani in tasca, sempre pieno di pensieri, irrequieto, vivo. Il primo ad arrivare e spesso l’ultimo ad andare. Hai saputo farti amare da tutti. Ti veniva facile.
Un ricordo di Franco Miragliotta (1963-2020)
Domenica 12 luglio si è spento il nostro amico e collega Franco, grafico con la passione per la musica e il sax. Dopo tanti anni di vita in redazione, dopo avere lavorato insieme ad almeno 200 tra numeri e allegati con sette diversi direttori, sentiremo moltissimo la sua mancanza, personale e professionale.
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- La redazione di Domus
- 14 luglio 2020
“Ci hai abituati alle pastiere di tua moglie Maria che poi ha imparato a fare anche Martina, tua figlia. Ci siamo scambiati film, documentari, canzoni, qualche libro, le brioche di ricotta che portava Rita al mattino, soprattutto quando si lavorava il weekend. Ci siamo scambiati piante, storie, regali, consigli” (Giulia Guzzini). Ci parlavi della granita che mangi solo d’estate a Capo d’Orlando, del mercato del pesce con le vongole fresche che ti sputano addosso. Parlavi di qualcosa che stavi costruendo, ti sedevi in archivio e raccontavi, sbuffavi o ridevi, e poi via… Hai anche ascoltato, perché sapevi ascoltare. E adesso pensiamo ai tuoi gilet eleganti, alle tue sciarpe vezzose, al tuo sax, alla musica che ti ha riempito l’anima, alle ore passate a suonare, al fischietto di arbitro, alle tue battute irriverenti e al tuo sguardo curioso di tutto. E sappiamo che ci mancherai, che cercheremo il tuo sguardo in redazione prima di venire a patti con la tua assenza. Abbiamo avuto il privilegio di lavorare con te e di esserti amici. Ti ricorderemo sempre, con un sorriso.
Un messaggio, quello più banale e frequente – quasi tutte le mattine tra le 8.00 e le 8.20 – “Arrivi per il caffè?” è per me anche quello più doloroso da rileggere oggi, testimone di una quotidianità fatta di redazione vuota, luci ancora spente e la tua presenza che si annunciava con il fischiettare prima, il profumo poi.
Caffè, sigaretta e confidenze: le mie di ragazzina spaventata alle prese con i primi problemi nel mondo del lavoro, con la ricerca di una casa, le questioni stupide con i fidanzati che all’epoca sembravano drammi di portata nazionale; le tue di padre apprensivo con una figlia poco più piccola di me che si affacciava all’età adulta, di uomo pratico alle prese con una casa tutta da costruire e di sognatore che si immedesimava in un film o si innamorava di un documentario.
Con quel caffè della mattina abbiamo imparato a conoscerci, a costruire un’amicizia speciale.
Da allora ho cambiato colleghi e posti di lavoro, ma quell’appuntamento non l’ho mai più avuto con nessuno. Rimarrà il mio ricordo, banale, di una persona speciale. Ciao Franco. Carlotta Marelli
Sapevo che alla fine ci avresti fatto lo scherzone. Tu non sei uno da andartene come gli altri, ma da divo. Chapeau. Così ora mi tocca scrivere con distacco e serietà, ma come faccio? Insieme scherzavamo su qualsiasi cosa, e se ti penso qui davanti mi vien da ridere, mi prenderesti in giro. Mi diresti “Mariannina, ma la smetti di scrivere minchiate?”. Perfino al tuo funerale ti sentivo vicino a fare battute sul sermone e a pavoneggiarti sul tuo loculo: devo ammettere che ti sei preso un bel posto, l’angolo in basso a destra di una griglia perfetta, da bravo grafico. Negli ultimi quattro anni con te ho passato più tempo che con qualsiasi fidanzato, amico, parente, genitore. E non ore da colleghi, ma da amici, veri amici, dentro e fuori le mura dell’ufficio. La regola era semplice e ci piaceva: parliamo di tutto tranne che di lavoro. Io di calcio, tu di basket. Tu di regolamenti internazionali per arbitrare, io di progetti impossibili in Messico. Ci ascoltavamo. Ci psicanalizzavamo. Ci consolavamo. Ci dicevamo la verità, facendoci male ma bene. Mi hai supportato con il canto, e io con il sax. Ti ho insegnato a mangiare le barbabietole e tu mi hai insegnato a sbucciare la frutta con coltello e forchetta. Avevi sempre un’ossessione nuova: la sega circolare, la giacca Armani, il programma di doppiaggio del film coreano, il “metodo Miragliotta” per solfeggiare. Quante battute, quante battutacce! Non ci risparmiavamo. Sei stato migliore amico e migliore amica. A presto, e non ti dimenticare di noi, di me, che quando meno te lo aspetti sarò lì a scroccarti una sigaretta. Marianna Guernieri
Estratto da una guida al solfeggio ideata da Franco: il "metodo Miragliotta", 2020.
C'era sempre spazio per un vassoio in più al tuo tavolo a pranzo, dove ho imparato ad apprezzare il tuo tagliente senso dell'umorismo e l'amore per il sassofono, grazie alle traduzioni dei colleghi pazienti. Eri ironico – ricordo le parole non proprio di incoraggiamento su un risotto decisamente inautentico che avevo preparato – e irriverente, a giudicare dalle battute che a volte non mi venivano tradotte.
Il tuo umorismo si estendeva al tuo impegno ad ampliare il mio vocabolario italiano oltre i confini della rudimentale terminologia architettonica, per includere la corretta pronuncia di parole importanti come “ornitorinco” e la “chiavetta” con cui ci offrivi regolarmente il caffè.
Questi aneddoti si riferiscono a piccoli ma apprezzatissimi gesti, piccoli germogli in confronto alle profonde radici di amicizia che hai coltivato in Domus. Quindi so quanto sarà acuta si sentirà la tua assenza nella redazione della rivista, e sulle sue pagine.
Abracci,
Jessica x
Jessica Mairs
Le nostre giornate in Domus erano un incontro continuo, tra caffé offerti, suggerimenti musicali e un affetto incondizionato.
E ora siamo qui a ripensare al tuo fischietto per imprimerlo nei nostri ricordi. Grazie. I ragazzi dell'archivio, Elena Claudia Oscar
Annalisa Rosso
Immagine di apertura: Franco Miragliotta (al centro) al lavoro in redazione, tra Italo Rota (a sinistra) e Alessandro Mendini.