L’Iran oggi

Il ruolo della donna nella società iraniana, lo scontro fra modernità e tradizione, i fantasmi dei conflitti passati in mostra nella personale di Shadi Ghadirian alle Officine dell’Immagine.

Shadi Ghadirian, <i>Nil,Nil #9</i>, 2008. Courtesy dell’artista e Officine dell’Immagine, Milano
Officine dell’Immagine di Milano ospita la più ampia personale mai realizzata in Italia di Shadi Ghadirian (Teheran, 1974).
Curata da Silvia Cirelli, la mostra rappresenta un’inedita occasione per esplorare il percorso artistico di questa celebre interprete, dai primi lavori di fine anni ’90 ai suoi ultimissimi progetti.
Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
In apertura: Shadi Ghadirian, Nil,Nil #9, 2008. Courtesy dell’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Sopra: Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla

L’Iran dei contrasti e dei paradossi è il fil rouge che lega gran parte della produzione di Shadi Ghadirian, fin dalle sue prime serie. Qajar del 1998, curiosamente nata come tesi di laurea di Ghadirian per l’Azad University di Teheran, ne è un chiaro esempio.

Prodotta grazie al recupero del vastissimo archivio fotografico della dinastia Qajar, regnante in Iran per più di 150 anni (1794–1925), questa serie si sviluppa sulla congenita dicotomia iraniana fra passato e presente, fra tradizione e modernità. L’artista ricostruisce le tipiche ambientazioni dell’epoca Qajar, riprendendo gli abiti e le posture dei ritratti femminili di quel periodo e aggiungendovi però evidenti simboli della modernità, oggetti ancora oggi considerati “proibiti” per le donne iraniane. Occhiali da sole all’ultima moda, cosmetici femminili, borsette troppo appariscenti o lettori cd d’avanguardia tecnologica si “infiltrano” nello scenario domestico, creando una netta collisione fra due mondi che sembrano agli antipodi, ma che in realtà convivono quotidianamente nella complessa struttura sociale di questo paese.

Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
Realizzata durante il periodo universitario, la sua Qajar creò non poco scalpore il giorno della discussione della tesi. In un clima di tensione e di forti censure, come quello successivo alla Rivoluzione Iraniana del 1979, non era infatti comune trovare giovani donne che esplorassero con tanta audacia le incoerenze del proprio paese. Fu grazie al fondamentale supporto del professor Bahman Jallali e di sua moglie Rani Javadi – fondatori poi dell’Iran Photography Museum di Teheran – che questa serie segnò simbolicamente un traguardo importante, anche per tutte le donne iraniane, perché con Qajar, Shadi Ghadirian fu una delle prime a ottenere la laurea in Fotografia.

Così come il dualismo dell’Iran contemporaneo, anche la questione femminile, già anticipata in Qajar, è un elemento dialettico costante nel percorso dell’artista. Shadi Ghadirian è una delle voci mediorientali che più si concentra sull’universo femminile, testimoniando le contraddizioni sociali della donna iraniana moderna, costretta a gestire i continui contrasti fra vita pubblica e privata, divisa fra gli obblighi morali-religiosi da una parte, e il desiderio di una maggiore emancipazione dall’altra. Le celebri fotografie della serie Like Everyday (2000–2002) indagano proprio questa complessa dissociazione socio-culturale.

Ispirata a un’esperienza personale, il matrimonio dell’artista con lo scrittore e fotografo Peyman Hooshmandzadeh, questa serie recupera una tradizionale usanza iraniana, legata alla consuetudine di regalare alla donna appena sposata, una serie di oggetti domestici. Il riferimento simbolico di questa tradizione vuole la novella sposa consapevole del ruolo che, da lì a poco, dovrà rispettare e onorare: detentrice di doveri domestici e poco altro.

Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla

Con gli scatti di Like Everyday, Shadi Ghadirian affida ad anonime donne coperte da chador floreali la propria voce. I volti sono però completamente “censurati” e sostituiti da moderni utensili da cucina. Un coltello, una teiera, un ferro da stiro, una pentola o un guanto per lavare i piatti… Sono questi gli unici protagonisti della scena, esageratamente troppo miseri, per custodire le sfumature del multiforme universo femminile.

Provocatoriamente la fotografa muove una critica al proprio paese: il tempo passa, l’economia avanza, la modernità entra nelle case, ma la vita della donna iraniana rimane ancora troppo legata a rigidità anacroniste. Come afferma la stessa Ghadirian: “Si vuole guardare al futuro, beneficiare dei frutti della tecnologia, ma come si può essere una potenza moderna se socialmente non lo si è? Le iraniane si sentono moderne, ma sono costrette a travestirsi da donne del Medioevo”.

Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla

La trasposizione della vita in arte ritorna poi nella serie Nil, Nil del 2008, dove è la difficile esperienza della guerra a segnare questa volta la poetica dell’artista. Shadi Ghadirian sceglie di condividere le testimonianze di un presente in cui le tracce di sanguinosi conflitti passati, come ad esempio la guerra Iran-Iraq che scosse il paese dal 1980 al 1988, sono ormai diventate parte integrante della quotidianità, e come sfregi emotivi mai superati, continuano ad accompagnare la memoria degli iraniani.

Rinnegando qualsiasi propensione alla drammaticità o alla facile autocommiserazione, a favore invece di un amaro ma delicatissimo sarcasmo, con Nil, Nil l’artista racconta la sua verità sulla guerra, una guerra nascosta fra comuni oggetti domestici, celata fra le lenzuola di un letto appena fatto, fra le bevande di un frigorifero pieno, o mescolata agli innocenti giocattoli di un bambino. Come fantasmi impossibili da scacciare, sembrano reliquie che hanno tristemente trovato il proprio posto e che si sono indelebilmente annidate nell’intimità delle mura domestiche.

Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla
Shadi Ghadirian, “The Others Me”, vista dell’allestimento alle Officine dell’Immagine. Courtesy l’artista e Officine dell’Immagine, Milano. Photo © Filippo Balla

Con il recente progetto Miss Butterfly del 2011, Shadi Ghadirian si avvicina ancora una volta al tema della condizione femminile, attraversando però concetti come la libertà, l’equilibrio fra isolamento e forza, o la percezione di prigionia emotiva.

Dall’impronta lessicale velatamente dolente ed evocativa, gli scatti in bianco e nero di questa serie tradiscono una percezione di labirintica tensione, sospesa fra l’incertezza di un pericolo e la scoperta invece di una tormentata verità. Protagoniste sono giovani donne intente a tessere ragnatele nella penombra di solitari luoghi domestici, austeramente privi di qualsiasi altro conforto umano. Tutto intorno tace e si consuma nell’isolamento di uno spazio atemporale.

La serie s’ispira a un’antica favola iraniana, Miss Butterfly per l’appunto, che racconta di una farfalla che desiderosa di incontrare il sole cade purtroppo prigioniera nella tela di un ragno. Nonostante si tratti di una storia inventata, la fiaba richiama alcune difficili dinamiche sociali di cui il genere umano sembra non riuscire ancora a liberarsi, soprattutto nella realtà iraniana. È dalla consapevolezza della vulnerabilità umana e dallo sconforto di una prigionia emotiva ancora da superare, che Shadi Ghadirian costruisce la “sua” Miss Butterfly. “Qualcosa è già migliorato”, spesso dichiara l’artista, “ma c’è ancora bisogno di grandi cambiamenti”. La speranza è che, così come ha fatto la farfalla, ci siano sempre più persone che con coraggio e forza scelgano di “aprire le ali e provare a raggiungere il sole”.


fino al 21 giugno 2015
Shadi Ghadirian
The Others Me
a cura di Silvia Cirelli
Officine dell’Immagine
via Atto Vannucci 13, Milano

Ultime News

Altri articoli di Domus

China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram