Pochi giorni fa ho ricevuto una lettera da Naoto Fukasawa che ci avvertiva che quest'anno non parteciperà al Salone. Il suo studio, la sua famiglia e gli amici stanno bene, ma lui non intende lasciare Tokyo: "Non c'è molto che io possa fare come singolo per il mio Paese, ma il minimo che posso offrire è la mia presenza qui, vicino ai miei familiari, ai ragazzi, alle scuole, al lavoro e soprattutto vicino alla mia città. Stare qui e prepararci per quello che ancora ci è sconosciuto ma potrebbe accadere".
Tra le tante reazioni al dramma che lo scorso 11 marzo ha colpito il Giappone, tra le movimentazioni, le comunicazioni, le azioni che stanno seguendo vicine e lontane, quella di Naoto è una risposta silenziosa, immobile, assoluta. Anzi, è una non risposta, come corrispondenza esatta e anticipata con una non domanda. Quella di Fukasawa è l'assenza da citare in mezzo a tutti gli ospiti e gli avvenimenti che animeranno quest'altro rutilante Salone; la consapevolezza di una presenza altrove, preparata "a quello che potrebbe accadere".
