Auditorium Ravello. Architettura simbolica e sindrome dello scaldabagno

Ingressi sbarrati e porte chiuse dopo la festa e qualche occasione persa all’attivo: diario di bordo di una neonata opera architettonico musicale.

Comincia a prendere confidenza con i vicini di casa il siluro alieno atterrato a Ravello e offerto al pubblico con i festeggiamenti tenuti in gennaio 2010. Adesso per i ravellesi c’è un ospite in più nel paesaggio costiero: ‘ò scaldabagno. Così lo chiamano affettuosamente da quando è stato tirato giù il velo inaugurale. L’indolenza soleggiata e sempre tollerante di chi abita questa terra ha immediatamente perdonato l’ennesimo (anche se questa volta illustre) abuso urbanistico-edilizio. È il rischio che si corre quando si pecca di eccessiva generosità e si offre il proprio territorio all’uso indiscriminato con “rilassata distrazione mediterranea”.

La piazza-piastra, terrazza metafisica alla De Chirico proiettata nell’infinito, indica a chi non se ne fosse ancora accorto, la presenza di uno dei panorami più sconvolgenti al mondo. È impietosa la piazza ed avra’ precisi orari di ricevimento: preferibilmente di sera o in giornate fresche e senza sole (cosa abbastanza rara qui nel nordafrica). Precisi orari di ricevimento, altrimenti la piazza punisce. Se mai venisse in mente di visitarla in un mattino qualsiasi, di quelli belli, che scoppiano di luce, non offrirà dove sedersi, la piazza (se non nel bar “serra”); né dove recuperare fiato all’ombra di qualsivoglia “essenza mediterranea” pur così diffuse da queste parti. Non c’è infatti fronda alcuna, se non reperibile negli orti confinanti, a ricordare che qui crescono i limoni, che si costruiscono pergolati fantastici con i vitigni del Fenile, della Ginestra, del Ripolo, della Pepella o del Tintore. Come esportare nel mondo nomi così “locali”, nomi noti “solo” ai grandi viaggiatori da Ibsen a Gregorovius? Meglio “piazza pulita”, meglio omettere. Meglio la pura metafisica, il razionalismo puro, il minimalismo assoluto, tendenze che non hanno certo nomi di vitigni, né faranno ombra alcuna, ma fanno così tanto “Architettura”. Sara' che i metafisici non si scottano al sole. E poi bastera’ tirar su due o tre ombrelloni bianco-pasticceria e il gioco e’ fatto!

Grande piazza + auditorium è il binomio. Sì, perché il volume costruito è interamente/letteralmente occupato dalla sala stessa dell’auditorium. Non una hall, non un foyer, non un filtro dentro/fuori. Ma solo un “fuori”. Il bar, piccolo (tanto al piu’ saranno in 400) a forma di triangolo acuto, arredato con circa 40 posti-mensa (uno su dieci, se vince la sedia, potra' sedersi), fa tutt’uno con l’ingresso: prendi un drink ed esci/entri verso l’auditorium, attraversando la piazza, appunto.

L’architettura è simbolo. Per suo compito e sua condanna è destinata a comunicare altro dalla sua pura fisicità, altrimenti sarebbe “edilizia” e non ce ne interesseremmo così tanto. COSA l’Architettura comunica e COME lo fa è quello sì, territorio tutto da esplorare, dal progetto alle ricadute dell’opera realizzata, sulla vita di tutti i giorni. Consegnata a chi la vive, l’architettura simbolo si attribuisce significati spontanei, semplici, di una bellezza -infantile- disarmante. Consegnata a critici ed esperti prende mille facce e mistificazioni dotte, affascina per questo.

È ben calzante a questo proposito l’esempio opportunamente suggerito in merito, dal prof. De Masi [1] sulla “ricerca architettonica” di Foster & Partners a Londra, per la torre che come tutti, anche il prof. chiama in gergo “gherkin” (cetriolo) -mentre il suo vero nome è 30 St. Mary Axe- o anche -aggiungerei- l’esempio della torre Agbar di Jean Nouvel a Barcellona.
Due opere –simili- che consegnate alla gente son diventate siluri, suppostoni, cetrioli, edifici "eretti" per nuove tipologie di improbabili falli urbani (il The Guardian ribattezzò il gherkin “cetriolo erotico”). Opere che consegnate a critici ed esperti son diventate simbolo ed esercizio di perizia ingegneristico/costruttiva, connubio tecnologico tra architettura verticale e potere (sete di), marchi di città (?) per reclame turistiche di massa.

È ben evidente che la buona architettura non può attribuirsi (esclusivamente) simili caratteristiche. È bene evidente (dovrebbe esserlo) che una buona architettura dovrebbe porsi prima di tutto le ragioni legali e sociali della sua attuazione. È ben evidente che nulla giustifica che gesti e protagonismi di pochi si traducano in occupazione impropria di spazio, suolo e aperture panoramiche proprietà di tutti, sottraendoli al territorio per sempre. È ben evidente che nulla giustifica gesti e protagonismi impropri di pochi, salvo accettare poi che quel gesto protagonista diventi un rotolante rotolo di carta igienica o eventualmente ‘ò scaldabagno della costiera amalfitana, quando servirà, per l’inverno.

Della prossima edizione del Ravello Festival 2010 -2 luglio/19 settembre- per il momento si conosce il tema: LA FOLLIA.

[1] Il prezioso contributo “tecnico-intellettuale” del prof De Masi al dibattito sull’illustrazione del panorama architettonico europeo e' riscontrabile su www.positanonews.it "Lettera in risposta alla De Vivo" di cui suggerisco in particolare la lettura tra il saggio e l'esilarante, dei relativi commenti.

L'immagine di copertina si chiama "Paesaggio con OGM" ed e' di Paolo Ferraiolo

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