Il trascorso e l'incombente. Quello che è stato. E poi, quel che sarà. Tra questi due tempi del divenire, lasciati al loro destino, si trovano i luoghi dell'abbandono.
Luoghi che vivono sulle frange del tempo. Case, fabbriche, ospedali, alberghi, luoghi di svago e di fatica, non più abitati, a un tratto abbandonati, lasciano dietro di sé tracce di una vita trascorsa. In questi spazi il tempo è quasi del tutto sospeso – o forse ha cominciato a dipanarsi seguendo un altro ritmo: non più quello serrato della nostra quotidianità, ma semmai uno più vicino a quello delle piante e delle pietre. Qui, le cose e gli spazi vivono di effimeri movimenti e improvvise catastrofi: un tetto che crolla, il vento che soffia tra le fronde, tra i tendaggi; o, ancora, i granelli di polvere, rumori di presunti animali, il passaggio dei vandali, un lento e ossessivo risuonare di gocce… Sopra ogni cosa, la luce che trascorre, declinando i tempi del giorno e degli anni, rivestendo, come polvere, spazi e oggetti di altra, più essenziale, dignità.
I luoghi dell'abbandono sono ciò che la nostra società omologante non riesce più ad incorporare e quindi espelle. Potremmo paragonarli ad isole nel mezzo di un oceano in tempesta. Un oceano infuriato – che è la nostra epoca, sempre proiettata in avanti – in cui tutto si agita e corre senza nemmeno più veramente sapere verso cosa; un'epoca dove il rumore di fondo è un frastuono di cui non ci si rende più conto e che non ci lascia neppure spazio per pensare; dove l'esistere è sempre più strettamente regolato dall'efficienza e dalla ragione economica. E quanto non appartiene a tali principi, viene escluso, diventa marginale, scarto, fuori gioco. Un'epoca, infine, dove l'illusorio tende a sopraffare la realtà. La quiete delle cose, al contrario, induce al soffermarsi e al meditare; il loro lento, inesorabile alterarsi e decadere rispecchia intimamente il ciclo della vita. Può essere angoscia, tragedia, ma anche gioia. Ed è comunque ciò che è. Nei luoghi dell'abbandono è tale condizione del presente a sussistere, un presente ridotto alla sua essenzialità, denudato dagli orpelli estetico-tecnologici, in cui l'autenticità non si avvale di alcuno stratagemma per apparire nel suo splendore.
Perché realizzare dei reportages in questi luoghi? Vi sono varie ragioni. Qui di seguito, molto succintamente, ne propongo tre.
Innanzitutto, in quanto si afferma il bisogno d'incidere, in questo nostro tempo distratto, la memoria di qualcosa che tra non molto sarà del tutto scomparso. E ciò non per romanticismo, a celebrazione o a rimpianto di un tempo ormai concluso, ma proprio perché, invece, anche se ormai discosti e celati, questi luoghi sono ancora in vivo e significativo rapporto col presente, parte integrante e chiave di lettura della nostra contemporaneità. E per tale motivo vanno preservati da un inopportuno e sbrigativo oblio. La fotografia, tra i mezzi di registrazione, è uno dei più idonei nell'elaborare memoria, anzi, si può affermare che questa responsabilità è costitutiva di un'etica stessa della pratica fotografica.
I luoghi dell'abbandono, inoltre, si contrappongono a quel vezzo, ormai consolidato, di plastificare la realtà, di sedarla, normalizzarla e proporne un'immagine appiattita, fittizia, omogenea. Questi luoghi caotici, fuori dall'ordine, assurgono a viva metafora della possibilità di altri mondi e altre visioni, divengono testimonianza di realtà difformi da quelle che sono a noi normalmente proposte.
Infine, un ultimo motivo sta nella forza d'attrazione esercitata dall'aura di mistero che avviluppa questi spazi e che, analogamente, ritroviamo in molta fotografia. I luoghi dell'abbandono, per quell'impressione di tempo sospeso che li qualifica, sono già di per sé in qualche modo fotografia, istantanee di qualcosa che è stato. Cosicché, realizzando delle esplorazioni fotografiche in questi luoghi, è come se si andasse anche ad esplorare la natura stessa della fotografia, a verificarne certi meccanismi di funzionamento. Per quest'ultima ragione, dunque, i reportage non hanno un intento descrittivo- documentaristico, ma portano semmai l'attenzione verso la sfuggente natura dell'immagine fotografica, il suo modo di trattare il tempo, la sua capacità di registrare la realtà in maniera dinamica e complessa, affermandone insieme, di questo mezzo, l'abilità evocativa, la potenza immaginifica e narrativa in tutto simile a quella che sprigiona dagli stessi posti fotografati.
