Pioneer II, l'ultimo atto di arte pubblica a Piazza del Plebiscito, Napoli?

Napoli, straordinaria capitale delle contraddizioni e delle pratiche cencelliane distorte e miopi, alterna - almeno nell'arte contemporanea - ricchezze e farraginose moltiplicazioni di sedi a concupiscenti passi falsi.

L'ultimo in ordine di tempo - invariati protagonisti, modalità e soprattutto scarsità di benefici per il pubblico "generalista" - avviene a Piazza Plebiscito, grande emiciclo reso pedonale dalla prima giunta di Bassolino (sindaco) e antistante i gioielli siti nel centro città, a livello mare. Palazzo Reale, San Carlo, Gambrinus e vecchi borghi come il sovrastante Pallonetto, il sottostante Santa Lucia.

A Piazza Plebiscito, da 15 anni, tra dicembre e gennaio, viene invitato un grande artista internazionale a installare un'opera nello spazio pubblico. A insindacabile giudizio del direttore del Museo Madre, Edoardo Cicelyn e del suo capo curatore Mario Codognato. Nel dicembre 2009 tocca a Carsten Nicolai. Pioneer II, questo il titolo del lavoro, firmato in collaborazione con le sue due gallerie tedesche, viene dopo una lunga serie di autorevoli precedenti - da Kapoor a Serra, a Kosuth, a Jenny Holzer, a Rebecca Horn, passando per il nostrano Paladino e un manipolo di pochi altri sicuri e storicizzati, dal forte olezzo Unileveriano.
Non è né sicuro, e neanche, meno male, storicizzato e Unileveriano il criterio di professionalità, rigore e verifica di Edoardo Cicelyn e Mario Codognato (il primo è un ex collaboratore de Il Mattino, ghost-writer di Bassolino, il secondo è il figlio di un noto collezionista, fino a poco tempo fa uso a firmare le installazioni in piazza con l'ex moglie Mirta D'Argenzio).
Chiamato a ottobre 2009 (a quanto è dato sapere, pare per rimpiazzare Anselm Kiefer che aveva rifiutato), Carsten Nicolai, noto artista e peformer tedesco che mischia ugualmente suono, software e scienza nei suoi lavori altamente fenomenici, propone di installare a Piazza del Plebiscito tre mongolfiere, avviluppate da un suono che origina - dopo campionature ed opportuni accorgimenti in tempo reale - dai movimenti tellurici del Vesuvio. L'opera era visibile solo dalle 17 alle 24, con il buio. Forse perché la piazza, tutto l'anno, tutti i giorni, è sempre buia, triste e vuota - il suo colonnato trasformato in urinatoio pubblico. E la sensibilità di Nicolai ha voluto, con poco, provare a fornire semplici elementi di socialità serale a quello spazio deturpato e assente da ogni cuore.

Io ho visitato l'opera e ho più volte incontrato l'artista, che ho intervistato per una rivista italiana. Un pomeriggio, ho visitato Palazzo Reale e quindi ho provato molto piacere a passeggiare con la musica no-ton dell'opera che veniva dalla piazza e vestiva le stanze scrostate (molti quadri erano stati portati in altre sedi per una mostra sul Barocco firmata da Spinosa e la loro assenza rivelava una moquette strappata e sporca: indegno).

Prevista per il 20 dicembre, Pioneer II viene cancellata causa maltempo e riproposta il 23. Purtroppo, non arriverà al 10 gennaio scorso, giorno della sua chiusura in quanto - in una ridda di voci che si susseguivano - pare che le mongolfiere siano state danneggiate (dal maltempo, secondo la Protezione Civile e la dirimpettaia Prefettura; da scugnizzi, come recita Cicelyn, additando relazioni mai mostrate in pubblico). Resta il fatto che ora indaga la Guardia di Finanza e domani chissà: di sicuro il dibattito tiene banco nei principali quotidiani locali da settimane con lettere infuocate ed articoli polemici.

Per la prima volta in 15 anni, ci sono due fatti spiazzanti nel riproporsi sempre uguale del "modello Cicelyn", che ha inventato e gestito senza alcuna commissione di verifica questo programma di esibizioni in spazi pubblici, con incarico diretto e budget faraonici.
Il primo fatto spiazzante è l'invito di un artista come Nicolai, con una storia e una caratura in controtendenza rispetto agli altri artisti invitati. Nicolai è l'unico a volere e potere lavorare sul genius loci, mentre tutti gli altri si sono limitati a piazzare una delle loro sculture in uno spazio pubblico, senza alcuna cautela verso linguaggi e ricezione degli stessi. Il secondo fatto spiazzante: dopo 15 anni di arte in Piazza Plebiscito è la prima volta che qualcuno fa la voce grossa con Cicelyn. Chiedendo conto di come spenda i soldi pubblici (invero, in questo caso, dell'U.E.).
Finisce un'epoca? Pare di sì. E cosa lascia il metodo Cicelylin/Codognato, in una città che annovera più spazi pubblici dediti alle arti visive del periodo contemporaneo di Milano e Roma messe insieme, ai taxpayers e alle finanze cittadine? E' rimasto celebre un gesto: un sacchetto dell'immondizia messo da un visitatore sull'opera di Michelangelo Pistoletto, una grande mappa, in Piazza qualche Natale fa: sul punto dove è Napoli.

I taxpayers. Molti napoletani detestano l'arte contemporanea perché la vedono emblema del potere (in una regione dove nulla o quasi funziona) e perché nessuno gliela spiega. Gli stranieri, i turisti italiani (e quei napoletani che la amano) spesso "vagano" in piazza, si affannano a cercare un banner che dica loro cosa vedono (ce ne sono due, piccoli per la scala del luogo e, nel caso dell'opera di Nicolai i curatori non hanno pensato ad illuminarli, dato che la fruizione dell'opera era notturna!).
Mentre in altri spazi pubblici l'arte contemporanea è negoziata con la comunità (e costa anche meno!), a Napoli non ha chances di originare scambi di opinioni, dibattiti sani e "socialità", sebbene ci racconti in presa diretta i tempi in cui viviamo con gli stessi linguaggi da essi prodotti e quindi orizzontali rispetto alle nostre capacità cognitive, ai nostri gusti ed al nostro immaginario.

Finanza allegra. A Cicelyn non interessa fare cassa sul libero mercato, ma utilizzare al 100% capitali pubblici ottenuti dalle tasse dei concittadini e dai fondi U.E..
"Paga Pantalone", il detto di una famosa maschera, è applicato anche per la conduzione di un museo di oltre 7000 metri quadri come il MADRE. Ormai tutti provano a diversificare le fonti di entrata, perché hanno concorrenza e perché ci sono esplicite regole di cofinanziamento: dalla Tate, alla pro-loco della Val Brembana, alla piccola casa-museo toscana sperduta chissà dove.

A proposito di Piani Operativi e finanziamenti europei, questi ultimi vengono dati se si certifica che ci sia un pubblico passivo ed attivo di una certa consistenza e si elargiscono in presenza di un feedback tangibile (misurabile) di risultati prodotti rispetto a quelli attesi per la comunità che beneficia di quel progetto artistico e culturale.

Nel caso di Piazza Plebiscito (e di qualsiasi spazio pubblico centrale a Napoli) i numeri sono interessanti. Virtualmente 1.080.000 persone (gli abitanti censiti di Napoli) più tutti i turisti registrati nel periodo di mostra, più gli abitanti dell'area metropolitana, più i numerosi illegals.
Si potrebbe parlare di oltre quattro milioni di persone. Ci rendiamo conto di quanto siano, soprattutto se moltiplicati per 15 anni, durata del programma espositivo? Nonostante budget faraonici, invece, in Piazza questa ipotetica forbice mastodontica di pubblico (invero sparuti coraggiosi) si muove senza luce, guarda sculture che "sono" solo per chi già lo sa e, se non ne ha già abbastanza, si avventura a leggere recensioni sui giornali, che spesso disinformano per il taglio che hanno: cronaca e non altro.

Dove sono le strategie di promozione e disseminazione?

Che attività di preparazione per le scuole? Esistono uffici preposti alla soddisfazione o reclamo del visitatore? Che economia di scala portano nella comunità queste strutture ed eventi rispetto ai prezzi (si spera di mercato) con cui retribuiscono fornitori e maestranze?

Si fanno solo costosi passi falsi, posh come certi calciatori: Piazza Plebiscito langue ancora di mestiere nell'arte, a quindici anni di esperimenti.

foto:
Carsten Nicolai, 2008, courtesy sebastian mayer, AEIOU http://www.sebastianmayer.com

Sotto: rota, 2009, Carsten Nicolai e-artwork for Iphone&IPOD

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