C’è qualcosa di inevitabile nello sguardo retrospettivo che accompagna ogni anniversario importante. Nel caso di Design Miami - che quest’anno celebra vent’anni e torna ancora una volta a Convention Center Drive di Miami Beach, dal 3 al 7 dicembre 2025 - quello sguardo diventa una lettura puntuale di come muta un settore quando cambia la cultura che lo sostiene. Il percorso che ha trasformato la fiera da roccaforte dell’interior a osservatorio privilegiato sulla creatività contemporanea è infatti netto, leggibile, quasi paradigmatico nella sua capacità di raccontare la mutazione del design. Quando nacque nel 2005, fondata da Craig Robins e Ambra Medda in dialogo con la crescita di Art Basel Miami Beach e con la nascita, e poi l’esplosione, del Design District, la fiera ospitava una manciata di gallerie specializzate, dall’offerta altissima - di quegli anni ricordo i progetti di giganti come Tokujin Yoshioka, immerso nella sua stanza candida, o la collezione di arredi ibridi dei fratelli Humberto e Fernando Campana.
Design Miami compie 20 anni: così la fiera ha cambiato il mondo del design
Dalla nascita nel 2005 all’impronta globale di oggi, il Ceo Jen Roberts racconta come Design Miami è diventata la piattaforma centrale del collectible design: nuove scene, nuovi collezionisti e un’edizione 2025 che guarda al futuro.
Courtesy l'artista e Design Miami 2025
Courtesy l'artista e David Klein Gallery
Courtesy Design Miami
Courtesy Design Miami
Courtesy Design Miami
Courtesy Fendi
Courtesy Design Miami
Courtesy Charles Burnand Gallery
Courtesy Design Miami
Courtesy Superhouse
Courtesy Mehdi Dakhli
Courtesy Design Miami
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- Maria Cristina Didero
- 01 dicembre 2025
Oggi il quadro è tutt’altro - geografie espanse, un’immersione frontale nel design contemporaneo e una crescente permeabilità tra discipline, dalle arti visive alla moda, dalla musica all’oggetto. Jen Roberts, Ceo di Design Miami, lo dice con chiarezza: “La fiera è completamente cambiata dalla sua nascita. Siamo passati da due sedi a un’impronta globale e l’interesse per il design da collezione è cresciuto a livello esponenziale. All’inizio parlavamo ancora di arti decorative; oggi la fiera è una piattaforma per una grande quantità di contemporaneo, proveniente da ogni parte del mondo”. La trasformazione non è solo numerica. Design Miami ha intercettato - e in parte anche generato - un cambiamento culturale: il design come linguaggio autonomo, non più satellite dell’arte né mera applicazione funzionale. Il design oggi può essere narrativo, politico, geologico, spirituale.
La fiera è completamente cambiata dalla sua nascita. Siamo passati da due sedi a un’impronta globale e l’interesse per il design da collezione è cresciuto a livello esponenziale.
Jen Roberts, Ceo di Design Miami
Roberts dirige Design Miami (un tempo scritto con lo slash) da dieci anni, la metà esatta degli anni della sua esistenza, un arco temporale in cui il pubblico è radicalmente cambiato e cresciuto sotto gli occhi di tutti. E il settore con lui. “Abbiamo sperimentato molto, ci siamo espansi in nuovi territori. Abbiamo visto emergere un nuovo tipo di collezionista e un designer multidisciplinare - da Samuel Ross ad ASAP Rocky, figure fluide che si muovono tra moda, musica, oggetto”, aggiunge. “Ho visto creativi quasi sconosciuti diventare riconosciuti a livello internazionale grazie a Design Miami. Credo ci sia oggi una crescita globale di consapevolezza del valore del design”. Un cambiamento che ha fatto bene al mercato, ma prima ancora alla cultura del progetto considerando il collectible design una piattaforma libera per l’espressione e la sperimentazione.
foto: James Harris
Image courtesy Meritalia
Image credit Joe Kramm
Image courtesy Victoria Yakusha
Image cortesy Lasvit
Image courtesy Hayden Phipps I Southern Guild
Image credit Kevin Todora; Courtesy of the Nasher Sculpture Center
Image courtesy of Galerie Patrick Seguin
Image courtesy David Gill Gallery
Nel tempo, la direzione curatoriale ha cambiato voce più volte. Dopo Ambra Medda, la fiera è stata affidata alle mani salde di Marianne Goebl (2011–2014) e successivamente a Rodman Primack (2014–2018). Dal 2018 è stata adottata una nuova politica - un curatore diverso ogni anno - ed è così arrivata la sequenza: Aric Chen (2018), Wava Carpenter (2021), e, mi sia concesso l’inciso autobiografico, la direzione di chi scrive nel 2022, seguita da Anna Carnick (2023). Per l’edizione di Los Angeles la curatela è stata affidata ad Ashlee Harrison, mentre l’edizione coreana ha visto la guida di Hyeyoung Cho. Dal 2024, infine, è Glenn Adamson, che firma anche questo ventennale con Design Miami 2.0, progetto speciale che guarda al futuro più che al passato. Protagonisti Jack Craig che modella moquette industriali come materia cosmica; Tina Frey fonde bronzo e orbite planetarie; Victoria Yakusha scolpisce esseri mitici che custodiscono memoria. In parallelo, la storia come tensione attiva: Nakashima, Tenreiro, Zalszupin, Marie & Alexandre, Hostler Burrows, e i mobili americani anni ’80 di Superhouse come mappe, non reliquie. L’edizione 2025, dal titolo Make. Believe., si articola in cinque costellazioni tematiche: Material Possibility, Spirituality & Storytelling, Geology & Geography, Recrafted Traditions.
Accanto alla sezione principale che quest’anno conta oltre 70 espositori, la fiera mantiene inoltre il suo programma Curio, dedicato a progetti sperimentali e installazioni immersive, e un calendario solido di Talks che da anni costituisce uno dei motori della rassegna - momenti di incontro e di dibattito più che semplice programmazione collaterale. La VIP Lounge, inondata dallo champagne Perrier-Jouët, partner sodale di lungo corso, è sempre interpretata da un profilo rilevante del panorama internazionale del design. Jen Roberts definisce con chiarezza la direzione dei prossimi anni: non solo continuare a presentare il design come disciplina viva, ma approfondire il ruolo educativo della fiera - un luogo dove si impara a leggere le forme, i processi, le storie dei materiali. “Spero davvero che sia possibile contribuire all’educare al design e all’architettura, portando sempre nuove voci sulla scena globale e creando connessioni tra autori e collezionisti. L’obiettivo, in fondo, è contribuire a un mondo migliore”, dice, indicando una visione non celebrativa ma costruttiva, ossia la fiera come piattaforma di trasmissione, scambio, attraversamento.
Nel 2023 Design Miami è stata acquisita da Basic.Space, segnando un passaggio strategico verso un ecosistema più ampio. Nello stesso anno è stato inaugurato Design Miami/Paris, ospitato nell’Hôtel de Maisons - l’ex residenza di Karl Lagerfeld - con un formato più intimo, quasi sartoriale. Fino al 2023 la fiera ha mantenuto una presenza costante anche nella roccaforte svizzera di Basilea, accanto al colosso Art Basel, consolidando per un decennio il dialogo tra arte e design dall’America al cuore dell’Europa. Oggi si guarda all’Est con il primo esperimento nel mercato asiatico: Design Miami/Shanghai, a cura di Aric Chen e Violet Wang, poi seguito dalla fiera in Corea del Sud.
Design Miami ha intercettato - e in parte anche generato - un cambiamento culturale: il design oggi può essere narrativo, politico, geologico, spirituale.
In questo senso, l’idea di Miami come meta del design si sviluppa a 360°; dalla fiera madre alle sue diverse presenze internazionali, dal distretto urbano ai canali digitali e editoriali: sembra che a Miami il design non sia più solo oggetto da collezione ma territorio, comunità, voce. Infatti parallelamente, il Miami Design District, da cui tutto ha avuto origine (nato da una parnership tra Dacra, L Catterton Real Estate, LVMH e Groupe Arnaud) ha continuato a espandersi come infrastruttura culturale viva – eleganti showroom di brand esclusivi, alta ristorazione, architettura, installazioni pubbliche - trasformando l’esperienza della fiera stessa in una costellazione cittadina. A questo si affianca il Design District Magazine, piattaforma editoriale che racconta la Miami attraverso design, arte, food, moda e cultura visiva. Una narrazione che costruisce continuità tra esposizione, territorio, pubblico e privato, ambizioni imprenditoriali e sogni.
Vent’anni dopo, Design Miami non insegue il tempo, lo metabolizza. Preferisce l’approfondimento al trionfalismo. Questa ventesima edizione non celebra solo un anniversario, ma ciò che il design diventa quando smette di essere oggetto e diventa possibilità. Forse la sua eredità più grande è questa: aver trasformato il collezionismo non in un atto di possesso, ma in uno spazio immaginativo.