Riscoprire Alchimia, il collettivo che 50 anni fa ha cambiato per sempre il design italiano

Una retrospettiva all’ADI Design Museum riporta alla luce Alchimia, il collettivo post-radicale che dagli anni ’70 riscrisse le regole del progetto tra oggetti, performance e idee controcorrente.

Anche se raramente lo si ricorda, il 1976 in Italia è un anno di peso enorme. È l’anno in cui il Partito Comunista vola alle elezioni e si avvicina al governo con il compromesso storico, ma anche l’anno in cui iniziano a manifestarsi le prime conseguenze di quel compromesso: la crescita delle organizzazioni armate, l’escalation della violenza politica. È un momento in cui la razionalità kantiana – l’idea che ciò che è razionale sia reale – sembra giunta all’apice. Sembra.

Proprio questo clima di razionalità pesante genera tensioni, opposizioni, bisogno di critica. È qui che nasce la ricerca di un pensiero “debole”, alternativo alle narrazioni forti dell’epoca.

Non per niente è l’anno in cui Adriana e Alessandro Guerriero fondano Alchimia, realtà ibrida tra laboratorio e piccola impresa, un collettivo a tutti gli effetti, che per oltre 15 anni riunisce i nomi più significativi della scena italiana attorno alla libertà di creare, o meglio, di criticare il design attraverso la creazione.

Giancarlo Maiocchi, Studio Occhiomagico, Mussolini’s Bathroom, 1982. Foto: Colya Zucker / © VG Bild-Kunst

Oggetti, architetture, performance, moda, suono, video, teatro, prodotti editoriali: niente sarà risparmiato dall’indagine di Alchimia, nella ricerca di una nuova definizione di produzione all’indomani dell’antiproduttivismo del radical design. E calando in mezzo all’Adi Design Museum un “tappetozattera” che raccoglie oggetti e grafiche, Guerriero porta a Milano – fino a gennaio 2026 – la mostra “Alchimia. La rivoluzione del design italiano”, curata da François Burkhardt e Tobias Hoffmann, in arrivo dal Bröhan-Museum di Berlino.

“Gli obiettivi di Alchimia si potrebbero riassumere oggi nella formula di un impegno estetico sull’immaginario visivo”, ha detto Guerriero “La nostra morale è stata quella di chi crede che il lavoro estetico abbia un ruolo importante per la sopravvivenza degli uomini”. 

La nostra morale è stata quella di chi crede che il lavoro estetico abbia un ruolo importante per la sopravvivenza degli uomini.

Alessandro Guerriero

Piercarlo Bontempi, Bruno Gregori, Giorgio Gregori, Alessandro Guerriero, Alessandro Mendini, Città Alchimia, studio per una grande illustrazione di uno skyline di Alchimia, Biennale di Architettura di Venezia 1982. Archivio Alessandro Mendini

E così, esperimento dopo esperimento, vengono evocate storie e soprattutto persone che hanno segnato altrettanti cambi di passo, il design “neo-moderno”, come si vorrà definire, più che postmoderno. Ci sono molti episodi del Mobile Infinito, oggetto-performance iniziato nel 1981 – che “annulla per eccesso sia le tipologie che la firma stessa dei progettisti, entrando con i Magazzini criminali nella sperimentazione”, dice Guerriero; c’è l’Arredo Vestitivo per Fiorucci; ci sono pezzi di Sottsass che richiamano la sua partecipazione ad Alchimia e al contempo quello che poco dopo segnerà la loro separazione, con la nascita di Memphis, dichiaratamente e strutturalmente rivolta a industria e mercato; c’è la presenza di Cinzia Ruggeri che sfonderà i labili confini della moda, e ci sono le forme di Ollo che abbracciano grafiche, tessuti, superifici, gioielli.

Giorgio Gregori, Disegno per allestimento Collezione Ollo, Museo Alchimia, 1988. Collezione Alessandro Guerriero

Poi, i tanti progetti evocativi di Alessandro Mendini, e della presenza di Domus: in effetti questa ha due espressioni, quella curatoriale di Burkhardt, che Domus l’ha diretta negli anni ’90, e quella di Mendini, che negli anni della sua Domus coinvolge un nome legato a filo doppio con Alchimia, Occhiomagico, per una serie di copertine presto leggendaria. Occhiomagico è anche protagonista nel piccolo cubo-Wunderkammer dedicato alle opere grafiche, che conclude il lungo tappeto.

Hanno spazio anche altri due episodi di Alchimia “a forte tasso di Mendini” che spiegano il senso di una vicenda tanto articolata e corale. Uno è il “redesign” delle serie Bau.Haus, dove icone del design vengono reinterpretate, re-decorate o decorate per la prima volta, “una riflessione legata alla nuova era dell’elettronica e dei chip” come la spiega Burkhardt: “dissolta ormai in parte la dimensione materiale del prodotto, solo la decorazione e il simbolo sono in grado di rivelarne il contenuto di forma e funzione, anche se nessun oggetto si esaurisce nella funzione di cui è portatore”.

Alessandro Mendini, Redesign , Marcel Breuer Poltrona B3, 1978

E poi c’è un’architettura, il Museo di Groningen, che nasce in seno ad Alchimia, e poi verrà sviluppato negli anni successivi alla fine del laboratorio, da Mendini con Starck e Coop Himmelb(l)au: sul fare degli anni ’90, si era pensato anche ad un museo di Alchimia (un progetto separato), e lì Guerriero aveva visto il punto d’arrivo e conclusione dell’esperienza. S’era fatto, s’era fatta vedere a una generazione la possibilità di creare, a prescindere dalla tirannide del marketing. Nelle parole dei curatori, mostrare quella stessa possibilità in un periodo come quello attuale, dove la tirannide gode di ottima salute e condiziona tutto, è la ragione che ha dato a questa mostra senso e necessità.

Tutte le immagini: Courtesy Adi Design Museum

Mostra:
Alchimia – La rivoluzione del design italiano
Curata da:
François Burkhardt, Tobias Hoffmann, Alessandro Guerriero
Dove:
ADI Design Museum di Milano
Date:
dall’11 novembre 2025 al 22 gennaio 2026

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