Franco Raggi, il “grande irregolare” del design italiano, è in mostra alla Triennale

È impossibile classificare Raggi e la sua opera tesa tra Radical design italiano e domande contemporanee. Anche la sua prima mostra personale è ancora una volta uno strumento di esplorazione.

“L’inclassificabilità di un’opera non mi preoccupa quanto la sua insignificanza”: parola di Franco Raggi, con tutta la forza necessaria per tracciare un one-line-portrait dell’architetto, designer, maker, intellettuale del progetto che da sei decenni sta vivendo da protagonista la scena italiana ed internazionale. Ed è con questo suo costante sottrarsi alle categorie che si è dovuto cimentare il gruppo curatoriale di Marco Sammicheli e Francesca Pellicciai, per far nascere “Franco Raggi. Pensieri instabili”, la mostra monografica aperta dal 7 febbraio in Triennale.

La storia personale e professionale di Raggi accompagna, spesso coincide con stagioni leggendarie nella storia del progetto: l’immagine della sua Tenda Rossa è una di quelle che più definiscono il volto del Design Radicale italiano, e con lei progetti dove Raggi ha partecipato, come la didattica multidisciplinare dei Global Tools – con Branzi e Sottsass tra gli altri – e l’esperienza di Studio Alchimia – nemesi antindustriale di Memphis. Tutto all’insegna della più ortodossa irregolarità di pensiero e di azione. Anche rispetto ai radicali.

domus - Franco Raggi Triennale Milano
La Tenda rossa dell’architettura, tessuti dipinti e cuciti a mano, 1975. Courtesy FRAC Centre-Val de Loire Collection, Orléans

Ma è in Triennale, in una miriade di ruoli differenti, che Raggi è stato forse una delle persone più costantemente presenti: visitatore, curatore, progettista di allestimenti e animatore di dibattiti. “Mancava la mostra personale”, ha commentato lui. Ed eccolo prontamente sottoposto alla “dolce tortura” del grande sforzo sintetico, così difficile da operare su un’opera tanto difficile da classificare.

“Pensieri instabili” è il quarto episodio della Design Platform curata da Sammicheli, quello spazio che corona il percorso del Museo del Design mettendo al centro gli “irregolari” come Raggi, uno spazio obbligatoriamente ridotto, che impone la sintesi. È per questo che tutti i capitoli precedenti del progetto si sono tradotti anche in un dispositivo fisico – una palestra meccanica per Alberto Meda, un appartamento parigino per Inga Sempé, un negozio per Monica Bolzoni – e stavolta è il turno di Piovenefabi, che per Raggi allestiscono un Accampamento Tematico: una grande tenda, chiaro, accessibile però solo attraversando la mezza roulotte di una delle Muraglie mobili progettate negli anni ’70.

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"Franco Raggi. Pensieri Instabili", Triennale Milano. Foto Delfino Sisto Legnani - DSL Studio © Triennale Milano

Una volta dentro, la molteplicità delle espressioni di Raggi popola la struttura. Gli oggetti e le lampade per Kartell, Oluce e FontanaArte, i progetti sviluppati con Daniela Puppa, gli arredi per Cappellini come le “minuzie”, serie limitate o direttamente autoproduzioni che al meglio raccontano una personalità di sperimentatore. Ancora, gli interni per gli showroom Cinelli, le architetture per Gianfranco Ferré come la mitica sede di via Pontaccio a Milano e, al centro di tutto, La Tenda Rossa: in perfetta linea con la pratica di Raggi, di inserire nei suoi spazi un qualche piccolo simulacro di spazio, dentro la Tenda si trovano altre tende, questa volta solide e metalliche, modelli-scultura negli anni.

Quel Raggi che Lea Vergine aveva chiamato “mite e solforoso” si è trovato qui davanti a un atto speculativo, come ha raccontato, a produrre pensiero da una rilettura della sua pratica da parte di altri, che dialogavano con lui: “Dopo questa escursione, grazie a loro, in me stesso, ho scoperto anche il piacere del nonsenso, che è anche una grande attribuzione di senso”. Un’esplorazione senza metodi scientifici di cronologia o biografia, ma un’immersione in un modo di fare, attraverso parole che Raggi stesso ha voluto elencare, e che al meglio lo raccontano: sconfinamento, paradosso, ironia, shift, utopia, sgambetto.
“Anche autosgambetto”, non ha mancato di aggiungere il grande irregolare del design italiano.

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