La casa in campagna di Erwan Bouroullec è un altro modo di fare design

Il designer francese racconta una ristrutturazione che ha il valore di un manifesto per il design: la ricerca di un “grado zero”, di una nuova semplicità, dopo i primi 25 anni della sua carriera.

Con Erwan Bouroullec, designer francese tra i più rilevanti della sua generazione, la chiacchiera è fertile, e incontrarlo ci pone davanti due strade: parlare della ristrutturazione della sua casa di campagna in Borgogna nei termini canonici, del recupero di un casolare dismesso. Oppure leggere le attività e i pensieri che questo cantiere ha innescato, abbracciando l’architettura, sì, ma anche la pratica del costruire e soprattutto il design.

Ed è questa seconda pista che scegliamo: si svela ricca di intuizioni, tanto sui rapporti di prossimità con le esperienze produttive, quanto sulla natura di un processo che avanza in levare, per pause, affidandosi alla scommessa intuitiva di un fare corpo collettivo, e senza perdere di vista la questione delle economie dei segni, dei gesti e della materia.

LVA Architects, Erwan Bouroullec, La Grange, Borgogna, Francia. Foto Philippe Thibault e Charles Petillon

“In questo momento credo di avere voglia di svolgere il mio lavoro in modo un po’ più puro. Sono molto felice di realizzare una sedia, come sono molto felice di realizzare un tavolo. In un certo senso ho meno bisogno di uscire dagli schemi, di distorcere troppo le tipologie”, racconta Bouroullec dal suo atelier di Parigi, dove si è installato da circa un anno dopo la chiusura dello studio che ha guidato per venticinque anni insieme al fratello Ronan

Una focalizzazione sul grado zero, quella di Erwan, che sembra andare di pari passo con la volontà di liberare il design da ogni possibile forzatura: a volte persino “smettendo di pensare”, come in una pratica meditativa a cui lui stesso fa accenno, dando fiducia agli elementi che durante questo processo affiorano da soli, imponendosi come un’evidenza. “Il design è un processo particolare perché, al contrario di molte altre pratiche, una volta avviato non bisogna più aggiungere niente. Piuttosto, bisogna togliere ancora. A questo stadio, emergono sempre molte domande, ed è necessario fare dei grandi sforzi per aspettare, e quindi assecondare la dimensione collettiva”, ci spiega. 

LVA Architects, Erwan Bouroullec, La Grange, Borgogna, Francia. Foto Philippe Thibault e Charles Petillon

Bouroullec non è estraneo alla vita di campagna: nipote di contadini, durante l’infanzia nella sua Bretagna natale ha conosciuto da vicino i ritmi e le pratiche operose del lavoro della terra e dell’allevamento. Sarà forse per questo, ma le qualità e le atmosfere a cui fa riferimento quando parla della sua casa in Borgogna non hanno niente di bucolico, né tanto meno di esibito. Né, del resto, si limitano a identificarsi con la costituzione di un ennesimo eden al riparo dal caos cittadino; un tema oggi ricorrente, potremmo persino dire in voga, ma in questo caso secondario e riduttivo. Piuttosto, è proprio questo procedere per sottrazione, con fiducia nella virtuosità spontanea del progetto, a rispondere in maniera più fedele alle intenzioni di rinascita di questo luogo. 

Mi piacerebbe trovare delle possibilità di progetto che ci permettano di imparare a produrre delle cose insieme, il tutto a favore di una sorta di collettività che si viene a determinare.

Erwan Bouroullec

LVA Architects, Erwan Bouroullec, La Grange, Borgogna, Francia. Foto Philippe Thibault e Charles Petillon

Adagiata su un pendio collinare che le offre una prima qualità ambientale di eccellenza, ossia una vista aperta a tutta la campagna circostante, la vecchia fattoria versa in uno stato di parziale abbandono quando viene rilevata. Il corpo di fabbrica dedicato alla produzione agricola è inutilizzato da decenni. Contigui a questo spazio, sebbene sfalsati sul pendio, si trovano da una parte la vecchia abitazione, e dall’altra un’area coperta da una tettoia.

Piuttosto, è proprio questo procedere per sottrazione, con fiducia nella virtuosità spontanea del progetto, a rispondere in maniera più fedele alle intenzioni di rinascita di questo luogo.

La ristrutturazione viene affidata allo studio di architettura Lva e condotta a quattro mani con Bouroullec. Insieme, architetti e committenza decidono di focalizzarsi sull’organizzazione strutturale dell’edificio, limitando le demolizioni, anche in un’ottica di economia degli sforzi, alle poche superfetazioni accumulatesi nel tempo. Charlotte Vuarnesson, fondatrice con Guillaume Le Dévéhat di LVA, ricostruisce così il lavoro svolto sul campo: “abbiamo messo a nudo la struttura principale e abbiamo creato delle aperture per permettere la circolazione interna tra le diverse parti dell’edificio, ossia la casa, il vecchio magazzino oggi convertito in atelier, e la rimessa coperta solo da una tettoia un tempo adibita allo stoccaggio del fieno. La sfida più grande è stata quella di far entrare la luce senza deformare gli edifici, ma al contrario mettendo in risalto la struttura esistente e garantendo una circolazione ottimale dell'aria, così da rendere la casa attraversabile e aperta al paesaggio”.

Charlotte Vuarnesson e Guillaume Le Dévéhat (LVA Architects) con Erwan Bouroullec. Foto Philippe Thibault e Charles Petillon

Dopo la pianificazione iniziale, ecco però instaurarsi una dinamica inaspettata. Succede questo: Bouroullec e Vuarnesson si prendono del tempo per osservare l’operato del carpentiere e del muratore al lavoro su tetti e facciate: un’altra forma di cessazione del pensiero o di meditazione, se vogliamo. I gesti accurati e sensibili degli operai vengono riconosciuti come un savoir faire da assecondare, in uno sforzo di verità che esula dal vernacolare e che risponde piuttosto ad una logica della giusta misura, all’unisono con la storia e il suo senso tutto locale delle proporzioni e dell’utilità.

Racconta Vuarnesson: “Si è prodotta una cosa completamente inedita, tanto per gli operai che per noi. Erwan ed io abbiamo preso coscienza di come i loro gesti valorizzassero la materia, l’irregolarità, la struttura stessa delle cose. Senza aspettative specifiche, ci siamo accordati per assecondare la valorizzazione del loro gesto”. Meno cartesiano e solo apparentemente irrazionale, questo metodo porta beneficio ad un senso molto tangibile dell’esperienza architettonica. La trama sartoriale delle pietre a vista si rivela esserne l’esito più esplicito, insieme alle sinestesie che questa stessa trama innesca a contrasto con il legno di pino, altro materiale cardine del progetto, e quindi con i pannelli in laminato verde salvia, la nota prettamente contemporanea degli interni.

LVA Architects, Erwan Bouroullec, La Grange, Borgogna, Francia, ante operam. Foto Charlotte Vuarnesson

Oggi, il complesso della vecchia fattoria è si trasformato in uno spazio elastico, aperto al piacere della convivialità oltre che alla possibilità quasi politica di ospitare operazioni di design collettivo negli spazi dell’atelier. “Nel mondo del design è diventato difficilissimo provare una forma di empatia per chi fabbrica i prodotti che utilizziamo. In campagna, al contrario, le logiche di prossimità e di conoscenza diretta fanno sì che sia abbastanza spontaneo essere empatici con quello che consumiamo”, spiega Bouroullec. “Qui, dunque, c’è una lettura del mondo che diventa possibile, che è relativamente semplice. Continuo a farmi domande su come potremmo sfruttare queste dinamiche di prossimità per produrre delle cose. Mi piacerebbe, ad esempio, trovare delle possibilità di progetto che ci permettano di imparare a produrre delle cose insieme, il tutto a favore di una sorta di collettività che si viene a determinare”.

La sfida più grande è stata quella di far entrare la luce senza deformare gli edifici, ma al contrario mettendo in risalto la struttura esistente e garantendo una circolazione ottimale dell'aria, così da rendere la casa attraversabile e aperta al paesaggio.

Charlotte Vuarnesson, co-fondatrice di LVA

LVA Architects, Erwan Bouroullec, La Grange, Borgogna, Francia. Foto Philippe Thibault e Charles Petillon

Quanto agli arredi dei differenti ambienti, siamo lontani dalla casistica delle case “di design”. Volutamente non pretenziosi, mobili e oggetti godono della nonchalance di un incontro non esibito con lo spazio. Solo i letti, delle “strutture contenenti” progettate su disegno da Bouroullec, sono stati realizzati espressamente per le camere. Il comfort più grande, oltre all’esperienza della socialità, si rivela quello dei sensi, sollecitati attraverso la continuità offerta dalle finestre sull’esterno, una sorta di messa in immagine del paesaggio, e grazie all’isolamento termico della casa, che garantisce un comfort fisico massimale, seppur differenziato a seconda degli spazi: un massimo di tepore nel periodo invernale nell’abitazione, ancora una volta per una questione di opportunità, e quindi minore, a degradare, nell’atelier. 

Fuori, il giardino sembra reclamare una selvaticità alla ricerca di una possibile via di convivenza tra l’uomo e la natura. Un continuum anche in questo caso diversificato, che declina le possibilità di domesticazione del verde in rapporto alla vicinanza alla casa – puntando su un ennesimo grado zero che permette alla natura, spontaneamente, di cercare in questi diversi perimetri una via per l’autenticità.

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