Tra le hypercar di Ares Modena, per capire cosa sia il design del lusso oggi

O meglio, “oltre il lusso”, come recita il claim della giovane azienda della Motor Valley emiliana, tra iper-personalizzazione e co-creazione: un posizionamento di mercato che genera riflessioni sul design.

Carrozzieri. Nell’Italia che costruiva la sua immagine postbellico nel mondo, queste figure mitologiche, in bilico tra l’artigiano, lo stilista e l’alchimista, producevano un’unica, potentissima pozione: le fuoriserie, le tirature limitate, e – qui si tollerano svenimenti – i pezzi unici, automobili trasformate da esoterici battilastra in oggetti simbolo della fortuna dell’individuo che se li era potuti far pensare e produrre. E via di Touring, Zagato, Scaglietti, Frua; anche di Pininfarina o Bertone, seppur con stratificazioni più complesse di azione. Ma erano altri tempi, gli anni 50 massimo 60 e già coi 70 la figura del coachbuilder si era diluita in diversi rivoli, tra chi allestiva per il lusso e chi faceva ricerche che avrebbero influenzato la produzione di massa futura.

E oggi? Con la mobilità che si ridefinisce, l’automobile che si fa un bene sempre più costoso e sempre meno ambito dalle masse, anche il campo del lusso si riposiziona, per prezzo e soprattutto per concetto. Qual è il dominio di esistenza del lusso, in una società – un mercato – divisa tra una nicchia non poi così piccola (è lì il nodo) che ha accesso a grandi volumi di spesa, e una massa che forse quella spesa non la sogna neanche più?

A complicare il quadro epistemologico nell’ultimo decennio è comparso Dany Bahar, co-fondatore con Waleed Al Ghafari di Ares Modena, azienda che punta a collocarsi, nelle sue parole, “oltre il lusso standard”. Dal 2014 Ares lavora su customizzazioni spinte di veicoli – le cosiddette donor car – iconici come i Land Rover Defender, o di altri parimenti impattanti come la Bentley Mulsanne portata da berlina a coupé – e no, la Continental non è la stessa cosa – o la Tesla Model S portata a station wagon di sapore shooting brake.

Nel 2018 apre lo stabilimento, a Modena, nei locali di una ex concessionaria che per ora forza la produzione a organizzarsi su più livelli, in una evocazione padana del Lingotto di Torino. Partono i primi esperimenti autonomi: un restomod, la Panther, omaggio contemporaneo alla DeTomaso Pantera (ma su base Lamborghini Huracán) e, recentissime, una hypercar, la S1 su base Corvette C8, e la spider Wami, realizzata col cristalliere Lalique su base Bmw Z4 in linee marcatamente storiciste.

La ragione per cui un cliente viene da noi è perché può dirigere, gestire lui il processo, può essere coinvolto in tutto dall’inizio, dal primo disegno fino alla consegna.

Dany Bahar, co-fondatore di Ares Modena

Ma dove si colloca quindi il “beyond luxury”, e come vuole fare la differenza un brand in crescita come Ares, in un mercato saturo, agguerrito, e soprattutto popolato di produttori prima ancora che trasformatori?

Bahar – ex CEO di Lotus ed ex vice presidente vendite e post-vendita di Ferrari, tra i vari precedenti – è chiaro a riguardo: messa da parte qualsiasi idea di superare in tecnica o in livello di finitura produttori del rango di Ferrari, Bugatti o Rolls-Royce, si realizza che non è questo ciò che i potenziali clienti – in genere compratori seriali dei marchi appena citati – cercano.

La differenza viene individuata nella possibilità di co-creazione dell’oggetto-auto. “La ragione per cui un cliente viene da noi è perché può dirigere, gestire lui il processo, può essere coinvolto in tutto dall’inizio, dal primo disegno fino alla consegna. Può chiamare me, può chiamare lo stilista, il direttore tecnico, può chiamare chiunque, e fa sempre parte del processo di sviluppo di una vettura”, in un livello di costruzione del veicolo attorno al cliente che i marchi del lusso spesso demanderebbero all’aftermarket. È anche la ragione per cui non c’è una rete di dealer ma un modello di contatto col pubblico basato su showroom-studio, anche temporanei – strategicamente collocati in località come Dubai, Monaco, St. Moritz, Zurigo, la Costa Smeralda – che sono già parte interna della struttura di progettazione e produzione.

Alcune parti della ricetta sono collaudate e integrate nel modello. I motori come esperienza, ad esempio: quelli di base delle donor car – un leggendario 6 e 3/4 Bentley, intonso, è esperienza a sé – con predilezione per gli aspirati vecchia scuola, sempre più rari e ambiti, o l’inserimento di v8 di produzione GM sui Defender. Ma anche l’integrazione dei know how tecnici e produttivi della Motor Valley emiliana, brand territoriale del bel vivere e del bel guidare noto ormai nel mondo quasi più dell’isola di Capri.

In termini aziendali, nuovi ingressi dalla sfera di questo know how e nuovi capitali – Proma Group, l’ex Fca Alfredo Altavilla tra i molti – sono entrati nella società, e Ares non si dice interessata a diventare un car manufacturer, ma neanche indifferente a rispondere alla ormai proverbiale sfida dell’elettrico. Si pensa ad articolare una gamma che includa un modello sportivo, un Suv e una piccola elettrica, tutte lussuosamente co-create – mentre motociclette e apecarri sono già stati realizzati – e l’attenzione va ora a biciclette e monopattini. Elettrici, e a tiratura limitatissima. 
Per un nuovo, simbolico punto sullo sviluppo di questo modello di design dell’oltre-lusso, oggi al quinto anno di piena attività, Bahar ha già dato appuntamento al 2028, tra 5 anni. 

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