Are We Human?

Curata da Beatriz Colomina e Mark Wigley, la terza Biennale di Istanbul stimola la comprensione del mondo intorno a noi, anche perché l’argomento ci riguarda tutti: l’essere umano, nelle sue molteplici evoluzioni storiche, sociali, economiche, dal Paleolitico a Facebook.

3. Istanbul Design Biennale
“Are We Human? The Design of the Species: 2 Seconds, 2 Days, 2 Years, 200 Years, 200.000 Years”. Questo il titolo programmatico e la provocazione lanciata dall’ultima edizione della Biennale di Istanbul, promossa da İKSV – Istanbul Foundation for Culture and Arts e presentata dalla coppia curatoriale composta dalla storica dell’architettura Beatriz Colomina e dal critico e autore Mark Wigley. Lei spagnola, lui di origine neozelandese, entrambi insegnanti di base a New York, la prima con cattedra alla Princeton University School of Architecture, il secondo preside emerito alla Columbia University.
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale. Lu Yang (China), Delusional Mandala, Galata Greek Primary School
Durante un’affollata conferenza stampa i due, legati anche nella vita, in modo semplice e appassionato, hanno illustrato i grandi temi che riguardano la loro Biennale che ha come protagonista l’uomo e, quindi – sostengono – il design. Sorridendo, Wigley ha ammesso che “l’intenzione è parlare di design seriamente”. E infatti il nostro disco rigido non può che uscire più che piacevolmente sovraccarico da un progetto espositivo così denso d’informazioni (la maggior parte dei 70 progetti scelti necessitano un’attenta lettura).
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale. Jose Lirá (Brazil), The Anthropophagic Body and the City, Galata Greek Primary School
Questa mostra è un esempio ben riuscito di design speculativo nell’accezione più profonda e positiva del termine, il soggetto stesso stimola la comprensione e l’investigazione del mondo intorno a noi (e dentro di noi) con maggiore riflessione e densità – proprio perché l’argomento ci è vicino: la terza Biennale di Istanbul riguarda tutti noi, l’essere umano, nelle sue molteplici evoluzioni storiche, sociali, economiche dalle origini a oggi, dal Paleolitico a Facebook. Progetto ambizioso poiché l’esperimento di raccontare il design passando o partendo da noi è senz’altro rischioso e, quindi, onore a chi si confronta con un salto mortale del genere riuscendo ad atterrare saldamente in piedi.
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale, veduta della mostra alla Galata Greek Primary School
Partendo dall’idea che da quando si conosce l’uomo si conosce il design, Colomina e Wigley utilizzano la simbologia di un’orma di migliaia di anni fa per dirci che quello si è un piede – con tutte le valenze narrative e semantiche del caso – ma è soprattutto la traccia lasciata da una scarpa ovvero un artefatto, un prodotto dell’uomo. E infatti – sostengono – “disegniamo noi stessi ogni giorno”, da quando ci svegliamo la mattina a quando andiamo a dormire la sera. “Noi diventiamo umani quando aggiungiamo delle cose a noi stessi”, arrivando a dire che “anche i nostri corpi sono design”, perché un’evoluzione costante di stadi precedenti. Il progetto presentato sul Bosforo quindi non può che appassionarci e coinvolgerci in maniera viscerale.
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale. Ivan-Nicholas Cisneros, Jesse L. McCormick, Iara Pimenta, Gizem Sivri, "Homo Cellular", Galata Greek Primary School. Display Andres Jaque and the Office for Political Innovation
Una seconda considerazione riguarda la straordinaria ricerca, precisa, immane, sconfinata, perché abbraccia diverse discipline e singolare nell’approccio, che i curatori sono riusciti ad eseguire in poco più di dodici mesi. Divisa, o meglio organizzata, in quattro principali sezioni chiamate cloud (Designing The Body, Designing The Planet, Designing Life e infine Designing Time) che si snodano in maniera organica per dare respiro a un’indagine titanica capace appunto di raccogliere progetti di diversa natura, presentati come un unico continuum, con sovrapposizioni, referenze e interferenze che il visitatore è invitato a leggere autonomamente: i curatori le chiamano ingressi differenti a una “densa foresta”, tra open call, designer locali e star internazionali anche appartenenti al mondo tangente dell’arte contemporanea tra cui Thomas Demand, Tacita Dean e Thomas Saraceno. La mostra si sviluppa in più sedi: alla Galata Greek Primary School – cuore pulsante della manifestazione –, nello spazio Studio X e Depo tutti a Karaköy, all’Alt Art Space di Bomonti e all’Istanbul Archaeological Museums nella zona di Sultanahmet.
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale. Annett Zinsmeister (Germany), Virtual Interior Istanbul, Galata Greek Primary School
Questi luoghi raccolgono gran parte delle ispirazioni connesse al macro-tema e aiutano a dipanare un discorso tanto intellettuale quando appassionante, tanto articolato quanto ostico da rappresentare se non con l’aiuto di testi, mappe colorate, fitti grafici, molti video e sicuramente pochi, pochissimi oggetti. Scelta deliberata e in sintonia con il DNA del duo che sembra avere scansionato il globo (a partire dalla Cradle of Humankind in Sudafrica a poche ore da Johannesburg, dove sono stati ritrovati i primi segni dell’umanità) e per guardare anche alle galassie – perché si può scavare e cercare ma sopra di noi c’è anche il cielo. Questa Biennale richiede concentrazione e tempo, e questo è un merito; è una Biennale che ti lascia con il sorriso sulle labbra perché, o per statistica considerato il numero di progetti presentati, o per via del soggetto stesso, non è possibile uscirne senza aver imparato qualcosa di nuovo. Il bombardamento delle informazioni è tanto potente quanto attraente. Dalle mani salde, Colomina e Wigley forti delle proprie opinioni, di tanto in tanto ironizzano chiedendo più volte al pubblico se sia o meno in grado di resistere alla valanga di dati, nomi, numeri esibiti, portando il pubblico a interrogarsi su quale sia la portata intellettuale di una domanda quale “Are We Human?”
3. Istanbul Design Biennale
3. Istanbul Design Biennale. City of 7 Billion, Galata Greek Primary School
Anche se diverse discipline concertano risposte adeguate, il fatto stesso che questa domanda sia finalmente posta al design, al design e non alla filosofia o alla sociologia, al design e non all’antropologia è secondo la mia opinione già un grande successo. E se il design presuppone ragionamento, riflessione e analisi allora sì, forse sarà in grado di rispondere anche a questo grande interrogativo. Rigore intellettuale, esame, osservazione, mappatura a tappeto delle diversità (fisiche, comportamentali, professionali) coraggio e visione sono gli ingredienti che caratterizzano questa terza Biennale di Istanbul che, ripeto, avvince proprio perché parla di noi. Con l’ambizione di ri-disegnare l’essere umano questo progetto ci accoglie per porre domande, per scavare fino alle radici di noi stessi e comprendere che il design siamo noi, cioè il risultato di diversi livelli stratificati di progettualità. Una specie di fenomenologia emotiva e fisica dell’uomo per arrivare a dire che il design esiste da quando esistiamo noi.

 

Interessante e ricca d’illustrazioni la piccola pubblicazione dei curatori per Lars Muller, un compendio che vive di vita propria mentre sulla copertina del catalogo, presenta i progetti direttamente dalla voce degli autori e non da curatori o critici – il solo titolo è stampato su una a base specchiante: ci invita a rispondere alla domanda centrale della mostra, la più importante di tutte.

© riproduzione riservata

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