Cosa può fare il design per i designer?

Dopo tre anni, l'ambizioso evento internazionale What Design Can Do cade al momento giusto per riflettere su cosa, davvero, una conferenza di design possa fare per definire la professione.

Chiedere “che cosa può fare una professione” è un’interessante cartina di tornasole per misurare fino a che punto un mestiere viene universalmente compreso e definito. Chiedete che cosa può fare l’odontoiatria, oppure la ragioneria, e riceverete in risposta delle occhiate ironiche. Non è ovvio? Ma che cosa può fare il design? La perdurante ambiguità della parola e la sua recente tendenza a essere accostata praticamente a tutto (design delle attività d’impresa, design delle reti, design dei rapporti) ne fa un perfetto materiale per interrogativi esistenziali.

Prendiamo What Design Can Do (WDCD), il convegno di due giornate che si tiene ogni anno in maggio ad Amsterdam, che cerca di rispondere alla domanda facendo riferimento a un ampio ventaglio di attività e di fenomeni. La manifestazione offre una quantità di conferenze, di laboratori e di occasioni di stringere rapporti. Nutre anche grandi ambizioni: il fondatore dell’iniziativa Richard van der Laken spera che diventi “il maggior convegno multidisciplinare di design d’Europa, con un pubblico internazionale”.

What Design Can Do
L'intervento di Rahul Mehrotra a What Design Can Do 2013
Dopo tre anni e tre convegni è caso mai il momento di riflettere su quel che può fare un convegno per definire una professione. Ma per giudicare bisogna conoscere le intenzioni, ed è qui che le cose si ingarbugliano. Non è chiaro che cosa voglia in realtà fare questo convegno. Nel titolo (di per sé una domanda trasformata in affermazione) c’è una sfumatura promozionale da pubblicitari: “Tu credi che il design faccia solo questo, ma aspetta un momento, non è tutto qui! Fa anche questo, questo e quest’altro!” Il sito web del convegno definisce il proprio obiettivo promettendo di “parlare di design in quanto catalizzatore del cambiamento e dell’innovazione, nonché strumento per affrontare i temi sociali della nostra epoca”. E quindi preannuncia un contributo di tipo sociale, un modo di sfuggire al circolo vizioso degli interessi imprenditoriali e della logica capitalista. Ma secondo il fondatore “ogni progetto è un gesto sociale”; e invece di puntare a una rappresentazione del design come catalizzatore del cambiamento sociale lo definisce un modo “di essere attivi, di fare qualcosa” in relazione a quanto è compreso nel programma.
What Design Can Do
Ben Landau a What Design Can Do 2013
In ogni caso chi sperava di trovarsi su questa frontiera della trasformazione ha incontrato quest’anno una quantità di importanti personaggi, come David Kester, già direttore generale del Design Council di Londra. Kester elabora programmi che uniscono progettisti e tecnocrati nell’affrontare urgenti problemi sociali, il che si ricollega direttamente all’idea del design come catalizzatore. In particolare riguardo alla sanità Kester ha contribuito a ideare Design Bugs Out, programma che ha riunito quattro gruppi di progettisti e di produttori britannici per realizzare arredamenti ospedalieri più semplici e di facile pulizia, eliminando le sacche di sporco e scongiurando il rischio di agenti infettivi letali come il Clostridium difficile.
What Design Can Do
La breakout session What Design Can Do for Behaviour, curata da Nicolas Roope e Hulger/Poke all'Apple Store
Nel corso della seconda giornata l’architetto Rahul Mehrotra ha parlato dei suoi sforzi di mediare tra il capitale e il sociale nel dinamico e contraddittorio ambiente di Mumbai. Progettare facciate verdi che inducono giardinieri e amministratori delegati a incontrarsi faccia a faccia e progettare servizi igienici pubblici migliori nelle baraccopoli sono il suo modo di affrontare le molteplici contraddizioni di un ambiente ipercapitalista e oberato dal sistema delle caste.
What Design Can Do
Mike Kruzeniski a What Design Can Do 2013
Progetti di più spiccato significato sociale sono venuti da una serie di interventi della durata di cinque minuti ciascuno, presentati nel corso delle due giornate. Il designer e produttore Bas van Abel ha iniziato con un’affermazione suggestiva: “Se non puoi ripararlo, non lo possiedi”. Alludeva al controllo implicito che la maggior parte delle società tecnologiche mantiene sui prodotti elettronici, costruendoli di proposito senza possibilità di ripararli. Per contrastare questa scelta van Abel ha dato vita all’iniziativa FairPhone: il tentativo di produrre un telefono etico che tenga conto delle catene di fornitura, della trasparenza della produzione e del rispetto dell’ambiente.
What Design Can Do
Bas van Abel a What Design Can Do 2013
Sono seguiti alcuni interventi semplicemente dedicati all’idea di “fare qualcosa”. La pretesa qui non era affrontare temi sociali urgenti, ma mettere al centro la qualità delle proprie attività progettuali. Mike Kruzeniski, responsabile del design di Twitter, ha condotto una sessione davvero straordinaria dove ha discusso la posizione dei laboratori di design avanzato integrati nelle aziende. Preoccupato di come investire efficacemente risorse nelle idee innovative attraverso la consapevolezza del concreto processo produttivo di una determinata società, Kruzeniski ritiene che una buona idea non sia davvero buona se non la si può realizzare. Concetti utili ma, con la sua esperienza direttamente acquisita da società gigantesche come Nokia e Microsoft, non ha esattamente aperto la strada all’idea dell’espansione della professione.
What Design Can Do
Breakout session What Design Can Do for Cobalt, curata da FairPhone
Il designer Nicolas Roope, dal canto suo, ha illustrato una visione decisamente terra terra della professione. Esprimendo apertamente la sua disistima per il lavoro a fianco di politici e burocrati, ha parlato dell’idea di seduzione come del nucleo centrale di ogni felice design di prodotto, con una carrellata sul suo notevole portfolio. Poi immagini di James Bond e di automobili veloci. Chi ha seguito una serie di Mad Men qui non aveva nulla da imparare: un bigino di semiologia della “seduzione attraverso i simboli”.
What Design Can Do
The Ponti Party a cura della food designer Marije Vogelzang
Il cofondatore dell’iniziativa, van der Laken, ha sottolineato che il tema di questo convegno è l’efficacia, e che quindi questi interventi dato che non facevano riferimento più di tanto a questioni sociali, erano irrilevanti. Ma per tutto il corso del convegno si è ripresentato un pensiero fastidioso, riguardante ciò che il design non può fare: misurare correttamente l’efficacia. Parecchi interventi hanno adottato una formalistica brillantezza alla maniera di TED, individuando un problema e presentando soluzioni intelligenti sostenute da scelte troppo costose e aneddoti accattivanti. Costantemente assente era la prova che si stesse facendo qualcosa di essenziale. Merhotra si è dimostrato onesto parlando del fallimento dei suoi servizi igienici per le baraccopoli, ma molti interventi lo sono stati meno a proposito dell’efficacia delle loro iniziative, come se sentissero il peso dell’intenzione del convegno di presentare qualcosa di eccezionale. Con la sua attenzione all’efficacia WDCD mette in gioco livelli d’aspettativa di cui molti interventi non sono all’altezza; e qui sta forse la sua maggior lacuna.
What Design Can Do
Breakout session What Design Can Do for Colours, curata da AkzoNobel
In conclusione WDCD illustra una cosa che il design sa fare molto bene: progettare un convegno. Il giallo del marchio della manifestazione è sparso dappertutto, dalle magliette dei volontari alla segnaletica dei percorsi, fino ai vistosi cartelloni collocati fuori della sede del convegno. I testi del sito, dei pieghevoli e della pubblicità trasudano prestigio e zelo. Gli organizzatori hanno coordinato trenta sessioni collaterali, dando al pubblico la possibilità di un coinvolgimento più interattivo su temi a scelta, e hanno anche realizzato un catalogo del convegno costruito in tempo reale e presentato alla festa di chiusura. Un’impresa davvero impressionante.
What Design Can Do
Il moderatore Dagan Cohen, Alfredo Brillembourg di Urban-Think Tank e il direttore della conferenza Richard van der Laken presentano il volume di What Design Can Do 2013
Un’esibizione estremamente efficace per i non addetti ai lavori, per i politici che taglino i fondi ai settori del progetto, per gli elettori che sostengono i tagli e per i clienti che ridimensionano le risorse destinate al design. Potrebbe cambiare radicalmente la loro opinione sul potere del design. Ma per molti designer presenti alla manifestazione i contenuti del programma non andavano abbastanza in profondità, non affrontavano la tensione e le contraddizioni connesse con il tentativo di essere efficaci attraverso il design. In certa qual misura tutti i convegni soffrono di questa carenza di profondità, dato che la loro formula non permette l’interazione e il lungo dibattito necessario a mettere in luce nuove rivelazioni. Ma avviandosi alla quarta edizione WDCD potrebbe seriamente ripensare a ciò che vuole ottenere in quanto manifestazione. Se vuole diventare il più grande appuntamento interdisciplinare di design d’Europa forse è già sulla buona strada. Ma se vuole davvero affrontare l’“efficacia” come compito del design sarà necessaria una riformulazione più rigorosa. Brendan Cormier (@BrendanCormier)

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