All'inizio del 2011, un post intitolato Is Humanitarian Design the New Imperialism? (ovvero, Il progetto umanitario è il nuovo imperialismo?) ha scatenato un'accesa controversia. L'autore dell'intervento apparso su FastCompany.com, Bruce Nussbaum, è un noto docente e critico americano con un solido background sull'aspetto commerciale del design. Nussbaum non ha usato un linguaggio incendiario, e si è mostrato al contrario molto misurato nel riportare i "malumori" (il termine è suo) di alcuni designer asiatici e in particolare indiani, infastiditi dalla generosità apparentemente non disinteressata di grandi e piccole società americane come Project H (piccola) e IDEO (grande). È possibile che parte dello scetticismo di Nussbaum derivi dalla sua giovanile adesione a Peace Corps, lo storico programma fondato dal presidente Kennedy nel 1961, spesso accusato di perseguire l'agenda imperialistica americana celandola sotto la veste di un programma di aiuti umanitari— negli anni Sessanta e Settanta, l'atteggiamento altruista di molti liberali americani era stato macchiato da quest'accusa.
Nel 2011, la reazione alle parole di Nussbaum è stata comunque immediata e molto accalorata, e i commenti in calce al suo intervento rappresentano solo una piccola parte del dibattito. Nussbaum ha chiaramente toccato un nervo scoperto nella comunità del design, stimolando commenti che variano dal sincero, articolato e candido all'opportunistico, ipocrita e strumentale. Sembra quindi che il Design Sociale sia al di sopra di ogni critica e rimprovero—anche se, come dimostra la storia anche recente, non è infallibile.
Cambiare il mondo, sia a livello globale sia a livello locale, è l’aspirazione comune a tutte le forme di design sociale
Quando si parla di design capace di cambiare la vita, la chiave per il successo è spesso un profondo coinvolgimento della comunità, perciò reti globali come Architecture for Humanity cercano sempre di stabilire collaborazioni a livello locale. Ho incontrato Cameron Sinclair, co-fondatore di AfH con Kaye Stohr al volgere del secolo scorso, mentre preparavo una mostra intitolata SAFE: Design Takes on Risk. In quei giorni aveva ancora un regolare impiego presso un grosso studio di architettura con cui poteva permettersi di finanziare l'attivismo part-time di AfH. Da allora, Architecture for Humanity è cresciuta a diventare una forza a livello mondiale che ha svolto un lavoro pionieristico sulle strutture decentralizzate, oggi al centro delle imprese umanitarie di maggior rilievo.