Martin Szekely e il suo doppio

Alcune considerazioni sulle mostre parigine dedicate al designer francese, di scena al Beaubourg e alla Galerie kreo.

Ne plus dessiner (non disegnare), la provocatoria dichiarazione con la quale Martin Szekely intitola la sua mostra negli spazi dedicati al disegno delle gallerie del Centro Pompidou, agisce come un materiale. Sembra anzi quasi un calco delle prestazioni, così come vengono descritte dalle case produttrici, di quei meravigliosi e ultracontemporanei materiali che lui stesso utilizza e che permeano, modellano e infondono l'outline dei suoi oggetti.

Sono oggetti che dispiace definire arredo e che—nel rigore di pochissimi pezzi—sembrano espandersi, senza mediazione alcuna negli spazi dell'esposizione. Come se il Ductal®, avviluppasse non solo certe superfici, ma addirittura la descrizione delle cose, orientando il senso dello spettatore in una linea high-tech. Quasi strati di Nextel® e lastre di Corian® uniformassero i contorni dell'intera installazione che ai più appaiono lisci come una lastra tombale di un nuovissimo policarbonato all'ultimo grido nelle ricerche tecnologiche e/o aerospaziali.
Qui sopra e foto di apertura: due diverse versioni della nuova collezione Units, presentata alla Galerie kreo. Photo © Fabice Gousset Courtesy Galerie kreo
Qui sopra e foto di apertura: due diverse versioni della nuova collezione Units, presentata alla Galerie kreo. Photo © Fabice Gousset Courtesy Galerie kreo
L'atmosfera è quella di un design liscio e anonimo, rotta solo dall'espressionismo del nido d'ape di un profilo in alluminio. E si potrebbe azzardare l'aggettivo epurato, se questo aggettivo più sicuro non facesse scivolare tutto negli imperativi ideologici della bellezza contemporanea. La moda e il suo successo mediatico fanno apparire il design di Szekely maschile e—azzarderei—in una sensazionale direzione, sensuale e metropolitana. Visibilità reale per uno dei più noti designer contemporanei, collezionato e sollecitato da grandi stilisti come Lagerfeld, al top nelle scelte di design per un opinion-maker del calibro di François Pinault che ha due pezzi, della sua collezione privata in questa mostra Echelle et Socle. Eppure, Martin Szekely dal 1996 cerca di ribaltare la posizione del creatore, posizionandola oltre l'evidente caratura ieratica dei suoi oggetti, che non dovrebbero caricarsi dell'orpello della firma ma santificarsi nell'oblio dell'uso.
Love seat, poltrona e due disegnata per il cinema MK2 di Parigi, 2003. Photo © HartlandVilla
Love seat, poltrona e due disegnata per il cinema MK2 di Parigi, 2003. Photo © HartlandVilla
Il problema che si pone passeggiando tra i pezzi simbolo necessari a ricostruire questa epica della negazione dell'autorialità è che un suo Soleil Noir è—e resta—uno specchio e poco importa se la tecnologia deriva direttamente dalle ricerche di astrofisica, il tabouret Big One in cristallo pesa solo 120 kg e poco importa che terminata la sua fusione occorrano tre mesi di raffreddamento per goderne appieno l'effetto "diamante grezzo". L'esposizione di Szekely ribadisce questo carattere di umiltà e la sua appartenenza all'implacabile terreno della funzionalità. Ma la mostra non decolla su un orizzonte che dovrebbe trasformarla in uno strumento critico che indaga non tanto sulla gioia e l'economia del design contemporaneo nelle sue forme di appropriazione, ma incespica piuttosto sulle sue possibilità di esporlo.
Spingendo i limiti dei materiali e la loro applicazione, l'atto stesso del disegnare è distrutto, e il risultato è una dimensione estetica che travalica la volontà del designer
Un'altra declinazione della nuova collezione Units, presentata alla Galerie kreo. Photo © Fabice Gousset Courtesy Galerie kreo
Un'altra declinazione della nuova collezione Units, presentata alla Galerie kreo. Photo © Fabice Gousset Courtesy Galerie kreo
Philippe Starck—che Szekely liquida nelle recenti interviste come un designer che funziona a "effetto brand"—e anche Jean Nouvel, nelle rispettive mostre al Beaubourg, in tempi non di recessione economica, non esposero né maquette, né oggetti, ma solo documentazione video. E davvero i 7 minuti e 21 secondi del video dell'artista inglese Mark Lewis, dedicati al suo Soleil Noir-Black Mirror alla National Gallery del 2011 sarebbero bastati a rendere assoluta l'idea di cancellazione.
Heroic Carbon desk, 2010. Fibra di carbonio, resina, alluminio a nido d'ape. Edizione e collezione Galerie kreo. Photo © Fabrice Gousset
Heroic Carbon desk, 2010. Fibra di carbonio, resina, alluminio a nido d'ape. Edizione e collezione Galerie kreo. Photo © Fabrice Gousset
Il problema di questa mostra è che funziona come uno showroom in procinto di trasformarsi in una copia carbone dell'atelier Brancusi. Lo stesso Szekely e il suo nuovo prodotto nella galleria parigina che lo edita, Kreo con la mostra Units funziona al contrario magnificamente: lì i suoi pezzi hanno la coerenza del miglior prodotto francese, il suo non disegnare ha la leggerezza dei miracoli di Amelie Poulaine. In fondo, il suo lavoro per l'acqua minerale Perrier, il suo caffé disegnato per Hermès e persino le comodissime poltrone a due dei cinema multisala MK2 sono entrate e sparite nel quotidiano della città, che ha inventato la smaterializzazione dell'arte. Perché riportarli al museo e incorniciarli tristemente in decine di Grande Specchio quando ci si richiama alle qualità concettuali del Grande Vetro? Ivo Bonacorsi
Stonewood One, tavolino in pietra e acciaio, edizione limitata di 8 esemplari + 2 prototipi. Galerie kreo, 2005. Photo © Fabrice Gousset
Stonewood One, tavolino in pietra e acciaio, edizione limitata di 8 esemplari + 2 prototipi. Galerie kreo, 2005. Photo © Fabrice Gousset
fino a 2 gennaio 2012
Martin Szekely. No more drawing
Centre Pompidou

fino al 23 dicembre 2011
Martin Szekely. Units
31, rue Dauphine, Parigi
Galerie kreo
Cornice digitale Specchio, Parrott  2009-2009. Galerie kreo. Photo © Fabrice Gousset
Cornice digitale Specchio, Parrott 2009-2009. Galerie kreo. Photo © Fabrice Gousset

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