The art of looking

Con una grande retrospettiva al Design Museum e con la nuova monografia Picturing and Poeting pubblicata da Phaidon, il mondo del design ricorda Alan Fletcher. E celebra il talento e lo sguardo poetico di questo straordinario maestro della comunicazione visiva. Testi di Richard Hollis, Emily King. A cura di Elena Sommariva

Essere nel posto giusto, al momento giusto
Richard Hollis

Per mezzo secolo, Alan Fletcher è stato il più celebre graphic designer inglese. "Essere nel posto giusto, al momento giusto – ebbe ad affermare – può essere d'aiuto". E nel posto giusto Fletcher si è trovato molto spesso. Formatosi come illustratore alla Central School of Arts and Crafts di Londra, studiò nell'unica scuola dove fosse possibile imparare l'arte tipografica moderna. Approdò poi al Royal College of Art in un momento cruciale, proprio quando l'istituto londinese cominciava a prendere le distanze dal neoromanticismo e dalla tradizione vittoriana. Art director della rivista del college, Fletcher condivideva con i compagni che più gli erano affini l'entusiasmo per il design italiano (la macchina per il caffè e la Vespa vivevano giorni di gloria), per le riviste americane, l'espressionismo astratto, ma anche la riscoperta di Kurt Schwitters e del collage. Fletcher proseguì la sua formazione con una borsa di studio a Yale, ancora nel posto giusto.

Era il 1956, periodo giusto, e c'erano gli insegnanti giusti: Josef Albers, Herbert Matter, Paul Rand e Bradbury Thompson. Passò quindi a lavorare con Saul Bass in California, poi di nuovo sulla East Coast, con un incarico alla rivista Fortune. Si trovava, così, immerso in una cultura visuale segnata dal New Advertising (Doyle Dane Bernbach) e da celebri art director di periodici famosi (come Alexey Brodovitch di Harper's Bazaar e Henry Wolf di Esquire) e la giovane avanguardia. La fermata successiva è Milano, città in cui lavoravano alcuni tra i più importanti designer del secolo appena passato, come Albe Steiner, AG Fronzoni, Franco Grignani, Max Huber e Bob Noorda. Noorda progettava per Pirelli, dove Fletcher ha lavorato alcuni mesi. Come freelance, poco prima di fare ritorno in Inghilterra, creò la sua prima copertina per Domus, un collage astratto in velluto. Di nuovo a Londra, scoprì che il graphic design, inteso come professione, praticamente non esisteva – commentò, dopo qualche anno, che "bisognava essere fuori di senno per fare il designer negli anni Cinquanta. Non c'era alcuna possibilità di lavorare". Tuttavia, riuscì a lanciare il suo nome e quello dei suoi colleghi, collaborando nel 1959 a una mostra al palazzo Time-Life di Bond Street e dando vita nel 1963 alle mostre di Design and Art Direction. Nel nuovo campo, Fletcher era di gran lunga il più colto, il più informato.

La sua esperienza diretta con i leader della nuova professione, il suo formidabile talento visuale e la sua energia ne fecero l'archetipo del graphic designer. Aveva le idee chiare su come doveva essere il graphic design e aveva capito come proporlo ai clienti. Prima e dopo i suoi spostamenti, Fletcher aveva acquisito un'estesa gamma di stili e di tecniche. Il lavoro fatto in America, copertine e opuscoli, rappresenta un vero compendio di stili: grandi lettere singole colorate, ritagli, carta strappata, collage, caratteri stampigliati, stampa bianco su bianco (il nero su nero divenne un classico), stampa sovrapposta. Tutte tecniche che potevano essere trovate nel lavoro dei più importanti studi di design newyorkesi, come Chermayeff e Geismar. Le pubblicità per la Pirelli realizzate a Londra negli anni Sessanta potrebbero essere state portate a termine a Milano; ma non il manifesto per le ciabatte, sempre della Pirelli, da affiggere sugli autobus. E, nonostante l'influsso dei nuovi caratteri grotteschi, c'è poco dello stile svizzero: Fletcher, col suo formidabile repertorio, non plagiava.

Il graphic designer non trova soluzioni manipolando i materiali, almeno non da quando il computer ha sostituito il tavolo da disegno, le squadre, le penne, i compassi e tutti i suoi vecchi attrezzi del mestiere. Ma Fletcher, soprattutto dopo aver abbandonato il gruppo Pentagram che aveva contribuito a fondare nel 1972, rimase dalla parte dell'organico piuttosto che votarsi al digitale. Nel progetto per un opuscolo promozionale di una cartiera, disse, aveva usato "pennini, penne a sfera, pennarelli, matite grasse, grafite. E, ancora, carta opaca, carta fatta a mano, carta vergata a mano, carta assorbente". Gesso e matita su carta, inchiostro e pennello, forbici e carta colorata rimanevano a portata di mano per produrre sia testi sia immagini. I caratteri a penna, le forme ritagliate e gli scarabocchi divennero il suo inconfondibile idioma. Queste tecniche si sono unite alla sua arguzia visiva nelle copertine disegnate per Domus negli anni Novanta. Un altro tipico esempio è il manifesto del 1980 per il Best of British Authors: calligrafia anziché tipografia per i testi, a farne un'estensione dell'illustrazione. Quelle di disegnare le lettere oppure ritagliarle in carta erano tecniche usuali del suo bagaglio: nel Lloyd's Building di Richard Rogers, a Londra, fece uso delle sue amate lettere stampigliate tridimensionali in un sistema di segnaletica che non solo formava una perfetta accoppiata estetica con l'espressionismo hi-tech dell'architettura, ma risolveva anche la questione della sua applicazione alla struttura. In contrasto, vengono quindi i caratteri ornamentali ottocenteschi scelti per il logo di Flora, piccolo negozio di mode.

Dal periodo pre-digitale Fletcher portò con sé soprattutto una tecnica, il collage. Il collage implica collezionare materiali, cercare cose, e questo gli consentì di affinare un occhio già ben allenato. Il collage e i libri sono simili: entrambi fatti di parole e immagini assemblate in un'unica struttura. All'inizio della sua carriera aveva disegnato l'immagine per un volume, Graphic Design: Visual Comparisons creato insieme ai suoi primi partner, Colin Forbes e Bob Gill. Nel libro successivo, Identity Kits, una collaborazione con Germano Facetti, Fletcher si presenta come "uno scassinatore di casseforti in incognito". Il ritratto può essere preso come una metafora: il designer invisibile che saccheggia un ammasso di simboli e di tecniche. Fletcher le conosceva tutte. Le usò per i suoi clienti, aggiunse quelle inventate da lui stesso, le impaginò e ci scrisse intorno, aggiungendo aforismi come: "Un carattere tipografico è un alfabeto con la camicia di forza". Quando nel 1994 divenne art director della casa editrice inglese Phaidon, la sua esperienza e la sua autorità furono applicate a monografie – così come a diverse collane – di arte, design, architettura e fotografia. Ripose la sua fiducia nei designer che conosceva e nelle giovani generazioni che ammirava. Diversi volumi sono stati pubblicati grazie alla sua iniziativa personale, in particolare The Art Book, best seller tascabile. Phaidon ha pubblicato un resoconto del lavoro di Fletcher nel 1996. Il titolo Beware Wet Paint faceva riferimento alla frase usata da Marcel Duchamp per spiegare che occorrono anni prima di riuscire a stabilire il valore di un'opera d'arte. Il suo libro più importante è The Art of Looking Sideways: oltre cinquecento pagine, una ricca raccolta, frutto di una vita di lettura, di ricerca e collezione, un'esaustiva recensione della comunicazione visiva e molto altro ancora. È probabile che diventi il suo lascito più significativo.

Richard Hollis, designer e critico, vive a Londra. È autore dei volumi Graphic Design: a concise history e Swiss Graphic Design: the origins and growth of an international style 1920-1965.

L'eredità di Alan Fletcher
Emily King

Lo scorso autunno, Alan Fletcher accettò di donare il proprio archivio al Design Museum di Londra. Il materiale, accumulato nel corso degli ultimi cinquant'anni, era stivato in ogni angolo della sua casa-studio, sugli scaffali, dentro agli armadi, persino tra le travi. Il trasferimento di questa vasta, ma sorprendentemente ordinata collezione ha richiesto parecchi mesi di lavoro e un ingente investimento di tempo ed energia da parte di Sarah Copplestone, assistente di Fletcher, e di Gemma Curtin, curatrice del Design Museum. La maggior parte dell'archivio di Fletcher consiste in esemplari di lavoro completato: cancelleria, manifesti, copertine di libri e tanto altro ancora. Il fatto che contenga pochissimi bozzetti rappresenta un riflesso tanto dello scopo del lavoro stesso quanto del temperamento del designer.

Fin dai primi giorni della sua carriera di graphic designer, Fletcher infatti capì che aggiudicarsi un nuovo lavoro dipendeva dal modo in cui era pubblicizzato e promosso il precedente. Per questo, per far colpo sui clienti, per sedurli, teneva a portata di mano un campionario di commissioni già completate. Nel 1963, la Fletcher/Forbes/Gill, società che Fletcher fondò insieme a Colin Forbes e Bob Gill, realizzò un libro sul loro primo anno di lavoro: da allora, Fletcher pubblicò i suoi portfolio a intervalli regolari. Tuttavia, immagino che avrebbe liquidato l'idea di documentare la lunga riflessione che precedeva le soluzioni di design come il vertice della presunzione: piuttosto di annoiare il suo pubblico con descrizioni del suo percorso verso l'eccellenza, Fletcher lo stupiva con esempi compiuti del suo lavoro.

Per festeggiare questa importante acquisizione, il Design Museum ha programmato una grande retrospettiva sul lavoro del designer britannico, che aprirà l'11 novembre 2006. Nel frattempo, purtroppo, lo scorso 21 settembre Alan Fletcher ci ha lasciato. Non prima, tuttavia, di poter avere un ruolo cruciale nella pianificazione della mostra. I suoi consigli e le sue osservazioni sono state di vitale importanza tanto per me quanto per Graphic Thought Facility, che ha curato il design dell'installazione. Fino a metà settembre eravamo impegnati tutti insieme in una vivace discussione riguardo all'aspetto dell'ingresso della mostra. A voler essere sinceri, Fletcher aveva liquidato la nostra prima proposta definendola un "allestimento di vetrine", commento che ci ha fatto tornare in studio e ripensare l'intera sala. Detto questo, vorrei sottolineare che Fletcher è stato anche estremamente delicato nel mettersi in disparte e permettere che la mostra rappresenti la mia visione del suo lavoro.

Nella scelta di mostrare esempi di grafica molto concreti, pur se spesso non spettacolari, mi prendo una libertà che i designer molto raramente si consentono in un contesto espositivo. Ma la collezione di Fletcher è fatta di cose reali, realizzate in un tempo reale per reali necessità, e questo è ciò che la mostra intende riflettere. Lavorare con un archivio appena acquisito, spesso voltando pagine e aprendo buste rimaste intatte per quarant'anni, è stato un privilegio immenso. Spero che la mostra al Design Museum saprà trasmettere questa emozione della scoperta.

Emily King, storica del design, vive a Londra. È la curatrice della mostra "Alan Fletcher: Fifty Years of Graphic Work (and Play)" al Design Museum di Londra dall'11 novembre al 18 febbraio 2007 (www.designmuseum.org).
Nel logo per il negozio di abbigliamento Flora (1966) Fletcher usa caratteri ornamentali ottocenteschi
Nel logo per il negozio di abbigliamento Flora (1966) Fletcher usa caratteri ornamentali ottocenteschi
Il logo per l’agenzia di stampa Reuters prende 
invece spunto dalle schede perforate usate per le telescriventi prima dell’introduzione del computer. 
Disegnato nel 1967, è rimasto in uso fino al 1996
Il logo per l’agenzia di stampa Reuters prende invece spunto dalle schede perforate usate per le telescriventi prima dell’introduzione del computer. Disegnato nel 1967, è rimasto in uso fino al 1996
Il marchio per la Zinc Development Association (1967)
Il marchio per la Zinc Development Association (1967)
Dettaglio del manifesto pubblicitario Pirelli da affiggere sugli autobus 
a due piani (1961)
Dettaglio del manifesto pubblicitario Pirelli da affiggere sugli autobus a due piani (1961)
Marchio del Victoria & Albert Museum di Londra (1989)
Marchio del Victoria & Albert Museum di Londra (1989)
Nel manifesto per il Best of British Authors (1980) Fletcher ha usato la calligrafia anziché la tipografia per i testi
Nel manifesto per il Best of British Authors (1980) Fletcher ha usato la calligrafia anziché la tipografia per i testi
“Una città alfabetica”. Sulla copertina di Domus (n. 757, febbraio 1994) le lettere, che compongono la parola ‘Architettura’, sono prese da diversi caratteri tipografici storici
“Una città alfabetica”. Sulla copertina di Domus (n. 757, febbraio 1994) le lettere, che compongono la parola ‘Architettura’, sono prese da diversi caratteri tipografici storici
“L’arte in sé non esiste. Esistono soltanto gli artisti”. Questa frase, riprodotta sulla copertina di <i>Domus</i> (n. 773, luglio/agosto 1995) insieme alla ‘A’ di ‘Arte’, è tratta dall’introduzione a The Story of Art, opera seminale dello storico Ernst Gombrich, pubblicata da Phaidon nel 1949. All’interno della rivista, un lungo reportage di Pierre Restany racconta i cento anni della Biennale d’Arte di Venezia
“L’arte in sé non esiste. Esistono soltanto gli artisti”. Questa frase, riprodotta sulla copertina di Domus (n. 773, luglio/agosto 1995) insieme alla ‘A’ di ‘Arte’, è tratta dall’introduzione a The Story of Art, opera seminale dello storico Ernst Gombrich, pubblicata da Phaidon nel 1949. All’interno della rivista, un lungo reportage di Pierre Restany racconta i cento anni della Biennale d’Arte di Venezia
Copertina di <i>Fortune</i> (giugno 1957). Sopra il titolo, compare l’illustrazione a collage di Fletcher
Copertina di Fortune (giugno 1957). Sopra il titolo, compare l’illustrazione a collage di Fletcher
Il collage sul calendario del 1993 di Alan Fletcher/Pentagram per la G&B Arts raffigura l’anno della scimmia nell’oroscopo cinese
Il collage sul calendario del 1993 di Alan Fletcher/Pentagram per la G&B Arts raffigura l’anno della scimmia nell’oroscopo cinese
Calendario per Olivetti, in inchiostro fluorescente (fine anni Sessanta)
Calendario per Olivetti, in inchiostro fluorescente (fine anni Sessanta)
“Le percezioni dipendono dai punti di vista”, riporta la copertina di Domus (n. 774, settembre 1995). Due sedie osservate stando seduto sulla spiaggia hanno suggerito ad Alan Fletcher il pensiero di quanto le nostre percezioni dipendano dai punti di vista. Girando di poco la testa, le sedie apparivano tagliate dall’orizzonte in giù
“Le percezioni dipendono dai punti di vista”, riporta la copertina di Domus (n. 774, settembre 1995). Due sedie osservate stando seduto sulla spiaggia hanno suggerito ad Alan Fletcher il pensiero di quanto le nostre percezioni dipendano dai punti di vista. Girando di poco la testa, le sedie apparivano tagliate dall’orizzonte in giù
Un autoironico Alan Fletcher in veste di “scassinatore 
internazionale di casseforti
in incognito”, come lui stesso si presentava nel volume <i>Identity Kits</i>, realizzato con Germano Facetti
Un autoironico Alan Fletcher in veste di “scassinatore internazionale di casseforti in incognito”, come lui stesso si presentava nel volume Identity Kits, realizzato con Germano Facetti

Ultimi articoli di Design

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram