A Londra, la mostra "Memphis Remembered" celebra i vent’anni – e analizza l’influenza sul contemporaneo – del gruppo di design più famoso degli anni ‘80.
Il racconto di Stefano Casciani

"Dopo tutto questo, che cos’è la funzione di Memphis?".
"La funzione di Memphis è quella di esistere".
Barbara Radice, intervista a Ettore Sottsass, 1982

La sera del 18 settembre 1981 a Milano eravamo in parecchi all’inaugurazione della prima presentazione Memphis: la leggenda dice un migliaio. Anche gli oggetti non erano pochi, cinquantasette per l’esattezza: quattro tavoli e due tavolini, un carrello, un paravento, due sedie, undici lampade, tre orologi da tavolo, undici ceramiche, due letti, sedici ‘mobili’ – tra armadi, librerie, cassettiere e vetrinette – uno scrittoio, un divano, una poltrona e un appendiabiti, progettati da decine di designer, realizzati da uno stuolo di fornitori, sostenuti da un gruppo di soci che comprendeva Renzo Brugola (artigiano produttore), Fausto Celati (artigiano produttore), Ernesto Gismondi (industriale), Mario e Brunella Godani (proprietari dello show-room Arc ‘74, sede scelta per l’evento) e qualche amico. I ricordi più vivi, in ordine sparso di successione, sono:

- la scala per il sotterraneo dello show-room dei Godani in corso Europa, ingolfata tutto il tempo di persone che salgono e scendono, eccitate e più o meno felici;

- una colossale festa tra amici strani, perché vedeva gli (allora) difensori a spada tratta del Modernismo e gente – magari loro coetanei – più smaliziati o solo più simpatici, che in qualche modo lì parevano essere d’accordo sul fatto che partecipavano a un avvenimento ‘storico’;

- il tentativo dei più motivati di riconoscere tra i pezzi nascosti dalla folla (che come in ogni party che si rispetti pensava comunque soprattutto a divertirsi) il lavoro di autori già molto diversi, da Sottsass a Hollein, da Mariscal a Graves, da Isozaki a Nathalie Du Pasquier, da Martine Bedin a Masanori Umeda, e così via fino a Mendini (che in un moto ecumenico Sottsass portava dentro Memphis, malgrado la sua non buona esperienza con lo Studio Alchimia);

- un tripudio di laminati plastici Abet, di laccature e smaltature a fuoco, radiche, plastiche, tessuti, decori e soprattutto colori: insomma, il Trionfo delle Finiture, che neanche il più pazzo dei mobilieri brianzoli avrebbe sognato di infilare tutte insieme in un solo letto per sceicchi.

In realtà in quell’evento non c’era niente del caso o dell’azzardo (a parte naturalmente il coraggio, diciamo così, formale e cromatico dei designer) ma soltanto la concreta realizzazione, il momento culminante di una preparazione che aveva preso molto tempo. Già dal dicembre dell’anno prima Sottsass aveva cominciato a riunire i talenti, secondo lui, più giovani e svelti a capire la necessità di un cambiamento nel design, pronti a sostenere l’impatto con un mondo, quello del mobile italiano, allora arroccato su sistemi e sistemini componibili. Un mio amico che in quel periodo era da poco a Milano, ospite di Paola Navone (che con la collaborazione con Abet ha dato uno straordinario contributo al successo di Memphis) sostiene di ricordare anche una sera in cui, arrivato a casa molto stanco, era andato dritto a dormire, rispettoso del gruppo di giovani ma già illustri personaggi riuniti in soggiorno. E, anche se non deve essere proprio la famosa sera da cui la leggenda alimentata dalla musa Barbara Radice racconta sia nato il nome Memphis (secondo cui il famoso disco di Bob Dylan continuava a girare sul famoso piatto del famoso giradischi continuando a cantare la famosa canzone che dice: "Oh Mama, can this really be the end, to be stuck inside the mobile, with the Memphis blues again"), nel dormiveglia che precede il sonno il mio amico avvertiva che in quella discussione, animata quanto amichevole, si preparava un progetto che avrebbe potuto far saltare i faticosi equilibri del mercato del design.

Bob Dylan naturalmente pensava ad altro, alla sua bella cultura della musica popolare americana bisognosa di riconoscimento e di sbocco commerciale (come tutto deve avere in America e da lì nel mondo, divorzi, aborti e genocidi compresi); ma anche Sottsass e i suoi amici pensavano a qualcosa del genere, a un nuovo Stile Internazionale (The New International Style il loro slogan) che riuscisse a farsi beffe delle staccionate, sbarre, cancelli e cancelletti disseminati nel territorio della critica e del progetto (soprattutto in Italia) per ingabbiare nell’eterna geometria del bel design l’universo degli oggetti: sostituendo invece a questa specie di ‘proibizionismo’ – secondo la buona definizione di Paolo Portoghesi – un atteggiamento tra il Déco e il Pop, tra lo snob e il populista, tra il serio e il faceto, che riconoscesse comunque l’inevitabile realtà del segno popolare, del fatto incontestabile che anche la cultura più alta prima o poi trasmigra nel ‘basso’ del quotidiano.

Poca cosa, se invece di questo processo Sottsass – ma anche Mendini con Alchimia, Alessi e Domus – non avesse colto anche il passaggio inverso: e cioè che se quello che sale deve anche scendere, quello che scende deve risalire, anche nel design. Così negli oggetti di Memphis evidentissima è l’idea di recuperare segni, forme e colori del quotidiano più banale, dalle lamiere ‘mandorlate’ dei gradini dell’autobus (roba di quarant’anni fa) al laminato delle sedie da bar (sempre roba di quarant’anni fa), nobilitati però dall’essere elevati a prodotto d’élite. Perfino la scelta dei nomi per gli oggetti della prima collezione – tutti altrettanti nomi di altrettanti alberghi del mondo, non necessariamente belli e famosi – voleva chiaramente associare il lavoro Memphis a quell’esperienza ‘multiculturale’, prima o poi comune a ricchi e non, che consiste nel ritrovarsi, in qualsiasi angolo del globo, in un hotel di cui poco si sa, se non il nome: che è uguale a quello della pensione dietro casa, a Parigi come a Caracas, a Calcutta come a Sidney.

Queste ovviamente sono cose che oggi si fa presto a dire: ma allora poteva sembrare davvero un’eresia – e qualcuno propose il rogo, contro la minaccia alle istituzioni – che nei dintorni del tempio della Kultur del design, il Salone del Mobile di Milano (non in Fiera, certo, dove l’equilibrio costi/ricavi è ancora oggi dubbio) qualcuno si dedicasse a consumare piccoli riti pagani, per di più sotto la protezione di un incontestabile Padre Fondatore del design italiano come Sottsass. C’era davvero "motivo di scandalo e preoccupazione", come un famoso titolo del giovane arrabbiato John Osborne (altra roba di quarant’anni fa).