Lo zoo artificiale di George Nelson a New York, dall’archivio Domus

Per la Fiera Mondiale del 1964, il maestro del design moderno americano pensava a creature fatte con parti d’auto, incrociando la fantascienza e anticipando la spettacolarizzazione dei grandi eventi.

Oltre che grande nome del design, George Nelson è stato un grande costruttore di immaginari, di significati e di identità: basta pensare al brand Herman Miller di cui è stato a lungo design director, diventato sinonimo di modernismo americano. Sulla World Fair di New York del 1964, dove anche Eames realizza il suo teatro dell’informazione, Nelson fa infatti un ragionamento di significato prima ancora che di progetto costruttivo: invece di procedere con lo sviluppo consueto della commessa, un padiglione per Chrysler, sceglie con il suo studio di guardare alla fiera come ad uno spettacolo. Oltre a collocarsi nella massima contemporaneità della sua epoca, tra società dello spettacolo, echi situazionisti e convinto abbraccio del linguaggio pop, l’idea di tradurre lo spazio Chrysler in uno zoo popolato di abnormi creature artificiali nate da parti di auto – zoo che contiene avvenimenti prima ancora che merce da vendere – ne precorre tante altre, successive addirittura di decenni: la riflessione sulle xenoentità mutuata dalla narrativa fantascientifica, per citarne una, le intelligenze artificiali, o fenomeni socioeconomici come le varie art week, design week e Fuorisalone, paesaggi di eventi sviluppati attorno a fiere. Domus pubblicava questo progetto nel marzo del 1965, sul numero 424.

Domus 424, marzo 1965

Lo zoo fantastico di George Nelson

È una invenzione, questo zoo di Nelson, in un settore della esposizione Chrysler a lui affidata alla Fiera. Uno zoo di animali fantastici, fatti di sole parti di macchine vere. Ciò che esso rivela è quanto v'è di fantastico già nella macchina vera. Personaggio, animale, mostro, mito, che Nelson così riconosce e distrugge.

George Nelson sulla Fiera: “La Fiera di New York ha stabilito un nuovo criterio per le grandi esposizioni, che non soltanto esprime – con scoraggiante esattezza – lo spirito del nostro tempo, ma che di sicuro influenzerà le esposizioni a venire. Si tratta, in sintesi, del criterio di sostituire alla tradizionale esposizione degli ‘spettacoli’. Spettacoli che vorrebbero mischiare la informazione al divertimento, e che – seguendo a loro volta i criteri stabiliti da Hollywood e dalla televisione – son fatti più di tecnica che non di contenuto. Ed ecco uno dei risultati, a New York: la cosiddetta zona ‘di esposizione’ è diventata in realtà zona ‘dei divertimenti’; e la zona ufficiale dei divertimenti ne ha sofferto, perché molti visitatori han pensato che non era il caso di spendere quattrini per gli spettacoli, quando ce n'eran tanti da vedere gratis.

Questa trasformazione della tradizionale mostra in una specie di grande luna park la si poté constatare anche dalle critiche stesse della stampa, quasi tutte rivolte agli spettacoli, ed ignare – la maggior parte – della esposizione vera e propria.

Domus 424, marzo 1965

In generale questi spettacoli avvenivano in due forme. In forma di cinema o teatro, ed in forma di carosello degli spettatori, meccanicamente trasportati attraverso la ‘rappresentazione’ industriale: una specie di didascalico ‘castello delle streghe’. E in sostanza, non c'è una differenza reale fra questi due tipi di presentazione, poiché il carosello non è che un film disteso nello spazio e nel tempo, con scene che appaiono e scompaiono, a calcolati intervalli.

La Chrysler, accettando questo nuovo modo di comunicare con la folla – una folla altrimenti irraggiungibile e in una mostra assolutamente troppo grande, anche per i visitatori della maggior buona volontà – ha allestito un grappolo di teatri attorno a un palcoscenico girevole. Il pubblico di ciascun teatro riceveva, nell'ordine, un film di dieci minuti, uno spettacolo di marionette (di altri dieci minuti), quindi l'inevitabile pubblicità. In realtà, come in quasi tutti questi spettacoli alla Fiera di New York, tutto sapeva di pubblicità, coperta solo da un sottile strato di zucchero.

Creammo una serie di composizioni fantastiche poste su isole, entro un lago artificiale: una ‘Auto Gigante’, per esempio, un simpatico mostro – un commento tridimensionale all’assurdo delle ‘auto di sogno’.

George Nelson

L’incarico affidato al nostro studio per la mostra Chrysler riguardava non lo spettacolo ma tutto il resto: la sistemazione di un terreno ovale, lungo 300 metri, con una area di circa 25.000 metri quadri, e la progettazione di tutti gli edifici e di tutte le strutture.

Evitammo il solito ‘padiglione di esposizione’: era nostra sensazione che il pubblico americano ne sapesse già abbastanza, in fatto di automobili. Invece, ecco il nostro punto di vista : il tema ‘automobile’ è ricchissimo di spunti divertenti, se lo si tratta in modo divertito. Risultato: creammo una serie di composizioni fantastiche – una sorta di ‘pop’ – poste su isole, entro un lago artificiale: una ‘Auto Gigante’, per esempio, un simpatico mostro – un commento tridimensionale all’assurdo delle ‘auto di sogno’, come reverentemente le presenta Detroit. E un ‘Motore Gigante’, così grande che ci si poteva camminare dentro: dava il senso della potenza e della complessità di un motore, senza fare alcuno sforzo per spiegarlo. E la nostra ‘Gita sulla Catena di Montaggio’ era un puro assurdo, perché non c’era nulla da montare, e la catena non andava a finire in alcun luogo. Il nostro ‘Zoo’ era abitato da animali inverosimili, costruiti con parti di automobile, e la tradizionale ringhiera che lo circondava serviva, come nei veri zoo, a proteggere più gli animali che la gente.

Per il comodo dei visitatori, e dei loro provatissimi piedi, avevamo predisposto quattromila posti a sedere. Vennero usati, talvolta, ma solo nei momenti disperati: l’attrazione degli spettacoli alla Fiera era così grande, infatti, che la folla si spostava senza posa, per quell’immenso caos pubblicitario, e con la stessa energia con cui, nelle ore di punta, si spinge per entrare nella metropolitana. In definitiva, la mostra Chrysler ha avuto la sorte di divenire, nella Fiera, quasi un’oasi, per la qualità distaccata e contemplativa dei suoi divertimenti.

Per le grandi masse, tuttavia, il fascino maggiore era là dove – come alla televisione – la tecnica batteva il contenuto.”

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