Pubblicato in origine su Domus 424/marzo 1965
Con gli stadi di Tokyo, Kenzo
Tange continua a stimolare, come
nel passato, le possibilità creative della architettura del nostro
tempo.
Il contributo attuale del Giappone
all'architettura – ricco di
inventiva, e di un nuovo slancio,
svincolato da canoni vecchi e nuovi – è importante.
Sulla concezione e nascita di quest'opera
– che per l'unità di forma
e di struttura, e le gigantesche
dimensioni, è eccezionale – ascoltiamo
la testimonianza dell'autore.
Mi rendo ben conto – scrive Tange –
della grande responsabilità che ha
comportato la costruzione di
edifici come questi. Sono
grato a coloro che mi hanno assistito
e che han partecipato con i
loro sforzi e se penso alle difficoltà
che è costata quest'opera, e
alle ansie per portarla a termine
in così breve tempo, mi auguro
con tutto il cuore che essa serva
ancora a lungo al Giappone, come
centro sportivo popolare, sempre
aperto, dopo il grande episodio
delle Olimpiadi.
Il complesso è composto dallo Stadio
del Nuoto, per quindicimila
spettatori, dallo Stadio per Palla
a Canestro, per quattromila, e dal
lungo edificio amministrativo, coperto da una 'passeggiata', che
corre fra l'uno e l'altro. Il nostro problema maggiore era
lo Stadio del Nuoto: come distribuire
quell'enorme spazio, e con
quale struttura coprirlo.Per la struttura, prese in esame
varie possibilità, con il collega
Tsuboi e gli altri collaboratori,
arrivammo molto presto alla scelta
di una struttura sospesa, una
tensistruttura in acciaio.
L'acciaio è il più importante
elemento della tecnica e della
architettura attuali. La sua prerogativa,
la resistenza alla tensione, si sta
sviluppando in resistenza all'alta
tensione. L'utilizzare in modo
razionale questa prerogativa risponde
all'indirizzo che l'architettura
contemporanea sta prendendo.
Le dimensioni stesse – pensavo –
portano con sé il suggerimento
della struttura: si procede dalla trave
all'arco, alla volta,
alla cupola, alla struttura sospesa,
secondo le distanze da collegare;
come nel caso dei ponti.
Kenzo Tange per Tokyo
Un commento dell'architetto giapponese scritto poco dopo aver concluso gli stadi per i Giochi Olimpici del 1964.
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- 04 agosto 2011
A queste considerazioni se ne aggiungeva un'altra: in confronto allo spazio 'convesso' della cupola, lo spazio 'concavo' della struttura sospesa racchiude un ben minore volume; e ciò semplifica anche i problemi di riscaldamento, condizionamento, acustica – i problemi dell'enorme spazio interno. Ma il problema maggiore, riguardo allo spazio interno, era che esso non assumesse, una volta vuoto, o poco riempito, proporzioni inumane. Non si voleva tuttavia frazionarlo: si voleva arrivare a creare e mantenere una unità di ambiente, in cui spettatori e atleti condividessero la reciproca crescente emozione. Uno spazio unico, ma non chiuso e opprimente, bensì libero e aperto; uno spazio in cui i quindicimila spettatori potessero anche circolare e fluire soavemente, in senso funzionale e psicologico; e non solo dentro lo stadio, ma da uno stadio all'altro. La struttura sospesa mi consentiva la forma aperta, lo spazio unico aperto che volevamo. E consentiva anche di creare una relazione, visuale e ideale, fra i due stadi. C'è un fatto di tensione non solo per la struttura degli edifici, ma anche nei rapporti fra i due edifici, che si affrontano con le due 'bocche' aperte.
Nello Stadio del Nuoto, dunque,
i cavi principali che reggono la
copertura sono tesi, lungo l'asse
longitudinale della costruzione,
fra due enormi pilastri di cemento,
come un ponte sospeso; e,
ai due capi dei cavi, due tiranti
sono fissati ad ancoraggi al terreno.
A destra e a sinistra dell'asse
longitudinale, sono le due
grandi falci delle tribune; le tribune
superiori, inclinate (a rampa, per il
percorso degli spettatori)
funzionano strutturalmente
come due enormi archi, alzati
obliquamente. La copertura, costituita
dai cavi secondari che partono
dai cavi assiali, si aggancia;
tesa, a questi archi, cioè all'orlo
superiore delle tribune. Per effetto di
questa tensione, i due cavi
assiali, in origine paralleli, si divaricano,
e si apre fra di essi una
grande fessura a fuso, utilizzata
per illuminare dall'alto l'interno
dell'edificio. La tensione che lavora
lungo l'orlo superiore curvo
delle tribune viene a scaricarsi
alla base dei grandi pilastri.
La copertura, tesa fra la curva
'concava' dei cavi assiali e la
curva 'convessa' dell'orlo superiore
delle tribune, è una superficie
continua a doppia curvatura,
resa rigida da questa opposizione.
Lavoravamo in molti, al progetto
e poi alla costruzione – architetti
e calcolatori – ed è da dirsi che
era necessaria una continua
correlazione fra il lavoro di ognuno,
come fra le parti della struttura
stessa; poiché la variazione di un
elemento si ripercuoteva, data la
continuità della struttura, su tutti
gli altri elementi. In questo tipo
di architettura l'unità formale è
essenziale. Ma non sempre, devo
dire, noi riuscimmo a raggiungerla.
Nello Stadio del Nuoto la caratteristica
formale della copertura
è la forma "a catenaria",
nata dalla struttura sospesa, in acciaio.
Ma per avere tale struttura
sospesa, è necessaria una base con
struttura a compressione, in cemento,
e questa struttura è caratterizzata
dall'arco. Nei particolari, in molti punti,
non siamo riusciti a risolvere del tutto queste
due caratteristiche.
Si voleva arrivare a creare e mantenere una unità di ambiente, in cui spettatori e atleti condividessero la reciproca crescente emozione.
La posizione planimetrica dei due
stadi fu stabilita quando già la
loro forma e struttura erano state
determinate; e quindi una relazione
architettonica fra i due edifici
c'era; ma il loro vero inserimento
nell'ambiente si definì
quando risolvemmo l'architettura
'stradale' cui innestarli. Ad essa
appartiene il lungo edificio,
che corre, con funzione di 'strada'
fra i due stadi. È un lungo
'corridoio', che raccoglie tutti i
servizi e tutti gli uffici relativi
agli stadi e che ha, ai due estremi,
un ristorante ed una piscina per allenamento: sulla copertura
di questo edificio corre una 'passeggiata'
(promenade architecturale)
pedonale, che congiunge i
due ingressi più lontani dei due
stadii. Dalla 'passeggiata' su
questa copertura, si giunge alle
strade normali, cittadine, che hanno
anche incroci tridimensionali
con il corpo del lungo edificio.
L'unica
cosa che non mi ha soddisfatto è, ancora, il rapporto fra
il volume degli edifici e la superficie dell'intero terreno. Per
costruzioni di queste dimensioni, il terreno è troppo piccolo; non solo visualmente ma anche funzionalmente, per la insufficienza dei parcheggi.
Inoltre, non è stato risolto
il problema di una netta separazione
fra i percorsi pedonali
e quelli delle macchine...
Ma la 'passeggiata' pedonale
sulla copertura, funzionava; ho
potuto constatarlo, visitando gli
stadii durante i giochi olimpici.
Anch'io, per una volta, ho potuto
avere la gioia di camminare. E ho
visto che il movimento dell'entrare e dell'uscire dai due stadii era più facile di quel che non avessi pensato. Entrato, nello Stadio del Nuoto, constatavo come lo spazio cambiasse dinamicamente secondo i miei movimenti; e mi sembrava che i movimenti
della gente stessa dessero dinamismo allo spazio.
(da Kenchiku Bunka, gennaio 1965)