Vent’anni di storia raccontati dai fotografi italiani

Un’ambiziosa collettiva fotografica in mostra ad Aosta tenta la difficile impresa di raccontare l’evoluzione della società negli ultimi vent’anni.

Dire che The Families of Man è una grande collettiva con cui il Museo Archeologico Regionale di Aosta offre un’inedita panoramica sulla fotografia italiana degli ultimi vent’anni è riduttivo.

Il progetto, ideato e realizzato da Electa e curato da Elio Grazioli e Walter Guadagnini, permette infatti al visitatore non solo di vedere o rivedere l’opera dei principali autori italiani, spaziando dai maestri alle promesse e passando dai nomi oggi più affermati, ma anche di mostrare uno spaccato dei generi fotografici, partendo da quelli storicamente più consolidati per arrivare a una fluidità tutta contemporanea ma senza dimenticare le declinazioni più commerciali. Il tutto con un “pretesto” semplice nelle intenzioni quanto complesso nella realizzazione: percorrere, attraverso le immagini maggiormente rappresentative, più di vent’anni di storia recente, quella che va dal fatidico 1989 all’altrettanto—sebbene per ragioni meno entusiasmanti—memorabile 2020.

E se l’intento è decisamente ambizioso, non meno coraggiosa è la modalità di selezione prescelta, che rimanda fin dal titolo dell’operazione alla seminale The Family of Man, andata in scena al MoMA nel 1955. Come sottolineato in modo esauriente e trasparente in tutti i testi che corredano il bel catalogo, i punti di contatto sono ovviamente tanti, ma a emergere sono poi giustamente le divergenze.

Il referente dichiarato è infatti la celeberrima mostra ideata a metà del secolo scorso da Edward Steichen, famoso fotografo che aveva a quel punto percorso le principali correnti stilistiche e che era intanto diventato direttore del dipartimento di fotografia del MoMA. La vicenda che riguarda questa impresa senza precedenti è troppo vasta, e comunque molto nota, per poter essere qui sintetizzata, ma basti sapere che le opere in mostra furono 503, realizzate da 273 fotografi—noti o completamente sconosciuti—provenienti da 68 paesi—anche se gli Stati Uniti ebbero un ruolo predominante—, che erano tutte in bianco e nero—bisognerà aspettare la prima retrospettiva su William Eggleston, voluta dal rivoluzionario John Szarkowski sempre al Moma nel 1976, perché il colore fosse finalmente accettato a pieno come espressione dell’arte fotografica—, che afferivano sostanzialmente tutte al genere umanista e documentario—i cui alfieri furono riviste come Life e Réalités e agenzie come Magnum—e che con questa mostra Steichen si prefiggeva di lanciare un messaggio inclusivo, democratico, positivo e pacifista che dichiarava al contempo l’appartenenza di tutti popoli del mondo a un’unica famiglia e, in modo altrettanto utopico, il potere della fotografia di cambiare il mondo.

Scopi certamente encomiabili, ma anche venati di una certa presunzione normativa molto americana che la mostra di Aosta necessariamente scardina: da un lato limitando il numero e la provenienza degli autori, in un tentativo quindi di definire cos’è oggi la fotografia italiana (che non vuol dire però solo la fotografia prodotta in o focalizzata sull’Italia), e dall’altro ancorando le immagini selezionate a uno span di tempo molto ampio eppure perfettamente definito, quello che va dalla caduta del Muro di Berlino all’emergenza pandemica del Covid–19.

Lorenzo Vitturi, Manta, Cochinilla Dyed Yarn, Polypropylene Sack, Body in Paracas, 2019

Il percorso espositivo e grafico (a cura rispettivamente di Massimo Curzi e Leonardo Sonnoli, che hanno omaggiato quello del MoMA riproponendone la capacità di rendere lo spettatore protagonista attivo della mostra) ha quindi un carattere cronologico, ma anche tematico: se infatti le aree temporali in cui è suddiviso sono La fine della modernità (1989–2000), Il mondo connesso (2001–2019) e La pandemia: la resilienza e la ripartenza (2020), altrettanto specifiche sono quelle che lo ripartiscono per argomenti, ovvero Politica, Economia, Società, Made in Italy, Tecnologia, Religioni, Ecologie, Gender e Virtualità, con una coda su Covid e Ripertenza.

L’elenco degli autori in mostra è troppo lungo per essere qui riportato se non facendo troppi torti ma, al netto di qualche inevitabile omissione, dai soliti noti ai nomi in qualche modo più inaspettati tutta la fotografia italiana è ben rappresentata, e quindi la collettiva permette di fare davvero un punto non solo su quel che la fotografia può raccontare ma anche e soprattutto su come può farlo, senza quindi escludere le più importanti e interessanti evoluzioni da cui questo fondamentale linguaggio è oggi interessato.

Probabilmente non basterà una esse finale a far uscire The Families of Man dall’ombra del suo imponente punto di riferimento, ma se questa è in parte una delle intenzioni del progetto, è d’altro canto vero che in un dettaglio così semplice si nasconde e si rivela la sua vera intuizione: che la distanza storica e dunque concettuale che ci separa dagli Stati Uniti della metà del secolo scorso ci obbliga oggi a una visione aperta alle più diverse prospettive, ad affermare e ribadire la pluralità non solo dei punti di vista ma anche delle stesse realtà umane, anche a costo di un resoconto tutt’altro che omogeneo e pacificato, anzi. Se la dichiarazione fatta a New York nel 1955 era, per quanto fatta con le migliori intenzioni, in qualche modo univoca e deterministica, dunque una fotografia innaturale e quasi forzata di un umanesimo idealistizzato e quindi—malgrado la pretesa di realismo—non veritiero, quella fatta ora ad Aosta non può prescindere dalla fluidità dei cambiamenti che la società ha affrontato e sta affrontando, e in cui l’esistenza dell’uomo e delle sue molteplici famiglie è pienamente e indistricabilmente calata.

È bello però pensare che i due bambini protagonisti della foto di W. Eugene Smith con cui si chiudeva The Family of Man siano alla fine diventati i due anziani immortalati da Luigi Ghirri nella foto che apre invece The Families of Man. Ritratta di spalle, la coppia attraversa il tempo inoltrandosi dapprima in un folto bosco e uscendo poi in una grande valle illuminata dal sole: sono ancora mano nella mano.

Titolo:
The Families of Man
Date della mostra:
Dal 29 maggio al 10 ottobre 2021
A cura di:
Elio Grazioli e Walter Guadagnini
Sede:
MAR, Museo Archeologico Regionale
Indirizzo:
Piazza Roncas, 12 Aosta

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

Leggi tutto
China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram