Blitz, il club che ha cambiato gli anni ‘80: una storia di musica e design

Al Design Museum di Londra, la mostra “Blitz. The Club That Shaped the ’80s” ricostruisce l'eredità di uno dei locali più visionari e influenti della capitale inglese, ripercorrendo come il clubbing sia oggi patrimonio culturale.

Archiviati i tempi in cui tutto ciò che riguardava il mondo della notte veniva etichettato come forma di devianza, oggi il disco, anzi la disco, è un inamovibile perno della cultura. Guai a non presenziare ad un concerto in una chiese sconsacrata, a festival di elettronica in austeri edifici dismessi un tempo simbolo di un potere ministeriale, e – inevitabilmente – a mostre sulle discoteche. 

La mostra “Blitz. The club that shaped the ’80s”, al Design Museum di Londra, ricostruisce l’eredità di uno dei locali più influenti e visionari della capitale inglese, per raccontare come la club culture sia diventata patrimonio collettivo.

Stephen Linard at the Blitz, about 1980. Robyn Beeche Foundation

La club culture diventa istituzione

Così, mentre sempre più club chiudono, la club culture viene istituzionalizzata. E museificata. Flyer, inviti strappati, vinili scratchati e magliette promozionali sbiadite hanno superato da destra armature e bassorilievi, oli su tela e chissà che altri tesori da brocantaggio. 

Un trend lanciato dal Vitra Design Museum nel 2018 con la mostra “Night Fever”, che tanto aveva contribuito a riaccendere i riflettori sulle discoteche come feticcio nostalgico, come irripetibili spazi dove design, estasi e follia s’incontravano tra estetizzanti sedute di plastica e più estatico sudore.

Spandau Ballet’s debut photo shoot at the Warren Street squat, 1980. Photo Graham Smith.

Ultima delle vittime illustri della recente moria di club è il Plastic, chiuso a sorpresa appena pochi mesi prima del suo 45 compleanno. Il club era stato tempio di quella Milano che sotto la grisaglia della capitale morale italiana si scopriva ballerina e libertina, tra flyer che promettevano serate in omaggio di Derek Jarman o Jean Cocteau e queerness – si direbbe oggi. Meno noto è che a ispirare il fondatore e resident DJ Nicola Guiducci nel plasmare l’idea Plastic fu un club londinese: il Blitz, decisamente meno longevo del locale di Viale Umbria 120.

Blitz: un laboratorio creativo

Aperto per appena di diciotto mesi, dal febbraio 1979 all’ottobre 1980, il Blitz ha però lasciato dietro di sé un’eredità che sarebbe poi fiorita e frammentata in una miriade di locali e serate della capitale inglese, arrivando oltre: nelle classifiche, nell’editoria (i-D, The Face) e nella moda. Lo racconta una mostra opportunamente intitolata “Blitz. The club that shaped the ‘80s”, che ha da poco inaugurato al Design Museum di Londra. 

Mentre gli italiani avevano il Blitz di Gianni Minà, tutto baffi anni ‘70 e maglioni di lana, gli adolescenti londinesi delle case popolari e della piccola borghesia trovavano nel Blitz di Covent Garden – ex magazzino di mobili – escapismo da un’Inghilterra grigia e asfittica che apriva le porte del numero 10 di Downing Street a Margaret Thatcher.

Lesley Chilkes wearing ensemble by David Holah at the Blitz, about 1979. © Derek Ridgers c/o Unravel Productions

Danielle Thom, curatrice della mostra, spiega a Domus: “Although, for the most part, they [the Blitz Kids] didn’t see themselves as especially political in the sense of being politically active, they were undoubtedly influenced by the political context of the day – rising unemployment, literally bin bags piled high in the streets.” 

Moda, arte e New Romantic

Tra i miti fondativi del Blitz non può mancare l’estro sartoriale di David Bowie, insieme anche a un gusto dichiaratamente esterofilo, nutrito di suggestioni europee: il cabaret berlinese, la canzone Lili Marlene, e un certo decadentismo che riportava all’immaginario della Seconda guerra mondiale. Zoot suit anni ’40 e abiti recuperati nei charity shop, architetture di make-up e pelle: il Blitz costruì la propria iconografia mescolando riferimenti cinematografici d’autore — da Buñuel a Pasolini fino a Salon Kitty, il film ambientato in una "casa d'appuntamenti" (e centro di spionaggio) ai tempi del nazismo — scoperti nel buio dello Scala, leggendario cinema di King’s Cross che iniziò il mondo punk ai B movie. Il Blitz era, in fondo, un invito a ballare sotto le bombe — metaforiche — di una Londra che sembrava regredita sul piano culturale e cromatico agli anni della guerra.

Spandau Ballet’s debut photo shoot at the Warren Street squat, 1980. Photo Graham Smith.

Era la Londra dei Them (mai nome fu più profetico), scena-movimento in bilico tra glam che fu e postmoderno che verrà, dai confini dettati più dall’attitudine che dallo stile, in cui artisti come Derek Jarman e Duggie Fields si trovavano a bere e ballare al fianco della stilista Zandra Rhodes e di Brian Ferry. Un cocktail che al Blitz deflagra in quella che prenderà poi il nome di scena New Romantic: un concetto eccessivamente stretto e stereotipato che la mostra londinese restituisce nel suo pastiche di stratificazioni, più che puntualizzare con l’arida scienza delle teorie sottoculturali. I fondatori della serata-club sono Steve Strange (poi leader dei Visage) e Rusty Egan, ‘face’ della Londra underground del tempo. Al guardaroba si può incontrare un giovanissimo Boy George e – leggenda narra – alla porta capita che Mick Jagger venga rimbalzato perché incarnazione del passato.

Anche se i Blitz Kids non si consideravano particolarmente politici (...) erano senza dubbio influenzati dal contesto politico dell’epoca – la disoccupazione in aumento, i sacchi della spazzatura letteralmente ammucchiati per le strade.

Danielle Thom

 
Two Blitz attendees, about 1980. Robyn Beeche Foundation

“Chiunque sembri normale viene respinto all'ingresso", commenta sardonico un servizio della Bbc, raccontando come gli avventori “bevano pina colada e posino per ore”. D’altronde uno di loro spiega che per prepararsi per una serata al Blitz ci metta fino a tre ore.

L’onestà di questa rilettura “di design” della nightlife

Il senso di “Blitz. The club that shaped the ‘80s” va ricercato proprio nella sua sede: la necessità di ri-leggere la nightlife oltre la nostalgia e certe ovvietà edulcoranti, capaci di lavare dalla nostra memoria anche il più acre odore dei cessi, i buttafuori e le camicie buttate per certi fori di sigaretta rimediati nella notte. 

Senza mettere in secondo piano la qualità dell’ephemera esposta, ad emergere è soprattutto l’idea del Blitz come più ampio stile di vita che si estendeva oltre le mura del locale, abbracciando design,moda, editoria e architettura. Un perpetuo laboratorio creativo – come le scene giovanili più interessanti sanno sempre essere – in furiosa evoluzione ed in simbiosi con il Central Saint Martin.

The Face, vol. 1, no. 20, December 1981. Gift of Giles Field. Design Museum Collection. Photo courtesy of the Design Museum

Ecco che oltre a flyer fotocopiati, inviti, decine di foto amatoriali, e riviste, ci sono le creazioni che gli studenti-stilisti facevano sfilare direttamente in pista, trasformandola in una passerella per pochi adepti, capaci di capirne il significato. Capitava che Bowie passasse da lì e se ne innamorasse così tanto da chiamare la stilista (Darla-Jane Gilroy) e un paio di amici (tra cui Steve Strange) per il video di “Ashes to Ashes”, o da indossare i capi di Willie Brown.

Il suo brand Modern Classics – con sede in una Shoreditch ancora lontanissima dalla gentrificazione dei cocktail bar da weekend – creava pezzi unici ispirati dal costruttivismo russo e dalle silhouette à-la Le Corbusier in pieno revivalismo anni ‘30. Ci sono poi Melissa Caplan, con i fitting negli squat e i costumi di scena per gli allora esordienti Visage e Spandau Ballet – altra presenza fissa del Blitz – e Sue Clowes, che per i Culture Club confeziona canotte con la croce di San Giorgio coperta da aerei da guerra. Di nuovo, l’attualità che bussa prepotente alla porta.

Back cover, i-D, no. 1, 1980. Design Museum Collection. Photo courtesy of the Design Museum

Lo fa anche – nel nome e nell’estetica da anni ‘40 al neon – NATØ (Narrative Architecture Today), collettivo guidato da Nigel Coates, tutor all’Architectural Association e habituè del Blitz. I suoi sono progetti speculativi, presentati in una veste a cavallo tra una fanzine punk e un numero di The Face, che mettono in dubbio la speculazione edilizia della Londra yuppie anni ‘80. La boutique PX Clothing fa invece pubblicità intrise di costruttivismo e new wave, con il Southbank Centre a mo’ di casermone Soviet alle spalle di modelle enigmatiche con camicie puntate da medaglie e avvolte in corsetti di pelle.

Marilyn at Club for Heroes, 1982. Photo Robert Rosen

Dal Blitz a oggi

Se da un lato il rischio di abbandonarsi alla nostalgia di tempi in cui l’underground sembrava più militante, la musica da ballo senza dubbio più elegante, e anche Londra più genuina, la mostra ci ricorda come la società britannica sia stata ineccepibile negli anni a istituzionalizzare – piaccia o meno – gli outcast e le istanze underground e farne cultura, con la C maiuscola. Una transizione a cui il Blitz ha contribuito come poche altre scene, con la sua multidisciplinarietà e visione postmoderna capace di mescolare alto e basso. Dopotutto, come scrive Jacopo Bedussi su Il Giornale dell’Arte di Ottobre, parlando del Plastic (e dunque anche del Blitz), chi fa la storia della notte, inevitabilmente fa quella del mondo.

Vivienne Lynn, Boy George, Chris Sullivan, Kim Bowen, Theresa Thurmer, and a Blitz attendee, 1980. © Derek Ridgers c/o Unravel Productions

La mostra ci riporta, così, continuamente al presente, a partire dall’influenza sul trasformismo sartoriale ed i pastiche sottoculturali che sembrano fare oggi di TikTok una succursale digitale (per quanto superficiale) del Blitz. Se si balla sempre meno, almeno che lo si faccia con stile.

Immagine di apertura: Outside the Blitz club in 1979. Photograph: Sheila Rock

Mostra:
Blitz: the club that shaped the 80s
Curata da:
Danielle Thom
Dove:
the Design Museum
Date:
20 September 2025 – 29 March 2026
Con il supporto di:
The Blavatnik Family Foundation

Ultimi articoli di Arte

Altri articoli di Domus

China Germany India Mexico, Central America and Caribbean Sri Lanka Korea icon-camera close icon-comments icon-down-sm icon-download icon-facebook icon-heart icon-heart icon-next-sm icon-next icon-pinterest icon-play icon-plus icon-prev-sm icon-prev Search icon-twitter icon-views icon-instagram