Patrick Tuttofuoco, perché saranno gli artisti a cambiare l’uso delle città

Spazi urbani, spazi d’arte, spazi di interazione: negli ultimi anni la relazione uomo-città ha cambiato taglia. Specie nelle zone lontano dal centro storico. In luoghi dove, oggi, nascono le idee più belle.

Parchi d’arte viventi. Interventi di natura temporanea come avvio simbolico di riqualificazione. Operazioni di urbanistica tattica. Cambio pirata di destinazione d’uso. Partecipazione dal basso. Con la pandemia le città sono cambiate: dal punto di vista fisico, economico e sociale. Chi le governa ha capito che il vecchio modello non funziona più. Che c’è bisogno di una rigenerazione. E che ci sono anche strumenti fatti per accelerare la trasformazione: l’arte è il primo.

Patrick Tuttofuoco ha firmato l’esempio più recente di riuso emozionale di uno luogo pubblico. X è l’installazione pensata per il Vetra Building, operazione di real estate che ha occupato i palazzi dell’ex Esattoria di piazza Vetra, a Milano, ma che ha voluto anche regalare agli abitanti una piazza che non c’era, un varco tra quartieri, un invito all’interazione. “Negli ultimi due anni la relazione uomo-città ha cambiato taglia”, comincia Tuttofuoco. “Il Covid ha trasformato il nostro rapporto con gli spazi comuni e li ha resi imprescindibili. Volevamo tutti stare fuori. Piazza Leonardo da Vinci, davanti al Politecnico, era carica di gente più che mai: una bella visione, che mi ha ricordato l’importanza della condivisione, di come nascono le idee”. I percorsi di prossimità sono diventati punti di decompressione: interculturali, intergenerazionali e “di sinergie. L’arte pubblica ha sempre intercettato questa esigenza: spesso le istanze che l’artista mette in gioco servono a generare proprio questo tipo di consapevolezza”.

Patrick Tuttofuoco, artista. Foto Gaia Degli Espositi
Patrick Tuttofuoco, artista. Foto Gaia Degli Espositi

Tuttofuoco torna alla fine degli anni 90 e alle sue prime performance, “pensate per ingaggiare fisicamente gli spettatori”. Aveva montato in corso Vittorio Emanuele, la via principale della città, una ruota da criceto in scala umana. È salito e ha iniziato a correre: chi lo insultava, chi lo incitava, chi prendeva il suo posto. Non tutti hanno realizzato di stare – fuor di metafora – sulla stessa ruota, impegnati a mantenere un equilibrio in una società che ti chiede di non fermarti, mai. “Per quanto privo di un senso immediatamente intellegibile, Criceto ha generato attenzione e divertimento, certo, ma è stato anche inglobato nella memoria esperienziale di quelle persone”.

L’effetto di cui parla è quella forma di magnetismo che si produce quando un’opera ti tira letteralmente dentro di sé, generando subito dopo un’energia collettiva in costante mutamento. Patrick Tuttofuoco, pensandoci al volo, ricorda due fatti.

Va cambiata la percezione dello spazio metropolitano.

Il primo a Kanazawa, in Giappone, dove James Turrell aveva creato uno dei suoi Skyspace, le stanze con le finestre sul cielo: “Poco importa che tu sia avvezzo alla meditazione: quando varchi la porta entri in uno stato di contemplazione di uno squarcio di infinito”.

Il secondo a Londra, nella Turbin Hall della Tate Modern, dove Olafur Eliasson aveva installato The Weather Project, un gigantesco sole artificiale, sotto il quale le persone si stendevano, per catturarne la forza e il calore. “Eliasson ha saputo farlo con una produzione importante, muscolare, ma senza uccidere la poesia”.

  

Infatti non è detto che l’arte sappia essere protagonista restando un passo indietro rispetto all’ego del suo autore. Specie quando è pubblica: “L’artista è sempre chiamato a confrontarsi con la complessità: deve intercettare un luogo ed esaltarne le linee mettendo in campo una forma semplicissima, che possa entrare nella vita di chi passa, ma senza essere invadente”. Se funziona, quello spazio diventa un polo di attrazione. Cita le operazioni creative di urbanistica tattica che hanno cambiato la destinazione d’uso del fondo di via Venini, diventato piazza Arcobalena grazie a una balena dipinta per terra e a tavoli di ping pong.

“Va cambiata la percezione dello spazio metropolitano: all’estero, anche in posti brutti, è sentito come una prosecuzione della proprietà. Se è pubblica è di tutti, quindi anche mia, e va curata con attenzione. Nei parchi ci sono gli ubriachi ma anche le famiglie: alla fine la complessità dell’esistenza si autoregolamenta”.

Anche piazza Vetra, in posizione semicentrale sulla mappa milanese, non è sempre stato un posto facile. La rapina con il morto di Renato Vallanzasca, lo spaccio di droga, le invettive del cardinal Martini. “Ho presente com’era. Ma penso che, volendo, si possa invertire l’energia di un luogo: l’intervento principale è di real estate, è vero, ma regala qualcosa al territorio, un varco tra due quartieri, una possibilità. Con quali effetti sul lungo periodo, lo scopriremo”.

Nel 2018 Tuttofuoco era in Galleria con Heterochromic, progetto site specific sopra il ristorante di Carlo Cracco. Poi c’è stato ZERO (Weak Fist), una scultura mobile e itinerante, progettata per ricollocarsi a Rimini, Berlino e Bologna. E dopo ancora Endless sunset, installazione a Peccioli, involucro di una passerella pedonale lunga 137 metri, a 30 di altezza.

Da qui, la domanda: quanto influisce la destinazione pubblica di un’opera nel momento del suo concepimento? “Molto, ma cerco di non chiedermelo. Sto solo molto attento a non cedere all’autoaffermazione: un artista ha privilegi sconfinati e infinite responsabilità. Perciò ogni volta cerco di andare al nocciolo delle problematiche che sento mie, ma poi passo a quelle del luogo”.

L’artista è sempre chiamato a confrontarsi con la complessità: deve intercettare un luogo ed esaltarne le linee mettendo in campo una forma semplicissima, che possa entrare nella vita di chi passa, ma senza essere invadente.

Tra gli ultimi/prossimi interventi di Patrick Tuttofuoco c’è quello pensato per Tirana, dove è stato invitato con Andrea Anastasio dall’Ambasciata d’Italia e dal curatore Davide Quadrio: assieme hanno allestito “Veggenti”, mostra all’interno di una villa del Blloku, oggi quartiere dello shopping e della vita notturna, lavorando “sull’identità di un Paese con meno di tre milioni di abitanti, che in 30 anni ha visto partire più di un milione di persone. Chi è tornato si trova in una terra di mezzo, che non riconosce: il cambiamento sta avvenendo adesso ed è velocissimo”.

E a proposito: se l’arte è un ottimo strumento per riappropriarsi dello spazio comunitario, che ruolo avranno le periferie, del mondo e delle metropoli? “Mancano all’appello le cerchie più esterne: perché rientrino nel modello della città dei 15 minuti, la spinta deve venire dalla municipalità. Che investa in energie, che metta noi artisti nelle condizioni di restituire qualcosa al territorio”.

Interventi mirati, piccoli festival. “Sarebbe un inizio. In occasione di Fuorisalone 2021, il design è arrivato nell'ex ospedale militare di Baggio. E la gente ha scoperto che esiste un quartiere chiamato Forze Armate”. Potrebbe fare altrettanto con Lampugnano, con Porto di Mare. Era successo nel 2005 a Ventura-Lambrate. Dove Patrick Tuttofuoco aveva installato Luna e Park, le scritte delle giostre delle Varesine. Era un segno, la volontà di mantenere vivo un sogno dei bambini. Chi passa oggi scatta ancora una foto. Ormai fa parte del paesaggio, l’arte ha assolto al suo compito.

Immagine in apertura: Patrick Tuttofuoco, Endless Sunset, 2020-2021. Foto Luca Passerotti

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