Miti trasfigurati: la storia dell’arte di Gavin Turk in mostra

A Milano alla galleria Mimmo Scognamiglio Gavin Turk utilizza le opere iconiche dei grandi per interrogare il pubblico sul concetto di autoralità.

Ahhhhhhh, Damien Hirst, 1997

Con la sua  “History of Art”, l’inglese Gavin Turk (Guilford, 1967) continua a esplorare il concetto di autenticità, originalità e potere simbolico dell’opera d’arte che lui stesso, 20 anni fa, quando era un esponente di spicco della Young British Art, aveva iniziato a investigare con lavori che, sotto l’apparente ironia, ponevano questioni fondamentali, come l’identità e l’aura che circonda l’idea di autore. Cave, la celebre installazione del 1991, era già portatrice di queste riflessioni: una semplice targa apposta a una parete del Royal College of Art testimoniava un semplicissimo dato storico e anagrafico della vita dell’allora giovane artista che, così facendo, lasciava il suo segno nella storia dell’arte: “Gavin Turk worked here, 1989-1991”.

A distanza di molti anni – e dopo le numerose collettive e personali annoverabili nella carriera di Turk – eccolo arrivare a Milano nella galleria di Brera con una mostra da non perdere e dal titolo evocativo quanto didascalico “History of Art”, curata dal critico ed egittologo inglese James Putnam, altra figura eccentrica del panorama indipendente britannico. Ed è proprio nel saggio di Putnam sull’opera di Turk che si fa risalire addirittura a Vasari l’ispirazione iniziale di questo progetto museale. A quell’idea, cioè, di “storia dell’arte” propria del critico, artista e architetto fiorentino che, nel 1550, proponeva una visione della vita degli artisti che contemplava non solamente aspetti oggettivi legati alla lettura dei vari capolavori, ma anche una ricostruzione assai ricca di aneddoti divertenti e a volte esagerati, quasi parossistici. Tale aneddotica ha però creato quei “miti” che hanno animato e reso potente il fascino e il valore immaginifico delle opere e soprattutto dei loro autori – come del resto la recentissima operazione di Christie’s, The Last DaVinci, ha perfettamente dimostrato.

Ma se il mito di Leonardo è facilmente intellegibile e, soprattutto, è accompagnato da un passato altrettanto leggendario, non sono da meno quei nomi e quelle opere iconiche impresse nella storia – dalle avanguardie a oggi – che hanno contribuito alla creazione di quel processo di scrittura del mito del “moderno”. Un movimento scandito da cliché stilistici, stereotipi, dispositivi visivi e fede cieca nel progresso della storia che, già negli anni Trenta, Alfred Barr, il primo celebre direttore del MoMA, descrisse in quella che oggi definiremmo un’infografica: intitolata Torpedo è l’idea di museo “che procede come un missile attraverso il tempo, con la sua testa in un presente che guarda sempre avanti e con la sua coda in un passato che si allontana negli ultimi 50 e 100 anni”. 

Homage to the Square, Joseph Albers
History of Art, Gavin Turk, Mimmo Scognamiglio gallery, Milan 2017

Ecco allora che il nostro concetto di arte, così debitrice di tale visione, è in realtà al tempo stesso un tradimento da quella rotta tanto lineare, fatta invece di tante, innumerevoli altre condizioni che vedono ancora una volta il caso, la vita degli artisti, le loro capacità comunicative, la fortuna e il loro successo far parte di ciò che tutt’oggi vediamo esposto sulle pareti dei grandi musei.

È proprio così che ciascuna collezione internazionale che si rispetti non può, per esempio, non annoverare un Duchamp, un Dalì, un monocromo di Klein, oppure esponenti del minimalismo americano come Donald Judd e ancora un taglio di Fontana, fino ad arrivare ai nuovi “classici” come i primi lavori di Hirst.

Turk si è quindi comportato come un bravo studente, che ha imparato la lezione e ha messo in scena opere vere di questi autori (alcune prese dalla sua collezione personale e altre prestate da collezionisti europei), ma allo stesso tempo è anche un autore che conosce fin troppo bene le règles du jeu e sa che in quel museo anche lui deve trovare un suo posto: imitando, confondendo il visitatore, assumendo diverse pose e infine appropriandosi dell’aura che aleggia attorno alle opere di quei grandi maestri, tratteggiando l’idea un po’ posticcia come la scenografia di un film inglese degli anni Sessanta e insieme reale (tutte le opere in fondo sono autentiche!) che il visitatore può sperimentare entrando nella galleria.

La storia dell’arte come strumento storiografico smette di essere utile in questa prospettiva e cede il testimone a quell’idea di visual culture ben incarnata dal celebre saggio (e programma televisivo) Ways of Seeing che il grande critico e scrittore inglese John Berger realizzò nel 1972. Proprio a quella lettura-chiave è dedicata una delle opere di Turk, Widower (2017), che cita il progetto grafico della prima edizione edita da Penguin Books (accostato a un disegno originale di Magritte) e la Fresh Window di Duchamp. 

Joseph Behufs, Rose für Direkte Demokratie, 1973
History of Art, Gavin Turk, Gallery Mimmo Scognamiglio, Milan 2017

C’è in tutta l’opera di Turk quell’elemento ludico, ma estremamente cosciente, nel trovare nelle analogie e soprattutto nelle omologie formali delle chiavi di lettura; talune più immediate come i suoi involucri di cartone per le uova che diventano da un esemplare all’altro lavori di Klein, Manzoni e Castellani, mentre in altri casi i rapporti tra gli esercizi di Turk con l’action painting e l’ispirazione si fanno più sottili e sul filo della parodia: come in Return to Forever (2009) che rivisita l’estetica di Pollock accostandolo al titolo del famoso album jazz-fusion degli anni Settanta del pianista Chick Corea.

Nessuno viene risparmiato dalla trasfigurazione programmatica dei miti dell’arte operata da Turk, nemmeno l’amico e collega Damien Hirst: tra le prime opere che accolgono il visitatore c’è appunto una delle celebri vetrinette perfettamente composte da Hirst nei primi anni Novanta piena di scatole di farmaci, ma lì accanto giganteggia un’altra vetrina di Turk: le scatole di pillole sono ormai vuote, i farmaci sono scaduti o qualcuno ne ha fatto incetta: in fondo quell’era si è già conclusa.

Titolo:
Gavin Turk. History of Art
Curatore:
James Putnam
Date di apertura:
23 novembre 2017 - 10 febbraio 2018
Luogo:
Mimmo Scognamiglio Arte Contemporanea
Indirizzo:
Via Goito 7, Milano

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